1. Help!

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Detroit, 1 Aprile 2016.
Ore 15.30

«Fermati... cazzo!» disse la ragazza a denti stretti, svoltando in un vicolo buio, seguendo colui che aveva eseguito così tanti furti da poter ricevere un premio.

Lo aveva finalmente trovato, dopo settimane di osservazione e nottate passate a pensare alla sua prossima e astuta mossa.

Aveva velocemente digitato il numero dei suoi colleghi alla centrale prima di partire all'inseguimento. Sarebbe arrivata una pattuglia, da lì a poco.

Era a pochi metri da lei, intento a scappare come una gazzella inseguita da un leone.
Il ladro corse contro un cassonetto dell'immondizia saltandoci sopra, si arrampicò fino alle scale antincendio della casa accanto e salì.

«Stai scherzando!» esclamò lei, frustrata.

Come avrebbe fatto a raggiungerlo? Non era così agile. E sopratutto, non avrebbe accettato quella fuga, dopo settimane passate sulle sue tracce.

Fece un grosso respiro e copiò malamente le mosse di quel ragazzo, salendo sul cassonetto. Guardò la scala antincendio pregando mentalmente che si abbassasse di qualche centimetro.
«Ma chi me lo ha fatto fare..» sussurrò, digrignando i denti.

Prese la rincorsa - anche se di pochi centimetri - e saltò, raggiungendo la scala. Ci sali chiedendo aiuto a quei pochi muscoli che aveva e iniziò a salire la scale di quella palazzina malandata di Detroit.

Il ragazzo era arrivato quasi in cima.
No, non lo avrebbe fatto scappare.

Con la mano cercò la pistola come addormentata nella fondina e la estrasse puntandola in alto, contro il ragazzo.
«Fermati o sparo!»
Ma non successe niente. Il ragazzo salì fino all'ultima scala, trovandosi davanti a una porta, ma sfortunatamente per lui, era chiusa.

Il ragazzo si guardò attorno allarmato, cercando una via di fuga da quella ragazza che presto lo avrebbe messo in prigione. Ma non la trovava, era spacciato.

Intanto, si sentirono le sirene della polizia farsi sempre più vicine.
La ragazza sorrise, vittoriosa.

Continuò a salire quelle scale che sembravano eterne e, finalmente, giunse in prossimità del ragazzo.
Lui per un attimo guardò il vuoto sottostante, forse pensava di potersi buttare e farla franca - o farla finita.

Ma Mya, con la pistola ancora puntata, gli ordinò di arrendersi.

Le sirene della polizia erano ormai sotto di loro, si poterono avvertire agenti uscire dalla macchina dalle portiere che sbatterono rumorosamente.

Il ragazzo, capendo che ormai non c'era nessuna via d'uscita, si arrese, portando le mani dietro la testa.

Lei lo ammanettò in pochi secondi.
«Jackson Paul, la dichiaro in arresto» sorrise, un altro caso portato assegno.
«Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà, potrà e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l'interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d'ufficio.»

Scese le scale antincendio con Jackson Paul appresso.
Dal suo volto si poteva capire perfettamente ciò che provava.
Sconfitta, tristezza, rassegnazione. Aveva deciso di arrendersi al proprio destino, e Mya gli era grata per questo. Le aveva risparmiato altro parkour inutile.

«Grazie, agente Price, ora ci pensiamo noi» le disse un agente quando raggiunse tutta la folla che si era radunata per assistere.
Gli agenti presero il ragazzo scortandolo fino all'autovettura.

Lo squillo del cellulare interruppe quel momento. Si affrettò a vedere il mittente di quella chiamata. A leggere il nome del suo capo, fece scorrere la cornetta telefonica sul verde.

«Price» iniziò lui, col solito tono autoritario, «In centrale, subito. Ho un caso per te.»

*****

Detroit Police Department, 1 Aprile
Ore 16.21

Il cielo iniziò ad annuvolarsi quando Mya Price, con ancora il sorriso stampato in viso, si inoltrò nei corridoi del Detroit Police Department.
A ogni persona che incontrava dentro quell'edificio riservava un sorriso speciale, in particolare in giornate come quelle, iniziate col piede giusto.

