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-Qualche mese prima-

Elena era puntuale davanti all'ingresso del castello. Aveva controllato il suo orologio minimo dieci volte da quando era arrivata e la tensione saliva ogni secondo.
Improvvisamente una macchina scura parcheggiò davanti a lei e uscì un uomo.
«Ciao, Elena» la salutò Alessandro.
«Ciao. Sofia?» chiese.
«Si scusa, ma non si sente molto bene e non potrà venire» Quella era proprio la frase che Elena non avrebbe voluto sentire.
«Spero che si rimetta presto. Tu le dovrai riferire tutto quello che ti dirò, però» rispose, cercando di mascherare il suo umore.
«Certamente»
«Bene, cominciamo» lo esortò prima di prendere a camminare verso l'ingresso.

«E qui potremmo allestire il buffet dell'aperitivo» disse Elena indicando la stanzetta davanti a lei, «Cosa ne dici?» chiese girandosi verso Alessandro.
«A me va bene. Come te lo immagini?» chiese.
«Pensavo di mettere due tavoli, non di più. Formeranno un angolo retto. Sul primo tavolo metteremo le bevande, alcoliche e analcoliche, ovviamente, mentre sul secondo qualche stuzzichino. Direi di non fare un aperitivo troppo ricco, altrimenti nessuno mangerà niente a pranzo. Le tovaglie saranno avorio con dei vasi di fiori rosa, come piaceva a Sofia. Che te ne pare?»
«Perfetto» rispose l'uomo annuendo.
«Stai acconsentendo a tutto quello che ti dico, puoi anche cambiare qualcosa se non ti va» gli disse Elena.
«Acconsento perché tutto quello che dici è perfetto. Se penso al mio matrimonio, lo immagino proprio così come lo stai descrivendo» spiegò.
Elena sorrise forzatamente. «Da quanto tempo organizzi matrimoni?» domandò Alessandro.
Lei avrebbe voluto rispondergli che aveva iniziato poco dopo la loro rottura, ma aveva deciso di non rinfacciargli quell'episodio quel giorno.
«Da qualche anno» replicò. Lui si limitò ad annuire.
Quarantacinque minuti dopo avevano finito il giro.
«Bene, fammi sapere cosa ne pensa Sofia» disse Elena mentre apriva la sua macchina.
«Certo. Appena arrivo a casa le racconto tutto nei minimi dettagli» rispose Alessandro aprendo la portiera.
«Perfetto, dille anche che vi aspetto...» Elena venne interrotta dallo squillo del suo telefono. «Scusa, devo rispondere» disse dopo aver riconosciuto il numero dell'asilo sul display.
«Pronto» rispose.
«Signora Ferrara?» domandò quella che riconobbe essere la maestra di Nina.
«Sono io, mi dica. È successo qualcosa a mia figlia?» chiese preoccupata.
«Veramente sì» affermò la donna, «Nina si è sentita poco bene e l'infermiera, dopo averla visitata, ha notato che ha la febbre. Se è possibile, dovrebbe venirla a prendere» spiegò.
«Certo. Arrivo subito» le assicurò Elena.
«A dopo allora»
«A dopo» riattaccò e ripose il telefono nella borsa.
«Scusami, Alessandro, ma devo proprio...»
«Hai una figlia?» la interruppe l'altro con tono sorpreso.
Merda pensò Elena. Perché non era stata attenta a quello che stava dicendo?
«Alessandro, adesso devo proprio andare. Chiamerò Sofia per fissare il prossimo appuntamento» lo avvisò prima di salire in macchina e partire.
Durante tutto il tragitto non fece altro che pensare all'espressione di Alessandro quando aveva pronunciato quelle parole. Hai una figlia? Aveva detto con il tono di uno che era appena stato schiaffeggiato in pieno viso. E lei cos'aveva fatto? Se n'era andata. Molto maturo da parte sua. Avrebbe dovuto dirglielo. Avrebbe dovuto rispondergli "Sì, ho una figlia che non ha mai conosciuto il padre perché se n'è andato senza darmi l'opportunità di dirgli che ero incinta", ecco cosa avrebbe dovuto fare. Invece aveva preferito scappare, lasciarlo col beneficio del dubbio piuttosto che raccontargli le cose come stavano.

***

«Amore mio, come stai?» domandò preoccupata alla figlia una volta arrivata all'asilo.
«Mi fa male tutto mamma» si lamentò la piccola.
«Adesso andiamo a casa» le assicurò. Avrebbe chiamato Viola e le avrebbe detto di disdire i due appuntamenti che aveva quel pomeriggio. Avrebbe lavorato da casa quel giorno.
«Elena, posso parlarti?» le chiese Ginevra, l'infermiera dell'asilo e vicina di casa dei suoi genitori. Conosceva Elena da quando è nata ed era stata anche la sua babysitter. 
«Certo» rispose, «Aspettami qui un attimo, okay?» disse a Nina prima di andare in infermeria, «Cosa c'è? Sta tanto male?» domandò preoccupata.
«Non preoccuparti. È solo un virus passeggero. Guarirà nel giro di pochi giorni» la rassicurò Ginevra, «Dopo averla visitata le ho detto che ti avrei fatta chiamare per portarla a casa e lei mi ha detto di telefonare a suo padre» spiegò.
«Oh» fu tutto quello che uscì dalla bocca di Elena, «E tu cosa le hai risposto? Mi auguro che non le abbia detto che l'avresti fatto»
«Non preoccuparti, non le ho detto niente, mi sono limitata a chiamare la sua maestra» la tranquillizzò la donna, «Senti Elena, conosco la vostra situazione, so che il padre non sa dell'esistenza di Nina»
«Grazie Ginevra, questo migliora le cose» sbuffò la ragazza.
«Ascoltami, il mio è un consiglio. Contatta il padre e parlagli. Non so se migliorerà le cose, ma tentar non nuoce»
«Ho paura, Ginevra. Ho paura che lui non ne voglia sapere niente di lei. È una bambina. La mia bambina e non voglio che soffra per colpa di suo padre come ho fatto io anni fa»
«E se invece lui volesse accogliere Nina nella sua vita? Se lei è tutto ciò che sta aspettando?» ribatté Ginevra.
«E dopo? Cosa succederà? Il rimorso di non avergli detto tutto subito e di avergli fatto perdere i primi anni della vita di sua figlia scomparirà? Non penso proprio»
«Se non affronti il rischio non potrai mai saperlo, Elena»
«Non sono ancora pronta, Ginevra. Non so come la potrebbe prendere lui...»
«Pensaci su. Non c'è bisogno che tu lo contatti oggi. Anche tra una settimana va bene, ma fallo presto o Nina continuerà a farti domande a cui tu non potrai rispondere perché hai paura»
«Ci penserò, ma non ti prometto niente» rispose alla fine Elena aprendo la porta.
«Spero che seguirai il mio consiglio» fu quello che disse Ginevra prima di salutarla.
«Andiamo a casa mamma?» la pregò Nina.
«Sì, adesso ti porto a casa» Elena prese in braccio sua figlia e uscirono dall'asilo insieme.

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