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Ethan cominciava a patire la distanza con la madre, e forse i continui litigi col padre ed il non poterli più fare, cominciavano a fargli mancare anche il padre. Che poi, per imparare ad "amarlo", era stato costretto ad abbandonare casa.

Ed ora più era lontano, più gli mancava. Più gli mancava quel padre infelice che lo aveva reso altrettanto.

In effetti, non ricordava mai di aver visto il padre soddisfatto almeno una volta di ciò che aveva raggiunto, mai una gioia. E quella sua apatia, Ethan, l'aveva ereditata. D'altronde, come si può essere in grado di sorridere alla vita se il proprio padre ha sempre mozzato ogni sorta di felicità?!

Il padre, Tony, adesso ha una settantina d'anni, magro e i capelli bianchi. Nel fiore degli anni era un uomo pieno di energie, un stacanovista e tutto quel lavorare lo aveva affaticato, invecchiato, stressato e ridotto alla brutta copia di quello che era un uomo aitante.

Deluso costantemente della vita, così deluso che non provava altro. Ed inevitabilmente, quando chiudi le emozioni, quella delusione si riversava nel suo unico figlio. 

Quando era bambino, Ethan, aveva provato più di una volta ad aiutarlo, in qualsiasi modo, con qualsiasi mezzo che un bambino possa avere ma senza successo. Gli dispiaceva vederlo così, voleva fare qualcosa per lui in qualche modo ma il padre lo aveva sempre allontanato, e invece che ringraziare i tentativi del figlio, lo denigrava e questo lo faceva star male, perché non era abbastanza per quella figura paterna.

Quand'era piccolo voleva sempre giocare con lui (come tutti i bimbi col proprio padre), però il suo lavoro lo portava a stare sempre al bar, a servire a sconosciuti piuttosto che giocare col figlio. 

Ethan la ricordava bene la giornata tipo del padre.. una giornata divisa in due momenti: lavorare e riposarsi dopo essersi stancato a lavoro, e tra i due momenti non c'era mai il momento per lui. Arrivava sempre dopo il lavoro.

Il tempo da dedicare al proprio figlio non va mai sottratto ma quel tempo era sempre sfuggito ad entrambi, e tuttora quel tempo non sembrava arrivare. Se prima quel tempo veniva portato via dal lavoro, ora ci pensava la distanza su tutti i fronti a tenerli lontani.

Prima di andarsene di casa, Ethan voleva ancora fare qualcosa per lui. Lo vedeva sempre triste, invecchiato, logorato ma orgoglioso com'era il padre, non aveva mai permesso che il figlio gli desse aiuto. Aveva sempre mostrato di avere ancora forze, ma soprattutto che il figlio era un debole, non lui.

Ed Ethan sapeva che era vero: è sempre stato più forte di lui. Perché a lui bastava una parola, persino un'occhiata lo atterrava.

Ed ora che è diventato adulto, il padre era solo un mal di pancia. Quasi come se tutta la sua infanzia sia stata una semplice ma sofferente indigestione. Anche se da piccolo, la relazione col padre non era un'indigestione, era solo un torcicollo.

Quel torcicollo costante, perché sempre girato nei confronti del padre in cerca di un qualche cenno di approvazione, di soddisfazione, di un qualsiasi bel gesto che un padre dovrebbe rifilare al proprio figlio. Mai niente.. niente di niente.

Semplici carezze erano le sue uniche risposte. E questo aveva fatto soffrire Ethan, rendendosi conto che il padre non lo conosceva affatto, non conosceva i suoi desideri né sogni, né tanto meno le sue paure.

Anche se riflettendoci, il padre non si era mai reso conto nemmeno dei sentimenti suoi: questo perché non era mai stato abituato ad esprimerli né tanto meno a prenderli in considerazione. Ed è per questo che aveva visto il genitore paterno come una persona senza alcun desiderio, senza paure, senza sentimenti. 

Lo considerava solo come il padre. Cioè, era il padre e basta. Niente più, nient'altro che si celava dietro quella figura.



Ethan, inoltre, non si vergognava certo di dire d'essere nato in una famiglia non agiata. Non poteva certo considerarsi povero, perché di povertà in televisione se ne vede tanta e sicuramente peggio della situazione sua.

Gente senza casa, senza cibo, senza vestiti e lui queste cose ce l'aveva. Tuttavia non era agiato, e sicuramente c'era qualcuno più sfortunato di lui. Tuttavia la sua situazione l'aveva sempre vissuta a testa china, e gli altri coetanei non si esimevano certo dall'offenderlo e prendersi gioco di lui.

