1. Trasferimento.

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La macchina color carbone di mia madre si ferma davanti alla nostra nuova casa. Osservo l'edificio di fronte a noi: bianco, con una grande porta di un legno scuro. Scendo dall'auto prendendo il mio bagaglio dai sedili posteriori. Sospiro raggiungendo l'ingresso della villetta in cui dovrò vivere per il resto della mia vita, o forse soltanto per qualche mese. Non sono molto entusiasta di abitare in Australia, più precisamente a Sydney. La città è fantastica, ci sono un sole e un cielo bellissimo, ma sono stanca di cambiare abitazione passato un anno, neanche. Ho diciottanni, appena compiuti, e sarebbe opportuno per me essere sedentaria, trovare un posto in cui possa passare un'adolescenza tranquilla, con mia madre. Tutto questo viaggiare da un paese all'altro ha avuto inizio quando avevo quattordici anni. Uno stupido incidente ha portato alla morte mio padre, e alla disperazione di mia madre, la quale, ha cercato di ricominciare più volte, ma con gli uomini sbagliati. Di conseguenza, quando soffriva, mi ordinava di preparare le valigie e, in men che non si dica, ero seduta sul sedile di un aereo diretto in qualche parte del mondo. La mia città Natale è Londra, e mi manca tanto, forse troppo.

Una volta che ho sistemato i miei bagagli nella mia futura camera, che è tutta sulle tonalità del verde-acqua, scendo le scale in parquet, e aiuto mia madre a riordinare le sue cose.

-Mamma la tua valigia dove la metto?- Chiedo stringendo il manico di un grande borsone blu scuro. La donna di fronte a me, afferra degli scatoloni, e, dopo che li ha appoggiati sul divano, mi rivolge le sue attenzioni.

-Al piano di sopra: la mia camera è la seconda porta sinistra.- Sfoggia uno dei suoi bellissimi sorrisi. Annuisco e trascino, con fatica, il bagaglio di mia madre nella sua stanza. Appena entro in quest'ultima rimango basita dalla sua bellezza. E' sulle tonalità del grigio e un panna spento, ma è parecchio illuminata, poiché un'ampia finestra si estende sulla parete davanti a me. Ritorno da mia madre, la quale sta finendo di riporre su una mensola alcune fotografie.

-Ho fatto. La tua camera è spettacolare.- Accenno un sorriso aprendo uno scatolone e trovandoci dentro il set preferito di piatti di mia mamma.

-Vero? Anche la tua non è da meno. Invece, cosa ne pensi della casa in generale?- Chiede aiutandomi a riordinare nelle credenze della cucina le stoviglie.

-E' bella, ma tanto la abbandoneremo presto. Come sempre.- Alzo leggermente le spalle e sento la donna di fianco a me sospirare.

-Lo sai anche tu mamma che succederà, ormai siamo abituate tutte e due.- Cessiamo entrambe di muoverci, e ci guardiamo. Gli occhi marroni di mia madre sembrano essere avvolti da un velo di tristezza: ho detto solo la verità, non c'è niente per cui essere tristi.

-Domani inizierai la scuola, sei pronta?- Cambia discorso come al solito. Quando sa che ho ragione tende a rimanere zitta per qualche secondo, per poi iniziare a parlare di un argomento totalmente diverso da quello precedente. Odio questo suo lato, perché non riesce ad affrontare la realtà, invece io ci sto lottando da quando ero soltanto una ragazzina.

-Sì, spero di fare nuove amicizie.- Ammetto appoggiandomi, con la mano destra, al mobile della cucina.

-Certo che le farai: sei simpatica, affettuosa, sorridente...- E continua dicendo una marea di aggettivi sul mio conto. Alzo gli occhi al cielo e, nel frattempo, mia madre continua imperterrita a parlare. Le pare tutto così semplice: lei può scappare se qualcosa va storto, io no.

-Sì, sì, okay.. tu quando inizi a lavorare?- La interrompo sbuffando sonoramente. Il lavoro di mia madre consiste in stare dietro una scrivania: fa l'impiegata.

-Domani mattina, alle nove. Ritorno a casa verso le sei e mezzo- Sorride riprendendo ad aprire alcune scatole.

-Mh.. okay.- Dico soltanto. Non mi piace stare a casa da sola quando siamo in una nuova città e, soprattutto, quando non ho amici. Non ho nessuno da abbracciare, con cui sfogarmi, ridere, scherzare. L'unica è mia madre, ma non la potrò vedere fino a sera.

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