32. Cella 110

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-Come si dichiara?- 

-Colpevole.- Affermo. Due guardie mi afferrano e mi riportano nella mia cella,  chiudendola. Chiudo anche la finestrella e mi accascio a terra piangendo. Sono così stupida, così idiota. Sono un'assassina. Sono una persona che ferisce, che abbandona, che allontana. Sono una persona che sta cambiando. Forse è per quello che non mi accetto: il cambiamento. Dev'essere stato difficile per Ashton cambiare così tante volte e ora lo sto capendo. E' davvero orribile cambiare, accettare una nuova te. Ma io voglio questo: voglio cambiare.. voglio essere nuova di zecca. Da sotto la porta passa un foglietto. Lo afferro tra le mie mani. Sono gli orari degli incontri con una psicologa. Ce ne sarà uno tra.. adesso. La porta si apre e mi alzo di scatto.

-110, seguimi.- Mi dice il poliziotto. Ho perso anche il mio nome oltre che alla mia libertà. Ora non mi chiamo più Julia Evans, ma 110. Dopo aver camminato tra i corridoi grigi e scuri arriviamo davanti ad una porta di legno. L'agente bussa, apre la porta e mi spinge dentro. Ci sono una decina di sedie messe a cerchio e qualche ragazzo seduto. 

-Benvenuta, siediti pure.- Mi accoglie una signora anziana. Faccio come dice e mi siedo lontana da tutti. C'è un ragazzo coi capelli rossi che mi fissa incessantemente. Abbasso lo sguardo arrossendo. 

-Bene, direi che possiamo iniziare. Tu, alzati dimmi il tuo nome e perché sei qui.- Dice indicandomi. 

-Mi chiamo Julia Amy Evans e sono qui perché voglio cambiare.-

-Stronzate.- Sputa il ragazzo dai capelli rossi.

-Prego?- Chiede la signora. Il ragazzo si alza e mette le mani nelle tasche della sua tuta arancione. Si guarda i piedi per un secondo poi mi trafigge con lo sguardo.

-Sono stronzate. Non è il posto adatto per cambiare. E' il posto adatto per marcire.-

-Io non ne sono convinta.- Controbatto.

-Perché sei appena arrivata.-

-Okay, voglio andarmene da questa stanza.-

-E io vorrei andarmene da qui, ma non possiamo avere tutto sai, dolcezza?-

-Perfavore calmi. Come ti chiami ragazzo?-

-Non importa come mi chiamo, non importa come sono finito qui. A nessuno importa della mia storia, nessuno. Lei me lo chiede solo perché è il suo lavoro se no se ne fregherebbe altamente.-

Mi sta antipatico quel ragazzo, insomma chi si crede di essere? L'ora passa in fretta e una sirena suona. Guardo il poliziotto che mi afferra l'avambraccio. Non andiamo alla mia cella, ma mi porta in un giardino. Credo che sia tipo l'ora d'aria. Mi lascia e cammino verso l'unico albero presente. Dovrò stare qua dentro un anno. Forse me lo merito, forse no. Ma è stato deciso così, io ho voluto così e ora lo devo accettare. 

-Cosa ci fai seduta sotto il mio albero?-Alzo lo sguardo e trovo due occhi verdi che mi fissano: quel ragazzo odioso.

-Il tuo albero?-Mi rialzo pulendomi i pantaloni con delle pacche decise.

-Sì. E' il mio albero. Vattene.- Lo guardo accigliata, alzo le spalle e lo supero, ma improvvisamente mi blocca. Ditemi se è scemo o scherza. -Vuoi una sigaretta?-

Lo guardo ancora più sbalordita di prima. -La vuoi si o no?- Dice seccato. Annuisco. E dai pantaloni tira fuori un vero e proprio pacchetto di sigarette. Prima mi sbrana dalla psicologa, poi mi ordina di andarmene dal suo albero e ora mi offre gentilmente una sigaretta? Tutto sensato mi dicono.

-Come ti chiami?- Domando con la sigaretta tra i denti. Me la accende e sospirando si siede sotto il suo amatissimo albero. -Siediti.- Mi impone. Okay, Julia è un pazzo maniaco pronto ad ucciderti appena abbassi lo sguardo.

-Sei mestruato o cosa?-Chiedo seriamente. Lui ridacchia in risposta. Ruoto gli occhi e mi siedo a gambe incrociate davanti a lui, osservandolo

-Come mai ti interessa come mi chiamo?-

-Sei.. curioso.- Accenna un sorriso. -Mi chiamo Ed. Ora ti faccio io una domanda, perché sei qui?-

-Perché... un ragazzo mi perseguitava e ho tentato di farla finita, ma non ne ho avuo il coraggio gli ho solo infilzato la coscia.- Sorride ancora, poi si alza velocemente buttando la sigaretta a terra e calpestandola. Inizia a camminare verso l'entrata. Cammina quasi come Ashton. Ashton, chissà cosa starà facendo ora. Chissà se mi sta pensando.. chissà come si sente. Finisco la sigaretta e nello stesso istante in cui la butto a terra spegnendola, una sirena suona. D'istinto mi avvicino alla porta da cui sono entrata. Una guardia mi afferra l'avambraccio e mi trascina fino alla mia cella. 

-La cena sarà servita alle 19.00. Ti porterò io. Non farci l'abitudine, ti accompagnerò ovunque solo questo giorno, giusto per farti vedere dove sono i vari locali. Poi ti arrangerai da sola, se ci riuscirai.- Mi spiega con voce dura.

'Poi ti arrangerai da sola, se ci riuscirai.' Cosa intendeva? Quell'uomo è inquietante, anche esageratamente. E' alto, ben strutturato, deve avere una tartaruga dura come l'acciaio. La divisa gli sta quasi stretta, ha gli occhi azzurro ghiaccio, i capelli lisci castano scuro e uno sguardo da far paura. 

-Hai capito ragazzina?- Mi allontana dai miei pensieri con quella domanda.

-Ho capito.-Dico allontanandomi dalla porta scura. Dopo qualche minuto passato a fissare il soffitto grigio passa una signora e dallo sportello mi passa delle pillole rosse fuoco. La guardo stranita.

S-ono per calmarti, prendile. Ti aiuteranno.-Annuisco. Lascio che se ne vada poi le nascondo nella federa del cuscino. Non sò praticamente nulla su questo posto, figurati se inizio a prendere delle pillole che mi offre un'anziana signora.. per quanto ne sappia potrebbe essere la stessa vecchia la quale ha dato a Biancaneve la mela avvelenata. Mi sdraio ancora sul letto e osservo fuori dalla piccola finestrella. Mi chiedo a cosa serva una finestrella in una prigione. Insomma, tu sei dentro e non sai cosa sta succedendo fuori, come stanno le persone che ami o i cambiamenti che essi compiono.. una cosa assurda. 

Passo le mie ultime ore di tranquillità a fissare fuori dalla finestra lo spostamento lento delle nuvole. La sirena squilla e mi precipito giù dal letto aprendo lo sportello lentamente. Fiumi di ragazzi, e ragazze, passano per il "mio" corridoio, arrivano da tutte le parti. Poi di colpo, il silenzio. Tutti se ne sono andati. Quell'agente misterioso arriva e mi apre la porta della mia cella. Osservo chiuderla subito dopo a chiave quando dei rumori, provenienti da dietro me, richiamano la mia attenzione.

Stay with Me➵afiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora