capitolo 17

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Jimin's pov

Uffa, mi annoio tantissimo. Ho voglia di fare qualcosa, qualsiasi cosa, anche la più stupida, ma tutti sembrano essere occupati: il mio Kookie ha una cena con un cliente importante, Namjoon, invece, lavora fino a tardi e mi ha severamente vietato di andare in farmacia a disturbarlo.
E poi ci sono io, a casa di venerdì sera. È ridicolo. Devo ammetterlo: mi faccio pena da solo. Ho quasi 23 anni ed è come se ne avessi 83. Pff, patetico, un vecchietto ha una vita sociale più attiva della mia.
Io non faccio altro che lavorare, dormire, lavorare e dormire, non ho un fidanzato, un hobby, non ho niente.
E per di più sono innamorato di un ragazzo che non è gay e che non mi calcola minimamente.
Esatto, amo Min Yoongi da più di un anno. Un anno cazzo, trecentosessantacinque giorni dietro a uno stronzo che a malapena mi saluta.
Quel bastardo con i capelli blu mi fa impazzire, mi manda in tilt il cervello, ma non posso dirglielo, non voglio dargli questa soddisfazione.

Sento il telefono squillare. Chi sarà mai a quest'ora? Sono solo le dieci e non credo che siano Kookie o Nam, loro sono impegnati. Infatti, mi ritrovo un numero che non ho in rubrica, non lo conosco.
Rispondo.
«Pronto?»
«P-park, zei tu? Io zono...dyongi, sisi, sono io, e ccoti che mi chiamo, no? Yoongi, Min...Yoongi»
«Capo, è ubriaco vero?»
«Iiiiio? Ubriaaaco? Ahahahah fooo..rse un po', tpoco.»
«Arrivo da lei, dove si trova?»
«Nkn lp so, ci sono taaaante luci, e una scritta verde enoooirme.»
«Ho capito, rimanga li, sto arrivando.»
Ma guarda che mi tocca fare, adesso altre ad essere il suo schiavo, sono anche la sua babysitter, fantastico.
Ottimo Jimin, hai trovato cosa fare per stasera.

Entro nella discoteca e lo vedo su un tavolo a bere un cocktail, deve essere il ventesimo dato che ci sono un milione di bicchieri vuoti. Di fianco a lui c'è un ragazzo che gli bacia il collo. Mi sento scoppiare, ho voglia di ammazzare quello stronzo, però cerco di calmarmi. Mi avvicino e prendo in braccio quello che rimane del mio capo.
«Oooo P-park, zei vejnuto alla fiiine.»
«Già. Ora la porto a casa, ha alzato un po' il gomito stasera.»
Non ho neanche il tempo di guardarlo che si addormenta sul mio petto.
Bene, ora sono anche un letto, mi mancava questa.

Lo porto in macchina e mi dirigo verso casa sua. Prima che io scenda dall' auto sento il mio braccio tirare, mi giro e me lo ritrovo a due centimetri di distanza dal mio viso.
Sto per (s)venire. Ma la cosa che mi sconvolge di più sono le sue parole:

«Park, resta con me stanotte.»


Butler -VkookDove le storie prendono vita. Scoprilo ora