Perché nonostante avesse vestiti, quest'ultimi erano gli stessi che lo "tradivano", gli stessi che rivelavano la sua vera identità.

Voler sembrare a tutti i costi normale agli occhi degli altri ma in realtà vivi tutt'altro: una completa esistenza vissuta in una completa menzogna. E già da piccolo aveva imparato a mentire.

Bugie di grandi dimensioni e bugie, per così dire, più piccole: ad esempio che la televisione è rotta ma che in realtà avevano staccato la corrente; che non gli piaceva il gelato ma invece lo adorava solo che non aveva soldi.

Una serie di menzogne che, in tutta onestà, andavano solo a comporre la vera vita di Ethan: un maestro nel riparare, rattoppare. Un riparare milioni di volte perché impossibilitato nel comprare un nuovo.

Casa sua era piena zeppa di oggetti precari, provvisori in attesa di oggetti migliori e nuovi. Tuttavia, questi oggetti riaggiustati più e più volte avevano segnato la sua infanzia e di sicuro avrebbe resistito in eterno nella sua mente.

Senza tralasciare che da bambino aveva assistito ed imparato già cose che un bambino non dovrebbe mai sapere: il serio rischio di un fallimento.

Quando il padre, per pagare i debiti alla banca, si era messo a nudo vendendo tutto ciò che aveva pignorato. Ethan crebbe vedendo il padre ammazzarsi di lavoro per tentare di risolvere tutti i problemi che stavano vivendo in quel momento.

Seppur piccolo, ricordava l'umiliazione del padre nell'andare ad elemosinare soldi ai vicini ed ai parenti. Ricordava quel suo piccolo borsellino fatto di risparmi per comperare un monopattino offerto al padre per evitare di abbassarsi ancora di più nella vergogna.

Gli studenti nelle scuole che lo picchiavano, rubavano la merendina perché il padre non aveva soldi e quindi quella merendina l'aveva rubata. Ed il padre, troppo impegnato nei suoi problemi, non aveva intenzione di farsi carico anche di quelli di un bambino che non era in grado di difendersi da solo.

Ed Ethan aveva presto imparato a non fidarsi più del padre: un uomo che aveva spazio solo per i problemi suoi, e definire "vigliacco" il proprio figlio non è una cosa certo da andarne fieri.

E così crebbe con tante fragilità che dovette tramutare in forza per evitare di finire schiacciato da una società che vanta come primo obiettivo quello di aiutare le persone in difficoltà, ma alla prima occasione per dimostrare che quanto dicono sia vero voltano le spalle, pensando solamente agli interessi propri.

All'età di sedici anni andava in una cornetteria la mattina, il pomeriggio faceva da bibliotecario e la sera faceva il cameriere in una pizzeria. Tutto questo imparando presto cosa significava sudare per portare un pò di soldi a casa.

Tuttavia, nonostante i suoi sforzi, il padre non lo degnava di uno sguardo. Questo non fece che confermare le preoccupazioni che lo assillavano da piccolo: il padre semplicemente non lo voleva, non desiderava stare con lui.

Tutti quei tentativi di catturare la sua attenzione falliti. 

Anche se ricordava alcune cose belle che avevano fatto insieme, come quella domenica sera in cui andarono a mangiare una pizza fuori, proprio come una vera famiglia. Una vera famiglia unita.

Tuttavia un solo gesto in una completa esistenza fatta di litigi, così tanti litigi.

Ethan aveva cominciato ad andare in palestra, lottare contro un sacco per diventare un giorno un campione, guadagnando tanti soldi da poter sistemare tutto. Questo il padre non lo capiva, o non voleva, e quindi erano litigi su litigi.

Fino a quella sera, a quella sera in cui il litigio si tramutò dal verbale al manesco. E quel litigio fece scattare la molla ad Ethan: addio casa, addio mamma, addio essere che ha aiutato la madre a metterlo alla luce.

E così la loro era sempre stata una relazione difficile e quell'amore che dovrebbe esserci tra un padre e il figlio tra loro non era mai sbocciato.

Ed è da due anni che Ethan non vede e parla col padre. Un periodo lunghissimo, e non parlare con un genitore significa non avere appoggi, significa avere gambe fragili, significa essere solo contro il mondo.

AMORE D'AUTUNNODove le storie prendono vita. Scoprilo ora