4.

114 21 21
                                    

Ethan ricordava bene il bar del padre. Quel tipico bar che chiude la sera tardi e dove il titolare deve gestire gli ubriachi che non sanno che farne della loro vita. Ricordava bene l'esuberanza dei tipi alterati dall'alcol e ricordava altre-sì le fatiche del padre nel gestirli senza provocare una rissa.

Per questo ora che si trovava al bar con il coach, c'era un ubriaco che ci provava spudoratamente con la ragazza al bancone. Tuttavia, non era in grado di gestire la situazione come faceva il padre. Quell'uomo insistente gli stava dando un enorme fastidio, e sicuramente anche alla barista.

Il coach, comunque, l'aveva capito e gli intimava di stare calmo.

L'ubriaco, stava peggiorando, comportandosi come un perfetto bambino. Capriccioso ed arrogante, insisteva nel dire che la barista doveva uscire con lui.

New York era rinomata per la bravura delle autorità nel sedare qualsiasi tipo di rissa da bar, ma in quel preciso momento non c'era proprio nessuno. Ovviamente l'uomo non poteva fare chissà cosa a quella povera ragazza, perché c'erano anche loro nel bar. Ed Ethan aveva scambiato uno sguardo con la barista, e da quella sua espressione aveva capito che stava chiedendo loro di non andarsene nonostante avessero finito la loro consumazione.

C'era comunque l'allenamento da portare avanti e non poteva fermarsi, ma non poteva lasciar stare nemmeno quella ragazza sola con quell'ubriaco.

Ma l'iniziativa non aveva fatto in tempo a prenderla che il suo coach si era già avvicinato all'uomo ubriaco.

«Non credi di averne bevuto abbastanza?» esordiva coach Carter con tranquillità spiazzante, indicando il bicchiere.

«E tu che vuoi?»

«Non vedi che il tuo corpo è al limite della sopportazione? Hai così poco interesse del tuo corpo?»

«Cerchi guai, eh vecchietto?»

«Io no, e tu?»

«Ma cosa vuoi?! Levati dal cazzo, vecchietto!»

E l'attenzione dell'ubriaco era ritornata nuovamente alla barista, che schifata rifiutava ancora una volta le sue "premure".

«Brutta puttana. Se tu guadagni è grazie a me, che vengo qui sempre! Ed ora non vuoi uscire con me?!»

«La ragazza ringrazia, ma se ha detto che non vuole uscire, ti conviene rassegnarti.» aveva risposto il coach per la barista, che nel frattempo non si era spostato dal fianco del tizio sconosciuto.

«Ancora tu a rompere i coglioni?! Ma la vuoi proprio una bella lezione!?»

«Ti consiglio di andare a casa e riposarti.»

Il tizio, senza alcuna parola, provò a dargli un pugno ma il coach aveva già capito le sue intenzioni e l'aveva bloccato, ma non aveva considerato le sue gambe. Infatti quest'ultimo gli rifilava un calcio proprio sul polpaccio, facendo indietreggiare il coach.

Subito Ethan si era alzato per vedersela in prima persona, ma anzitempo era stato bloccato dal mister. 

«Tu non puoi, hai un combattimento importante e non puoi rischiare d'essere squalificato.» gli aveva intimato il coach.

Il tizio aveva alzato entrambe le mani, con la sinistra a fare buona guardia ed il destro pronto a colpire. Piegato leggermente sulle ginocchia, si era diretto nuovamente contro il suo avversario.

Due ganci forti, ma il coach aveva respinto bene. Poi un pugno che aveva fatto indietreggiare il tizio ubriaco facendolo barcollare pericolosamente, e sicuramente influiva anche la precarietà della sua salute.

Nonostante l'equilibrio scarso, l'ubriaco  con un buon balzo si era alzato e con la gamba destra provava a colpire l'avversario, ma sembrava aver perso nuovamente l'equilibrio e molto probabilmente sarebbe caduto male. 

Ethan si sbagliava di gran lunga, perché mancato col destro aveva rilanciato l'offensiva col piede sinistro, colpendo il suo coach. Poi mentre stava per cadere con entrambe le mani aveva evitato l'impatto col terreno e con grande slancio aveva rifilato un calcio rotante facendolo crollare a terra. Questo Ethan non poteva permetterlo, e così era pronto a vendicarsi, ma fu interrotto.

