8. Devil' Smile

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Detroit Police Department, 4 Aprile
Ore 12.05

Alle luci di mezzogiorno Mya potè constatare che le sei ore di sonno precedenti non le erano bastate, le occhiaie persistevano e gli occhi le bruciavano, neanche il correttore aveva fatto così tanti miracoli come prometteva la pubblicità.

Solo una cosa la rendeva più nervosa che lavorare al fianco di Connor Hill: affrontare un interrogatorio come spalla di Connor Hill.

Con la lampadina bianca della stanza interrogatoria A il suo aspetto era ancora più curato. Senza quel giaccone enorme addosso e i pantaloni della tuta Connor risultava veramente in un'ottima forma fisica. Era slanciato e le spalle coperte da una camicia bianca erano larghe. Essa era semitrasparente, Mya poté vedere i muscoli della schiena tendersi quando lui si sedette al tavolo, di fronte alla prostituta.

Mya si sedette al fianco di Connor, la telecamera in mezzo a loro, a registrare.
Lui le fece un cenno e Mya premette play su quella scatola nera.

Si inizia.

«Abbiamo lottato, abbiamo evitato due suicidi e ti abbiamo dato una bella branda su cui dormire» Connor incrociò le dita sul tavolo, «Ma non ci hai detto come ti chiami.»

La prostituta era impassibile di fronte ai due agenti della OCCB, fissava il tavolo con sguardo assente, sembrava essersi arresa al suo destino. Le ricordò tanto Jackson Paul che, il giorno prima fissava il tavolo con gli stessi occhi.

Una parte che non le piaceva molto del suo lavoro era guardare in faccia quelle persone deboli che mostravano la loro resa e dispiacere, ma per esperienza personale poteva constatare che erano le peggiori.

«Scusami cara, non ricapiterà più.» diceva tra le lacrime. E lei lo perdonava, per la decima, centesima, millesima volta.

«Sarah..» Il sussurro di lei fu quasi impercettibile.

Connor si avvicinò di più al tavolo spostando anche la sedia e indicò la telecamera con l'indice. «La vedi questa?» Lei annuì stranita. «Be' devi parlare più forte perché non sente un cazzo sennò.»

Lei annuì debolmente. «Mi chiamo Sarah.» disse più forte.

«Ed è il tuo vero nome, Sarah
Lei annuì.
«E il tuo cognome? Avrai anche un cognome, immagino.»

«Spitz.»

«Sarah Spitz!» Connor esclamò, trionfante.
«Bene, signorina Spitz. Lei durante il suo lavoro ricopre sempre le stesse aree, giusto? Sta sempre su quella stradina buia di fronte a quel muretto?»

Lei sembrò irrigidirsi. «Sì ehm.. ricopro anche l'angolo opposto.»

«Quindi lei, stando sempre su quella stradina, immagino avrà visto colui che ha imbrattato il muretto?»
Annuì, mordendosi il labbro. Non avrebbe parlato così facilmente, sembrava così impaurita da ciò che la circondava: dai due agenti, dai suoi pensieri, dalla gente con cui aveva a che fare.
Dopo qualche secondo di silenzio, Mya capì che non avrebbe risposto.
«Se non rispondi il tuo silenzio verrà preso come consenso, sai, chi tace acconsente.» disse Connor minaccioso.

«Devo andare a casa.» cercò di alzarsi ma le manette attaccate al tavolo le impedirono di fare alcun movimento.

«Si sieda, Spitz, non abbiamo finito.»
Lei obbedì, la tristezza in volto.

Connor si alzò camminando verso Sarah, lo fece con tale lentezza da mettere ansia pure a Mya, ma fu un gesto talmente... suadente e sexy, da poter trovare piacere in quella situazione.
Mya si ritrovò a essere imbarazzata da quei pensieri.
Tra tutti gli uomini di questo mondo, proprio a Connor doveva pensare?

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