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Manhattan, New York, Stati Uniti

In meno di un'ora mi ritrovo a Manhattan.

Come ogni volta che ritorno negli Stati Uniti, questa parte di New York mi toglie il respiro. Tutte le luci dei grattacieli di Broadway e dei suoi teatri brillano alle prime ombre della notte e si uniscono alle luci della 7th Avenue formando Times Square.

Mi fermo qualche secondo a guardare la lunga via di Broadway e sorrido.
Ely mi affianca sorridendo anche lei.
                                                                       ‹‹E' bello riaverti a casa›› dice guardando nella mia stessa direzione.                                                  ‹‹E' bello essere di nuovo con la mia migliore amica›› ribatto.

Sposto lo sguardo verso l'inizio della 56th Street dove, sopra ad un cubo nero, c'è una parola composta da quattro lettere scritta a caratteri cubitali.

È una delle installazioni d'arte più belle tra quelle che ci sono in giro per New York.

Ogni mese la parola cambia e per questo è come se ogni parola si riferisse al mese. La parola viene cambiata ogni volta quattro giorni prima della fine del mese e vale per il mese successivo. Adesso la parola per il mese di Aprile è HOPE, speranza.

Riprendo a camminare e, insieme ad Ely, raggiungo la 54th Street, dove si trova la mia casa.

Abito nello stesso palazzo di Ely, un grattacielo di 40 piani, non molto alto per gli standard della città.

In realtà si tratta di un albergo dove è possibile acquistare alcune stanze più grandi delle altre ai piani superiori.

In tutto ci sono 5 famiglie che abitano stabilmente qui e due di queste sono la mia famiglia e quella di Ely.

I nostri appartamenti sono praticamente uguali: all’entrata c’è un piccolo atrio dove ci sono appese alcune foto. Sulla destra si trova il soggiorno e sulla sinistra la cucina, mentre davanti alla porta d’ingresso c’è una scala che porta al piano superiore. Appena salite le scale, di fronte si trova un piccolo studio. Alla destra di quest’ultimo c’è un corridoio che porta alla mia cameretta e a quella di mio fratello. A sinistra dello studio si trova invece la camera dei miei genitori.

Arriviamo nella hall del palazzo, uno spazio grande e spazioso, ricoperto da una moquette bianca e verde sulla quale poggiano svariate poltroncine verdi e tavolini di vetro. Le pareti sono ricoperte per metà da pannelli di legno chiaro e su una di esse si trova la televisione e uno schermo che mostra i voli in partenza e in arrivo dai vari aeroporti della città. Sullo stesso muro si trovano anche le porte delle due ascensori.

Su un lato della stanza, di fianco ad un corridoio, c’è la reception e, di fronte, si trova un bancone dove la sera vengono offerte tazze di camomilla e la mattina tazze di tè caldo o caffè per chi è di fretta.

Prendiamo l'ascensore e schiaccio il numero 35. In meno di dieci secondi arriviamo al mio piano. Ely scende con me e mi segue fino in casa.

Appendo la giacca di jeans sull’attaccapanni nell’atrio per poi salire con la valigia al piano di sopra.

Mi dirigo verso la mia camera ed Ely si siede subito sul mio letto mentre io disfo la valigia e divido i vestiti sporchi da quelli puliti. Metto quelli puliti nell'armadio e porto quelli sporchi in bagno.

Ely mi segue come se fosse la mia ombra continuando a chiedermi di Ben. Faccio partire la lavatrice con i miei vestiti dentro e torniamo in camera.

‹‹Meg, devi chiamare il signor Lewis e dirgli che sei arrivata e anche Ben, soprattutto Ben›› mi ricorda Ely per la seicentesima volta.                                                           
‹‹Ora lo chiamo, ma cosa gli dico? Mi vergogno...›› ammetto.
‹‹Inizia a salvare il suo numero, poi chiami il signor Lewis, prendi coraggio e chiami Ben››
‹‹Va bene… ci provo››

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