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MoMA - The Museum of Modern Art, Manhattan, New York

Dopo avermi presentato il dottor Grey, il signor Lewis mi riprende la mano.

È come se avesse paura che da un momento all'altro potessi scappare, cosa che farei volentieri.

Mi sospinge fino da Ben. Quest'ultimo allunga la mano nella mia direzione e, quando il signor Lewis lascia la mia mano, Ben la prende dolcemente.

Mi sento diventare tutta rossa. Ci stanno guardando tutti, ma non fa niente. Se sono con Ben mi sento più tranquilla.

‹‹Sei pronta?›› mi chiede a bassa voce.

Io scuoto la testa.

Ben sorride e mi abbraccia.

‹‹Non c'è niente di cui avere paura. Vengo con te›› dice.

Mi sento già meglio.

Sapere che non sarò completamente da sola mi fa stare meglio, sapere che con me ci sarà Ben... Ben mi da questa sensazione di sicurezza, non so perché. Me l'ha data fin dal primo giorno che l'ho visto.

‹‹Siete pronti?›› ci chiede il signor Lewis.

Io e Ben, prima di rispondere ci scambiamo un'occhiata. La sua è convinta, la mia è titubante.

‹‹Dai, ce la facciamo›› mi dice con un sorriso di incoraggiamento, poi si rivolge al signor Lewis: ‹‹Si, siamo pronti››            
‹‹Perfetto›› dice il signor Lewis allontanandosi dal quadro.

Il dottor Grey raggiunge il signor Lewis, mentre Jordan si mette vicino a Ely e Tom e li fa allontanare leggermente.

Ben mi fa mettere di fronte al quadro e lui si sistema di fianco a me, senza mai lasciarmi la mano. Gli sono grata per questa cosa, altrimenti mi sa che rimarrei qui fuori a fissare la parete. Sempre se non sarei già scappata.

‹‹Quando volete, ragazzi›› dice il signor Lewis.         

Prima di fare qualsiasi cosa, mi guardo intorno. Abbiamo gli occhi di tutti puntati addosso. Ognuno ci guarda in modo diverso. Lo sguardo del dottor Grey è estremamente serio, quello del signor Lewis invece è fiero e rilassato. Jordan è impaziente, mentre Tom invece è spaventato. Ely... Ely sta fissando Jordan.

Quando ritorno a guardare il quadro, sento un nodo in gola. Sono spaventata, agitata e felice allo stesso tempo. In tutto ciò vorrei solo piangere perché non so che altro fare.

‹‹Dobbiamo aprire il portale. Per farlo ci serve una chiave›› dice Ben, poi si avvicina al dipinto.                 

Il ragazzo passa un dito sul cielo. Quest'ultimo si illumina e inizia a muoversi più velocemente. Nello stesso tempo anche gli occhi di Ben si illuminano nello stesso modo.

‹‹Ora tocca a te. Devi toccare le stelle›› dice Ben.

Alzo il braccio e appoggio lentamente il dito sulla tela.

Mai avevo pensato di poter toccare questo quadro, e invece ora mi ritrovo a far scorrere il dito sulla vernice gialla delle stelle.

Non appena tolgo il dito, sento la stessa sensazione di prima.

Credo di aver capito cosa sia. Credo che i miei occhi siano diventati come quelli di Ben, brillanti.

Anche le stelle iniziano a vorticare sempre più veloce e si illuminano. Brillano come delle stelle vere.

Ben mi fa tornare dove eravamo prima.

‹‹Tra pochi secondi si parte. Tu non lasciarmi mai la mano, d'accordo?›› dice Ben.
‹‹D'accordo›› confermo anche se so che non l'avrei mai fatto.
‹‹Andiamo››

Non appena Ben dice quell'ultima parola, mi ritrovo catapultata in una dimensione a metà tra la realtà e l'immaginazione.

Non vedo niente, è tutto nero. Non vedo nemmeno Ben. Sento solo la sua mano stretta nella mia.

