19. Oblivion

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Nancy Whiskey Pub, 10 Aprile
Ore 00.27

Era nel panico più totale. L'avrebbero uccisa, la pistola avrebbe sparato quell'unico colpo che serviva a stenderla per sempre. Le avrebbe trapassato il cranio e lei sarebbe caduta di lato, morta sul colpo. Non sarebbe più uscita di lì, non si sarebbe mai innamorata, non avrebbe mai avuti dei figli, non sarebbe mai arrivata alla più totale realizzazione.

La pistola le sfiorò nuovamente la tempia e gli occhi iniziarono a pizzicarle, presto iniziò a vedere appannato e una lacrima le scese lungo la guancia.
Pianse di paura, in silenzio.

Osservò l'uomo che Connor aveva steso con una gomitata alla tempia, inerte per terra, il secondo gli puntava la pistola alla testa e, il terzo, quello che sembrava smarrito, chiuse la porta per poi adocchiare gli oggetti che Connor si era portato dietro. Si chinò a raccoglierli.
Mya studiò il suo viso mentre spostava lo sguardo da un oggetto all'altro.
Aprì il portafoglio instascandosi i soldi che Connor si era portato dietro e lo buttò per terra; si rigirò il distintivo tra le mani emettendo un fischio.
«Uh, la polizia» disse in tono ironico ridendo. Il suo viso esprimeva tutto fuorché paura. Non gli importava che fosse della polizia, o almeno, non fino a quando controllò la carta d'identità.
A quel punto il suo sguardo si fece ferio per poi passare al panico un secondo dopo.
«Cazzo, è Connor Hill!»

I presenti si allarmarono, la stretta al collo di Mya si fece più salda e la pistola premette sulla tempia, il ragazzo che puntava la pistola contro Connor si mise in guardia e l'ultimo, quello con la carta d'identità in mano, si allontanò dalla sua figura.

Tutti lo guardarono come se avessero appena pescato un animale raro, rarissimo.

Dopo attimi di silenzio, il ragazzo senza pistola scoppiò a ridere.
«Cazzo, tu non sei Connor Hill! Quel Connor di cui si parla non si sarebbe mai fatto incastrare così facilmente!»

L'agente abbassò il capo, colpito dritto all'autostima.
Mya ripensò a quella sera, a casa di Connor, al coma etilico e al suo sfogo.
Forse aveva sbagliato a reincarnare il suo ego.
Connor non era più quello di una volta, lo sapevano tutti.
Pure i teppisti ridevano di lui.
I presenti iniziarono a burlarsi di Connor, ma lui non poteva far nulla, qualsiasi cosa avrebbe causato la morte di Mya.

Il ragazzo di fronte a Connor fece un cenno a quello con la pistola.
«Mettilo in ginocchio. Ora ci divertiamo.»
L'uomo obbedì dando un calcio a Connor nel nervo tibiale, quest'ultimo cadde rapidamente in ginocchio emettendo un verso di dolore.
«Connor Hill... fammi pensare..»
Il ragazzi aveva iniziato a camminare lungo la stanza.
Mya sapeva cosa sarebbe successo da lì a poco, non sapeva se il suo collega sarebbe rimasto composto, senza reagire.
Provò a chiamarlo, ma la voce le uscì strozzata e fiebile, aveva la gola bloccata.
«Mi spiace per quel piccolo mostricciatolo, davvero. Peccato che tu non le possa insegnare il mestiere, avrebbe potuto arrestare mio figlio» disse scoppiando a ridere. Quel suono entrò sin dentro le ossa di Mya.
Guardò Connor che, ancora, non aveva dato nessun cenno di irritazione.
Fissava il ragazzo davanti a sé privo di sentimenti, passivo.
«E tu, che mi dici di te? Sei distrutto immagino!»
Alzò le braccia in aria, teatralmente.
«Non sei più sulla scena come una volta, quelli come te ci facevano il culo, cazzo.»
Gli si avvicinò, inginocchiandosi alla sua altezza. Gli alzò il capo per guardarlo dritto negli occhi.
«Adesso sei solo un lurido pezzente, incapace di fare perfino il suo lavoro.»

Connor spostò lo sguardo oltre le spalle del ragazzo, guardando Mya, questa volta lei concesse quel contatto visivo.
Per quanto potesse odiare Connor per averli messi in quella situazione, sapeva cosa provasse a ricevere quelle provocazioni. Era il suo unico punto debole.
«Sai cosa penso, Hill?» il ragazzo si avvicinò ancor di più. Mya non poteva vederle il sui viso perché di spalle. Ma poteva vedere distintamente quello di Connor, non lo guardava, continuava a fissare lei.
Ma non come la fissava di solito, quello era uno sguardo di aiuto, lui si stava aggrappato agli occhi castani di lei perché erano l'unico mezzo di aiuto, che potessero aiutarlo a essere lucido e a non reagire.
«Penso che saresti stato un padre di merda.»

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