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Downtown High School, Manhattan, New York

L’ora seguente è quella di matematica. Quando entriamo in classe, il signor Collins è seduto alla cattedra e sta armeggiando con il suo tablet.

Matt ed io ci sediamo in seconda fila, Ely e Tom si mettono invece dietro di noi.

Dopo una breve introduzione e la spiegazione, il signor Collins inizia a scrivere alla lavagna delle equazioni di secondo grado da farci risolvere al momento.

‹‹Carter, vuoi provare tu?›› dice il professore indicando con il gessetto Tom.                                           
‹‹Va bene›› risponde lui alzandosi.
Mentre Tom spiega ad alta voce ogni passaggio che fa, io provo a risolvere l’equazione da sola.

‹‹Quanto ti viene?›› mi chiede Matt.
‹‹X alla seconda ugale a diciotto. A te?›› rispondo.                          
‹‹Meno treantadue›› dice lui preoccupato.                                   
‹‹Ma come fa ad uscirti meno trentadue se la x è alla seconda?››
‹‹Ma che ne so››                                                                                                     
Tom finisce di risolvere l’equazione alla lavagna e, dopo che il signor Collins l’ha ricontrollata, conferma che il risultato della x alla seconda è 18.

‹‹Se non vi è venuta giusta, provate a rifare l’equazione oggi pomeriggio a casa. Riguardate l’errore che avete fatto. Spero non siano tanto gravi, come ad esempio un risultato negativo›› dice Collins.

Matt continua a confrontare il mio quaderno con il suo in cerca di un errore.

‹‹Oh, ma io non capisco cosa ho sbagliato. A me sembra giusta›› si lamenta Matt.                                 
‹‹Se fosse giusta ti uscirebbe 18. Fammi vedere›› dico prendendo il suo quaderno.

Il primo errore salta fuori già alla prima riga.

‹‹Matt, guarda che 25 – 3 x 5 fa 10, non 110›› gli faccio notare.     
‹‹No, guarda che 25 – 3 fa 22 e 22 x 5 è 110›› ribatte lui.                         
‹‹Alle elementari hai mai fatto matematica?››                           
‹‹Si, ma sono da sempre una frana in questa materia››                   
‹‹Ma non mi dire…›› commento tra me e me prima di spiegargli come si risolvono le espressioni.

Il signor Collins scrive alla lavagna una nuova equazione, poi si guarda intorno per chiedere a qualcuno di risolverla.

Quando sta per posare lo sguardo su Matt, qualcuno bussa alla porta.

‹‹Avanti›› dice il signor Collins. 
‹‹Buongiorno signor Collins, scusi il disturbo›› dice una bidella affacciandosi alla porta, ‹‹il preside mi ha chiesto chiamare Matthew. Può uscire per qualche minuto?›› 
‹‹Ma certo›› risponde Collins puntando poi il gesso verso Noah.

Matt e Noah si alzano allo stesso momento. Il primo esce dalla classe, mentre il secondo, con aria di chi si crede chissà chi, prende il gessetto e va alla lavagna.

‹‹Meg, guarda come si risolve un’equazione›› mi dice Noah facendomi l’occhiolino.

Io lo odio. Lo odio.

Senza ascoltarlo inizio a risolvere l’equazione il più velocemente possibile, poi la ricontrollo e riesco a finire tutto prima che Noah scriva il risultato e appoggi il gesso sulla cattedra.

A lui viene 12, mentre a me 5.

‹‹Allora… mh… No, è sbagliata›› annuncia Collins.

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