7. Shot Me Down

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Detroit Historical Society, 3 Aprile
Ore 23.52

Erano in macchina, accostati poco lontani dall'edificio di fronte al Detroit Historical Society, in attesa di un movimento o di qualsiasi altra cosa che desse loro la possibilità di agire.

«Come immaginavo» commentò seccato Connor guardandosi intorno. Mya, anche se imbarazzata, non riusciva a non guardarlo. Sembrava così fresco e ringiovanito coi capelli messi in ordine e senza barba. Dimostrava i suoi trentacinque anni, se non di meno.
«Nessuna telecamera, neanche qua.»
Un particolare che era saltato subito all'occhio di Connor, era che nessuna attività della presunta gang era stata ripresa dalle telecamera.

Mya si mise comoda, si preannunciava una lunga nottata.
«Non ci resta che attendere.» disse sbuffando.

«Oh, ti vedo molto emozionata.» commentò Connor ironico.

Mya storse il naso. Lei era emozionata per quell'incarico, lo era per tutti quelli che le aspettavano, da tre anni a quella parte, ma era frustrata per il caso Producer, come lo chiamava lei. Non sarebbe stata ferma, avrebbe fatto tutto da sola.

«Sono solo sovrappensiero.»

Connor emise un verso piatto storcendo le labbra, poggiò la testa al sedile, imitando Mya.
«Questa è la parte che odio di più del mio lavoro: aspettare. Ore su ore ad aspettare qualcosa che probabilmente non accadrà mai.»

Lei gli lanciò un'occhiata divertita. «Ma come sei negativo.»

Connor ricambiò lo sguardo alzando le braccia in segno di difesa. «Lo dico per esperienza personale. Ho passato mesi chiuso in macchina ad aspettare prove concrete e stracci di piste.»

Mya fece spallucce.
«Almeno non siamo soli.»

Lì la conversazione sembrò terminare. Ognuno perso nei propri pensieri e a osservare quei marciapiedi isolati.
Ogni tanto passava qualche macchina diretta chissà dove, solo verso l'una di notte successe qualcosa che attirò l'attenzione di Connor.
Lui alzò la testa, guardando attentamente verso il fondo della strada.

«Hei» disse richiamando Mya. Lei si mise seduta composta, sull'attenti.
«Quella lì» fece un cenno col capo verso una figura femminile, lontana da loro.
Mya aguzzò la vista. La gonna ridotta a un filo di stoffa e il solo reggiseno in pizzo che le copriva il seno le fece intendere che si trattava di una prostituta.
«Chiediamo a lei.»
Per un attimo si chiese se Connor si fosse bevuto il cervello, ma poi capì.
Le prostitute ricoprono sempre gli stessi posti e ovviamente lavorano di notte, probabilmente avrà visto il creatore della scritta.
Annuì solidale, pronta a scendere dalla macchina, ma lui la fermò.
«Ma che cazzo fai?! Aspetta, Cristo.» ringhiò lui, ci fu un attimo di silenzio e poi le fece cenno di andare nei sedili posteriori. «Nasconditi dietro, non dobbiamo farla scappare.»
Mya sbuffò scocciata.

Lui ti serve. Lui ti serve.

Si sdraiò nei sedili posteriori, coprendosi col suo stesso giacchetto. «Tutto questo è ridicolo...» bofonchiò.
Fosse stato per lei sarebbe scesa dalla macchina e sarebbe corsa contro quella prostituta, prendendola con le maniere forti.

Ma no, il signorino vuole fare il ninja!

Connor mise in moto percorrendo la lunga strada che portava alla ragazza. Mya non vedeva nulla, ma poté sentire la macchina fermarsi due minuti dopo e l'abbassarsi del finestrino.

I passi della prostituta si fecero più vicini.
«Ciao, bellezza.» la voce di lei era suadente.
Aprì la portiera, si sedette al posto del passeggero e la richiuse. Connor partì in silenzio.

E io qua a far finta di essere invisibile.

Mya avrebbe tanto voluto dargli uno schiaffo. Perché non suggeriva nessun piano? Ah già, Connor l'avrebbe di certo scartato.
Quando lui le disse che d'ora in poi sarebbe stato il capo non l'aveva preso molto sul serio, era talmente determinata a farlo lavorare con lui che non aveva pensato al peso di quelle parole.
Avrebbe dovuto parlargli.

