Capitolo XIX - Impietosa inopia

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L'eternale lampa, ormai orta, pingeva i cementi fumidi di pietà lungo le strade, smaltandone i graffiti e le disiecta membra di quantunque ancora vi si potesse leggere.
Quel mattino l'ignito lucere dell'aurora aveva slavato dai visi pallidi di strazio il dolore della partita da questo mondo.
Avevamo lasciato, per ordine inderogabile del colonnello, pur dianzi affogato nel corrotto del cuore che l'aveva travolto, il cadavere d'Izabella accasciato sul muro ove incandescente eruppe la peritura passione. Né eziandio potevamo lasciarvi un segno della nostra precisa presenza, dal momento che malamente tentavamo di procacciarci onde sopravvivere.

Ormai il sole vergeva al Mezzodì, e, i confini orlati dal cilestro ciel, comburendo mungeva lagrime pregnanti di morte, cui ogni stomaco, con le pareti divorate dagli acidi che da soli fervevano, era ormai prossimo.
Non v'era cibo. Se non muffa e carcasse, talvolta umane, talaltra animali. Le mimetiche distringevano le corpora imperlate in un abbraccio mortale. A fatica gli uomini del colonnello recavano i grevi fucili, chi sarebbe stato disposto a morire, chi audacemente a farsi uccidere, sebbene, in tali circostanze, la sbiadita cortina che separava l'attivo dal causativo fosse come sabbia offuscata. Saremmo deceduti comunque.
Trema la mia mano nell'accingermi a scrivere quanta fosse la doglianza che in cuor mio provai, nel veder la morte sul mio e d'altri volto. L'imperare infuocato del colonnello nereggiava di sconfitta, soltanto l'orgoglio lo fece desistere dal suicidio, soltanto l'onore e la sua patria trattenevano nella canna la ferrea pallottola, che ancor avrebbe assaporato la materia umana.

«Quali sono gli ordini, colonnello?», domandò Leonardo ostentando l'umano lume non più tanto chiaro.
«Leonardo, non ci sono ordini».
«Ma... Colonnello, non può finire in questo modo», echeggiò dalla schiera d'uomini; mi parve Alberto, benché il torpore della mente non mi permettesse più di scernere il cognito dall'incognito.
«Abbiamo contesto noi stessi le trame del nostro fato. Abbiamo scelto. Abbiamo creduto nella nostra scelta. E solamente questo ci porta onore: l'audacia con cui siamo giunti sin qui. Per una scelta. Sapete, l'uomo sceglie, talvolta sbaglia, ma non per questo è riprensibile, altrimenti non si direbbe umano. Siate fieri di quanto siamo riusciti a fare sino ad ora, siate sempre fedeli ai vostri ideali, perché essi rappresentano la sagoma della vostra identità. Vi prego di non divenire mai parte del peculio, siate diversi. Sempre. Perché nell'originalità sta la cura ai morbi umani, diversamente crudeli fiere di cui noi medesimi saremmo la preda: loro i cecchini, noi gli inermi. L'originalità osa, affonda le proprie piote nel grigiore dell'automatismo umano, ne cambia le carni stesse, benché continui a creare entro i limiti dell’uomo. Ma non scoraggiatevi, non tutto è ancora creato», secondò alle parole il silenzio, le palpebre chiuse. Poi, «vero, David?».
«No -ha ragione- non tutto è stato ancora creato. Il genere umano è vedovo della cura a quanto l'ha smembrato. Il genere umano merita giustizia».
«Come intendete agire? Resterete qui a lasciarvi spolpare da qualche micrometro di vita o preferite combattere? Noi abbiamo tessuto il nostro Destino, ma la morte non c'incalzerà. Non oggi. Sorgete e mescete guerra contro chi ha ucciso quello che amavate. Se anche voi morirete, questo mondo non cambierà mai. Siete o non siete soldati? Ma soprattutto... Chi comanda qui?».
Strappate le dubitanze che li legavano all'oblio, venti uomini puntarono il viso mascherato al cielo radioso e al guardo adamantino del colonnello. Persino il soldato sconosciuto, tremante lo scheletro, s’alzò. Né aveva parlato sinora.
«Guo. Il mio nome è Guo».
Luceva l'iride bruna del colonnello.
«Bene, la tua lingua s’è quindi decisa a muoversi!».
«Benché soldato d'opposta fazione, ben comprendo l'onore e la gloria. Solo per questo ho parlato. Ma ricordi, colonnello, anch'io ho una nazione da servire. Fino all'ultima stilla di sangue».
Accigliato il guardo, il colonnello disse di rimando:«Non ne dubito. Ma a volte la paura di morire è più forte d’un ideale, sappilo».
«Joseph e Stephen, mi raccomando. Non lasciatevelo sfuggire. Per nessuna ragione».
«Certamente, colonnello», dissero ambedue unanimemente.
Un'altra marcia incontro alla morte era ormai incipiente, piegammo il suolo sabbioso e vi infondemmo il vigore della nostra vita, la nostra essenza, l'impregnammo d'una scelta, la nostra scelta.

Da mezzanotte, pochi nembi aduggiavano il chiarore del sole, annunciando il merore delle ore pomeridiane.
Sparsi raggi, fratti dalle nubi, filtravano sino alla terra scura, chiazzandola di luce.
Sostenendo il peso degli zaini colmi d'armi, vagolammo per Baotou; quella città, sin dal momento in cui v'entrammo, m’aveva spirato un'aura di pericolo, d'insicurezza, di desolazione.
Udimmo un sordo zampettare. Era l'incedere d'una povera bestia: un cane. Un tempo indubbiamente partecipe del serto familiare, ora vagava da solo, emaciato, come noi, dalla fame, per quei luoghi immemori, relitti dell'umanità splendente. La cassa toracica s'intravvedeva attraverso la pelle, che, ormai popolata da innumeri zecche, avide della sua linfa vitale, era piagata dall'inopia, visibilmente disidrata, scottata dal calore. Né fuggì né abbaiò. I suoi occhi, di cui ancora ricordo il fulgore quasi fossero cristalli, incrociarono i soldati, che non parvero intimorirlo. Poscia proseguì per la sua via, spandendo dove che passasse un arido olore di malinconia, di rassegnazione. Era un Labrador, o per lo meno ero sicuro che fosse tale. E sapevo che non gli sarebbe rimasto molto.

Giungemmo appo un lago di liquami, viscidamente atro di sporcizia; pochi tubi cosparsi di ruggine secernevano ancora liquidi ricolmi di batteri, e, senza dubbio, anche di quel batterio. La ruggine quasi vermiglia scudava quel ferrame dal contatto con l'aria, già da lungo tempo avvenuto; e di cui essa stessa era il risultato.
Seguì alle silenti cogitazioni dei soldati un altro zampettare, questa volta men greve, forse perché più lontano.
Sotto la guida del colonnello, ci dirigemmo, armati ed in silenzio, alla fonte del rumore. Non importava affatto chi fosse: la pietà non era più ammessa.
Ci trovavamo in prossimità d'una banca, che ancorché squarciata dal tempo e dalla villania, sembrava una banca.
Poi fugaci cinque o sei sembianti d'uomo corsero da destra verso sinistra, dall'altro lato della via.

«Andiamo», ordinò il colonnello. «Nessuna pietà».

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