«Jeff, ma in questo stato ti sei ridotto?!» aveva detto coach Carter mentre si rialzava massaggiandosi la guancia.

«Come fai a conoscere il mio nome?!»

«Non mi riconosci?! Sono Carter, Lewis Carter.»

«Impossibile!»

«Voi due vi conoscete?!» chiedeva esterrefatto Ethan.

«Ci siamo sfidati nell'ultimo incontro per decretare chi dovesse essere il campione in assoluto. Ti ho raccontato come è andata quella volta. E ricordo che persi proprio con quel calcio rotante, solo che allora mi colpisti vicino l'occhio.»

«Già.» diceva affranto il tizio.

«Ma quindi tu sei Jeff Throman?!» chiedeva eccitato Ethan.

«Lo ero, ragazzo. Ora sono un fallito, ubriaco che non riesce più a rimorchiare una ragazza.»

«Ma perché ti sei ridotto in questo stato pietoso?!» chiedeva nuovamente Lewis.

«Dopo quell'incontro, dopo aver vinto la cintura da campione, ero diventato il fenomeno del momento. Gli sponsor facevano a rissa per accaparrarsi la mia immagine, interviste in ogni momento ed ho girato numerose pubblicità. Poi prima di un incontro, ho letto la notizia che ti eri ritirato per un distacco di retina. Sapevo che la colpa era la mia e ci sono stato malissimo. Per causa mia avevi finito la tua carriera. E poi ho fatto altri combattimenti e tutti con tanti sensi di colpa. E se poi facevo terminare un'altra carriera?! E così non riuscivo a dare il meglio di me, ed ho perso numerosi scontri. Ho perso presto la cintura da campione, e con essa sponsor e tanto altro. Ed oltre al nome che mi ero creato con il sudore, ho perso anche la mia voglia di combattere, e così mi sono ritirato.»

Né Ethan né coach Carter erano in grado di dire qualcosa.

«Mi dispiace Lewis per quello che ti ho fatto. Aver saputo del tuo ritiro è stato per me duro.. avevo un fortissimo senso di impotenza e frustrazione.. vedermi come colui che ha allontanato un atleta dal suo sogno. Quella sensazione era diventata un rivale troppo grande con cui competere, un rivale che non riuscivo a sconfiggere. Poi tutte le sconfitte, aver perso la cintura, mia moglie che mi ha lasciato mi hanno fatto sentire un peso, di essere la causa dei problemi di tutti. Mi sono sentito responsabile. E mentre perdevo tutto quello che avevo creato con anni di sacrifici, i sensi di colpa aumentavano. Stavo male e mi sembrava che tutti mi guardassero in maniera diversa. Vivevo la mia condizione come una malattia, una punizione divina. E così eccoti spiegato come mai mi trovo in questa condizione.»

«Ma Jeff, capita in un incontro.» diceva coach Lewis, che finalmente aveva ritrovato la parola. «Non l'hai mica voluto ed i sensi di colpa ne sono la testimonianza. E comunque non ho smesso. Ora alleno Ethan, un ragazzo formidabile. Diventerà campione, puoi contarci.»

«Certamente può farcela. Ma Perez, qualora arrivasse allo scontro finale, non è certo un avversario facile da battere.»

«Lo sappiamo, Jeff. Sai, non ho mai portato Ethan in un bar per un caffè. Io reputo quest'incontro come un segno del destino. Insegna lui l'arte capoeira.»

«Non la pratico da anni.»

«Ma la sai ancora praticare, ed oggi, nonostante l'ubriacatura sei riuscito a muoverti bene. Ti prego, fai il secondo coach!»

«Non lo so, Lewis.»

«Per te non ci sarebbero problemi, Ethan?»

«Certo che no.» rispondeva eccitato Ethan.

«Non lo so, Lewis. Comunque ora devo andare. Mi ha fatto piacere vederti.» e faceva per uscire dal bar.

«Jeff, qualora cambiassi idea, la mia palestra è proprio questa qui di fronte. Promettimi che penserai alla mia offerta. Potresti rifarti una vita.»

«Prometto che ci penserò, Lewis. Buona fortuna, ragazzo.»


AMORE D'AUTUNNODove le storie prendono vita. Scoprilo ora