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Wall Street, Manhattan, New York

Alle dieci di sera ci ritroviamo tutti dentro alla sala d’aspetto del Pier 11, un molo sull’East River che, come tutti i moli, dopo le otto di sera è deserto.

Io e Ben siamo vestiti di nero, mentre Tom indossa una camicia bianca, un gilet verde e dei pantaloni beige.
Appuntato sul gilet ha il bedge dell’aeroporto di suo papà e in mano tiene una cartelletta con dentro dei moduli.

Ely invece ha una maglia a maniche corte arancione con sotto una maglia a maniche lunghe a righe. Indossa anche un cappellino viola e continua a masticare la cicca.

‹‹Riprendere la busta è di fondamentale importanza. Se Victoria dovesse trovare quello che papà ha nascosto nel National Museum of Immigration di Ellis Island potrebbe scatenarsi una catastrofe. Non ho la minima idea di cosa abbia nascosto, ma sono sicuro che si tratti di qualcosa che riguarda quelli come me e Meg›› dice Ben, serio.
‹‹Ricapitolando, io devo fingermi il fattorino delle consegne che deve portare un pacco alla famiglai di Victoria, i Brown, da parte della tua famiglia›› dice Tom.             
‹‹Esatto, e dovrai dire che Alexander vuole avere le firme di tutti e tre i membri della famiglia. Se la persona che ti apre la porta dice che vuole chiamare mio papà, ricordagli che è in Arizona, e ha un fuso orario diverso›› specifica Ben.         
‹‹Quando sono tutti giù, entro in scena io. Tom li trattiene giù mentre io cerco di mettere fuori uso l’ascensore o di tenerlo occupato il più possibile, così guadagnate tempo›› continua Ely.                          
‹‹Si, poi io e Ben entriamo in casa e cerchiamo la busta›› aggiungo.
‹‹Appena noi troviamo la busta, vi scriviamo “fatto”. Se dovesse succedere qualcosa che non fa parte del piano, scriveteci subito “Matt”›› dice Ben.                                   
‹‹Perché “Matt”?›› chiede Ely.       
‹‹Per non dimenticarci che se rischiamo di finire in prigione è colpa sua›› dice Ben.

Dopo aver aspettato che la gente diminuisse, ci dividiamo e, con strade diverse per non dare nell’occhio, raggiungiamo tutti il palazzo dove abita Victoria a Wall Street.

Io, Ely e Ben entriamo nel palazzo.
Io e Ben saliamo fino al sessantunesimo piano, mentre Ely si ferma al quarantesimo.

Dopo aver dato l’okay a Tom, lui suona il campanello della famiglia Brown.

Nei minuti che seguono, la tensione si può tagliare con il coltello.

Sto davvero per entrare di nascosto nella casa di qualcuno? Sto commetendo un reato in pratica.

Quando Tom ci scrive che il signor Brown sta tornando in casa per chiamare il resto della famiglia, lascio andare metà dell’aria che sto trattenendo.

Poco dopo ricevo un messaggio da parte di Ely che dice “Siamo tutti nell’ascensore. Ora la faccio bloccare”.

Aspettiamo altro tempo e poi, finalmente, Ely mi scrive dicendo che l’ascensore è ferma a metà tra il settimo e l’ottavo piano.

‹‹Secondo i miei calcoli abbiamo tredici minuti da adesso›› dice Ben scattando verso le scale che scendono.
Scendiamo di un piano e ci ritroviamo davanti ad una porta di legno su cui si legge una targhetta che dice “Famiglia Brown”.

Ci siamo. Non sto nemmeno realizzando quello che sto per fare.

‹‹Dodici minuti. Tu guarda nelle camere, io cerco nelle altre stanze›› dice Ben, poi al suo tre, apre la porta ed entriamo.

La casa di Victoria, nonostante sia tutta su un piano, è incredibilmente grande.

Davanti a noi c’è un enorme salotto con un divano da almeno dieci persone bianco di pelle, una tv megaschermo e, per terra, è steso un tappeto persiano rosso. Dietro al megaschermo c’è una parete di vetro da cui si può vedere tutto il Downtown.

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