Mi sembra di essere in un vortice.

Non so più dov'è la terra e dov'è il cielo, sempre che ci siano.

Sento tutto girare e, nonostante la mancanza di luce, ho come l'impressione di vedere tutto il nulla attorno a me girare insieme alla mia testa e al mio corpo.

La mia testa sta girando in un senso, mentre il mio corpo in quello opposto.

Mi sento sbattere a destra e a sinistra, in alto e in basso.

Non vedo niente e non ho nemmeno la forza di tenere gli occhi aperti.

Stringo un po' di più la mano a quella di Ben per assicurarmi di non perderlo in questo vortice buio.

È come cadere nel vuoto aspettando con ansia la fine, solo che il vuoto non ha una fine.

O forse si.

Improvvisamente mi ritrovo ferma.

Non sto più volando nel nulla. Sono comodamente seduta per terra, su della sabbia credo. La mia schiena poggia su quella che mi sembra essere una roccia. Fa caldo, molto caldo.

Piano piano riapro gli occhi.

La testa mi gira ancora, ma meno di prima.

Davanti a me si estende uno scenario nuovo.

La sabbia rossiccia ricopre tutto ciò che ho davanti. In fondo alla distesa di sabbia, interrotta solamente da qualche piccolo arbusto secco, si vede il sole che sta calando. Ormai è quasi tutto sotto la linea dell'orizzonte.

Questa non è New York.

‹‹Come stai?›› mi chiede Ben sedendosi di fianco a me.
‹‹Bene, credo. Mi gira un po' la testa›› rispondo portandomi una mano sulla fronte.

Questo movimento mi richiede un grande sforzo.

‹‹Non preoccuparti, è normale›› dice Ben notando la mia faccia preoccupata.                               

Lo guardo con aria interrogativa, poi, ad un tratto, mi tornano in mente le sue parole: "Il passaggio richiede una grande quantità di energia".

Rimaniamo per alcuni istanti lì fermi in silenzio con lo sguardo fisso sull'orizzonte.

Non riesco ancora a capire dove siamo.

Di certo non è New York, ma ho la sensazione di aver già visto questo posto da qualche parte...

‹‹Ben, per quanto tempo staremo qui?›› chiedo.
‹‹Due ore›› risponde lui.
‹‹Possiamo fare un giro?››
‹‹Te la senti?››

A dire il vero, ora come ora, proprio no.

Solo il pensiero di alzarmi in piedi mi fa sentire ancora più stanca, ma voglio capire dove siamo.

‹‹Proviamo›› dico cercando di alzarmi.

Ben si alza subito e mi da una mano a fare lo stesso poi, una volta che sono in piedi, mi cinge la vita con un braccio e si assicura che io riesca a reggermi sulle mie gambe.

Per fortuna si, riesco a stare in piedi.

Sto un po' recuperando tutta l'energia che ho perso con il passaggio.

‹‹Vuoi togliere la giacca?›› mi chiede Ben.

Annuisco. Fa davvero caldo qui.

Ben mi aiuta a sfilare la giacca ma, quando tolgo anche la seconda manica e la lascio cadere tra le mani di Ben, dalla tasca scivola fuori un paio di auricolari che credevo aver perso.

Davanti ai miei occhi non ho più Ben che si piega per raccoglierli, ma ho l'immagine di una me che inciampa e cade andando a sbattere contro l'attaccapanni di casa mia. Oltre a vedere di nuovo il pavimento coperto di giacche a vento, tè bollente e frammenti di ceramica, vedo anche i foglietti che stavano nella tasca della giacca rossa di Ben.

Ora so dove siamo.

‹‹Hei, cherie, tutto a posto?›› mi chiede Ben preoccupato.

Prima di dare una risposta mi servono almeno conque minuti per realizzare la mia tesi.

‹‹Siamo in Arizona›› dico con gli occhi fissi sull'orizzonte.

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