Capitolo X - Salvezza

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Proseguimmo lungo quel sentiero sterrato, che si fece nuovamente strada non appena giungemmo ai piedi della montagna.
L'asfalto, dilacerato dalle crepe, ardeva baciato dal calore del sole, mentre ci riempì di malinconia scorgere ancora il deserto che imperava incontrastato.
Ormai la città era più vicina di quanto pensassimo: finalmente ce l'avevamo fatta. La fame, la sete finalmente potevano alleviarsi.

Alle porte della città non v'era nient'altro che distruzione, qualche veicolo in fiamme, abbandonato ad un ferale destino, graffiato dalla ruggine, coi vetri in pezzi e bollenti.
Qualcuno era rimasto, ed era qualche operaio che lavorava nelle fabbriche vicine, di cui si scorgevano i fumi neri, gonfi di quel morbo. Avevamo le maschere antigas già da tempo, perciò non ci preoccupammo d'addentrarci nella città.
Molti dei cadaveri erano stati sepolti, mentre qualche carcassa dilaccata dai cani era rimasta agli angoli della strada, tra gli edifici lasciati al loro fato.

Eravamo nei pressi d'un largo incrocio, al cui centro giaceva un'isola verde, ricolma di prati, palme e fontanelle. Sarebbe stato un piacere abbeverarci, ma non eravamo sicuri dello status salutis della rete idrica locale, così preferimmo andare alla ricerca del primo supermercato rimasto aperto dopo la morte o il trasferimento di molta gente dalla città.
Corrugando le pieghe del viso, Leonardo mi sussurrò:«Ma quello è un uomo... Un uomo morto». Lo guardai un attimo perplesso e, allontanandomi in sua compagnia dal gruppo, scorsi tra le piante la sagoma di un uomo, mentre il fetore di cadavere si faceva più intenso, malgrado non fosse irrespirabile come avrei immaginato. «Sì», risposi, «è un cadavere. Non è stato ancora sepolto».
«E non lo seppelliranno mai più», mi disse di rimando. Pareva un uomo sulla cinquantina, aveva capelli neri e una pelle scura, tipica degli uomini di quell'etnia, mentre il viso giaceva sul terriccio. Decidemmo di spostarlo, per capirne l'identità. Dai pori della pelle erompeva un sebo grigiastro, che ne mummificava il corpo, rendendolo, in apparenza, intatto. Leonardo si munì d'un paio di guanti e sporcandosi di quella sostanza tastò il cadavere. Dalla pelle che rivestiva il braccio venne fuori un fiotto di quella sorta di pus, che ci fece ristare un attimo. Poi lo spostammo.
«Che cos'è questa melma?», disse Leonardo inorridito.
«Non lo so, non ne ho la più pallida idea».
«Sembra che riempia il corpo così come l'acqua fa con un palloncino».
«Ma un palloncino non è ricoperto d'acqua anche fuori», affermai da idiota, «qui l'acqua, in un certo senso, ricopre il palloncino».
«Sarà uno degli effetti del batterio? Dobbiamo prenderne un campione». Trasse dallo zaino una bustina, e col guanto afferrò un grumo di quella belletta, per poi riporcelo. «Che schifo!», esclamò.
Nel frattempo anch'io avevo messo un paio di guanti e feci dunque per girare il cadavere.
Mi sorprese un conato di vomito, ma non potevo togliere la maschera, così lo trattenni, sentendo gli acidi che corrodevano le pareti dell'esofago. Il viso di quel pover'uomo era tagliato dalle rughe, segno della precedente disidratazione, portava la bocca aperta e gli occhi parevano esser affondati nelle loro orbite, in un ammasso di materia cerebrale e pelle morta. Tutto questo era, però, al di là del muro di sebo che avvolgeva il corpo. Lasciammo quell'orrore al suo destino, se mai uno ne avesse avuto, per poi proseguire.

«Questo lo daremo a David. Sarà fiero di noi!», esultò Leonardo.
«Ma certo, non vedrà l'ora di studiarlo!», dissi con un sorriso a trentadue denti.
«Però è ora che raggiungiamo la truppa, staranno rapinando qualche alimentari», proferì sogghignando.
«Era anche tempo che mangiassimo qualcosa!»
«Vorrò vedere come farà il colonnello a mangiare con questo coso in faccia», e con un momento d'esitazione, «temo che ci farà macellare il cibo per farlo entrare nella maschera». Poi rise e disse:«Da parte sua in fondo non sarebbe affatto una novità».
Pensando alla squadra che si cimentava nel ridurre il cibo in poltiglia per metter su qualche milligrammo, anch'io in effetti un po' sorridevo.

Guardandolo negli occhi gli dissi:«Be', ci credo. Il colonnello è un uomo ardimentoso. Mi chiedo che cosa l'abbia fatto diventare così».
Leonardo accennò un sorriso e preferì non parlarne. «Ah, eccoli lì. Andiamo, forza! Si staranno preoccupando», ribatté con tono ironico.
Ci dirigemmo verso il plotone e non si fecero attendere le prediche del colonnello:«Che fine avete fatto? Avete per caso intenzione di morire?». Che fastidio! Non siamo dei bambini. Era davvero un tipo ansioso, quantunque a volte sapesse esser freddo come un ghiacciaio.
«No, colonnello», gli rispose Leonardo, «siamo anzi latori di buone notizie».
«Siamo curiosi, che cosa ci portate? Un bambolotto per non sentirvi soli?», i soldati scoppiarono in un riso palesemente artato, poi Leonardo gli porse la bustina contenente la sostanza in questione.
Il viso del colonnello parve non trasparire più verun'emozione. Non si fece attendere la corsa di David verso di lui, i cui occhi s'illuminarono di stupore. Era evidente che non vedeva l'ora d'avere quella fanghiglia sotto le lenti del microscopio.

«Appena troveremo un modo per mangiare, a te e alla femminuccia una porzione extra d'involtini primavera».

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