«Completo, tesoro?» chiese la prostituta.
Connor svoltò a destra senza rispondere, mossa azzardata, lei iniziò ad agitarsi.
«Allora?!»
Lui sigillò le portiere con uno scatto veloce, prima che la prostituta potesse aprirle.
Mya prese quel gesto come un via libera per alzarsi sai sedili posteriori.
«Fammi scendere!» urlò la ragazza battendo i pugni contro il finestrino, nel panico.

Connor si sporse verso la ragazza cercando di tenerla ferma dai polsi.
«Calmati, cazzo!»

I capelli biondi di lei sferzavano nell'abitacolo come mille tentacoli, aveva iniziato a scalciare contro il cruscotto della macchina e a urlare.
Mya la prese dalle spalle tendendola ferma contro il sedile.
La prostituta imprecò più volte mentre le lacrime le solcavano il viso.

«Vogliamo solo parlare, calmati!» intervenne Mya.
La ragazza non si calmava, era un continuo muoversi.

Connor perse la pazienza.

Si slacciò la cintura e, con un gesto lesto degno di Connor Hill, estrasse la pistola, puntandogliela alla testa.

Tutti si fermarono di colpo, dentro quella macchina.
La prostituta cercò di trattenere le lacrime a singhiozzi, se avesse anche solo fatto uscire una lacrima, l'agente le avrebbe sparato, ne era sicura.
Mya continuò a tenerla bloccata dalle spalle guardando il volto contratto dalla rabbia di Connor.

Il petto di tutti e tre faceva su e giù per il grosso affanno causato da quella lotta da seduti. La ragazza sembrava essersi calmata, ma Connor continuava a tenere la pistola puntata.
In un gesto lesto, la bionda prese la canna della pistola e se la premette contro la fronte, chiudendo gli occhi.
«Sparami, ti prego sparami.»
La disperazione che si celava nell'espressione contratta della ragazza fece rabbrividire Mya.

Quest'ultima spostava lo sguardo tra la bionda e Connor, in attesa di una mossa.
Lui continuava a guardare la ragazza davanti a sé con sguardo duro.
Non le avrebbe mai sparato, questo era certo.

Ritrasse la pistola dalla presa della prostituta e la infilò nella fondina.
A quel punto Mya rilassò i muscoli che erano rimasti in tensione fino a quel momento.

Ma le tendenze suicide non erano finite, in un attimo prese la cintura dietro di sé e se la attorcigliò al collo, iniziò a tirare insistentemente pronta a soffocarsi.

«Cazzo, smettila!» Connor la prese dai polsi intento a farla stare ferma, lei aveva ricominciato a piangere, le sue urla disperata entravano sin dentro le ossa.

«No! NO!» le sue urla graffiavano le orecchie di Mya, così tanto da farle male.

Connor le mise una mano davanti alla bocca per farla stare zitta, premette il palmo così forte che Mya temette che potesse farle male.
«Urla ancora e ti sbatto in prigione!» minacciò lui.

Da dietro la mano di Connor la ragazza chiuse gli occhi facendo scendere le sue copiose lacrime. Sembrava voler volare via, in un altro mondo, costretta a stare in quel corpo che tanto odiava, felice di farla finita.

Ci furono attimi di silenzio in cui tutti si guardarono non sapendo che cosa fare.
La prostituta aveva paura di una reazione improvvisa di Connor, lui aveva paura di una sua stessa reazione, Mya temeva che la bionda potesse tentare un altro suicidio.
Erano tutti e tre in agguato in attesa che uno di loro facesse la prossima mossa.

Fu Connor a muoversi per primo.
Tolse lentamente la mano dalle labbra della prostituta e poggiò nuovamente la schiena al sedile, rilassandosi.

La bionda prese quel gesto come via libera per parlare. «Cosa.. Cosa volete?» chiese in tono esausto. La voce tremante di lei riempì l'abitacolo.

Mya era incapace di dire qualsiasi cosa, le azioni suicide l'avevano scioccata.
Connor si sporse verso il cruscotto e lo aprì, prendendo delle manette chiudendole ai polsi della ragazza.
«Parleremo una volta arrivati in centrale.»

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