Bussò ansiosa alla porta dell'ufficio del capo. La targhetta attaccata su di essa rifletteva la figura della ragazza, dietro alla scritta "Stan Peterson".

«Avanti!» la voce grave del capo le arrivò ovattata alle orecchie.
Mya non perse tempo e, cautamente, entrò in quell'ufficio, pieno di foto della famiglia Peterson.

«Buongiorno, signore» salutò lei avvicinandosi alla scrivania.
Il capo, dietro al tavolo in legno, le fece cenno di sedersi.

«Tutto bene, Price?» chiese lui amichevolmente.
Tutto si poteva dire di Stan Peterson: si poteva dire che fosse rigido sul lavoro e che esigesse la perfezione in modo quasi maniacale, ma non si poteva di certo dire che non tenesse alle persone che lo circondavano. Si preoccupava dei suoi agenti come se fossero tutti figli suoi, chiedendo se ci fosse bisogno di aiuto nelle questioni private e se stessero bene a livello personale. Era una persona di cuore e ci si affezionava velocemente.

Mya si accomodò sulla sedia e diede un'occhiata alla foto di Bongo, il cane del capo, sorridendo. «Tutto bene, la ringrazio.»

«Mi hanno detto che ha dovuto improvvisarsi scimmia per qualche minuto!» disse lui scoppiando a ridere.

Lei lo seguì a ruota e pensò a se stessa, appesa a quella scala antincendio. «Sì be', potevo fare di meglio.»

«È stata grandiosa, Price.» all'improvviso si fece più serio. Mya capì di essere arrivati al motivo di quella chiamata.
«È proprio per questo che ho intenzione di affidarti un nuovo caso.»

Peterson girò il portatile che aveva sulla scrivania, in modo tale che la ragazza potesse dare un'occhiata.

Sullo schermo erano presenti foto rappresentanti scritte su diversi muri, dai soliti disegni di pessimo gusto a scritte amorose. Lo spray nero imbrattava quei muri come se il colpevole di quei scarabocchi avesse avuto il diritto e il dovere di farli. Odiava chi imbrattava con cose senza senso, lo trovava irrispettoso e sopratutto inutile.
Ma una scritta, più grande delle altre, attirò finalmente il suo sguardo.
HELP! Diceva.
Quello le sembrava tutto fuorché artistico o superficiale.
Ogni singolo muretto era segnato con quella parola.

«Come può vedere, un aiuto anonimo imbratta i muri di Detroit.» continuò Peterson, piatto.

«È così inquietante...» disse Mya sovrappensiero.

Il capo rigirò il computer, lo spettacolo era finito. «Già, ed è tutto tuo e del tuo nuovo collega.»

A quelle parole le si alzarono le antenne.
Collega? Sorrise al pensiero. Le piaceva lavorare con qualcuno. Tempo fa aveva chiuso un caso assieme a Jessica Young, del terzo piano.
Mya riusciva ad adeguarsi, con tutti.

Ma il sorriso le sparì quando vide l'espressione di Stan Peterson. «E chi sarebbe il mio collega?» chiese ansiosa di conoscere la risposta. Quell'espressione buia non prometteva niente di buono.

«Connor Hill» iniziò Peterson, «Con noi da 7 anni. Era un ragazzo in gamba, davvero, non c'era agente migliore di lui ma...» Mya era venuta a conoscenza della storia di quel tipo, sapeva anche che, dopo ciò che gli era successo, la sua vita aveva preso una discesa non poco ripida.

«Non credevo lavorasse ancora con noi.»

Peterson si alzò, segno che quell'incontro era giunto al termine. «È ancora una volpe il ragazzo.» Mya si alzò a sua volta, stringendo la mano del capo.
«Le farò trovare tutte le informazioni per le indagini sulla sua scrivania. Trovi Connor, Price. Iniziate il prima possibile.»

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