Capitolo XXXI - Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?

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Il glucometro l'aveva punto: ecco una perla insanguinata. Un 130 nero sullo schermo. Impallidì. La grafite solcò le pagine d'un diario consunto. Adesso il 130 era lì; niente poteva spogliarlo del proprio valore. Non erano che tre canali nella terra, scavati da un uomo. Non gli restava che andare.

«Presa l'isioniazide?».
«No, ho trovato solo etambutolo e pirazinamide».
«Bene, allora datti una mossa», rimbrottò Chunyi a David.

«Che cosa mi farete?».
«Niente, Alex, farà tutto lui. Noi ti cureremo».
«Che cosa devo fare ora, Chunyi?».
«Svestiti e stenditi sulla barella».
«Perché devo svestirmi?».
«Non sappiamo che cosa sia».
«Che cosa?».
«Quella cosa. Il batterio».
«Non era un bacillo di Koch?».
«Così pare».
«Rimarrò vestito».
«Ti prego, dammi retta. Non abbiamo alcuna certezza».
«Avete già fallito. È inutile che speriate nelle vostre fantasie. Sarebbe troppo facile».
«Mi chiedo se anche tu non abbia fallito».
«Perché?».
«Stai per morire, e di tua sponte».
«Ci sono forse ragioni per vivere?».
«Ci sono sempre ragioni per vivere».
«No, guardati intorno. Vedi un volto felice? Vedi forse un sorriso? Non ci sono che cadaveri. Allora mi chiedo perché morire la vita, quando posso morire la morte. In fondo, qual è la differenza?».
«Che quei cadaveri non hanno scelto di morire, tu sì».
«Ovviamente hanno paura».
«Io penso che intendano vivere. E poi, paura di che cosa?».
«Di perdere il proprio mondo. La morte ci sottrae al nostro mondo per ritornare al mondo».
«Non ti piace proprio il tuo mondo, eh?».
«Per nulla. Il mio mondo ed io ci superiamo senza guardarci indietro. Ora si perde lui, ora mi perdo io».
«Solamente se ci si è perduti, si può ritrovare la retta via».
«Non c'è alcuna retta via. Ogni via è l'allucinazione della propria corsa».
«E dove corriamo?».
«Questo non lo so, ma corriamo, e ci piace smarrirci».
«Così ti sei smarrito ancora?».
«Che cosa guardi tu, ficcanaso?». Era rivolto a me. Mi vergognai. Ero un ficcanaso, per lui.
«Ehm, in realtà non ascoltavo neppure. Stavo pensando, sì, stavo pensando. Bene, allora arrivederci, io vado».

Quello sguardo mi aveva stritolato. Io ero un ficcanaso per Alex. Però, io non ficcanasavo.

Si è perduto. Ci siamo perduti tutti, qui. Ci stiamo perdendo tutti, qui.

Tante mura di metallo. Tanti uomini, uomini perduti. Da dove vengono? Chi sono? Dove vanno?
Io passo come uno spettro tra questi uomini. Una barba di vermi scuri. Un cranio tozzo. Pelle lucida sul cranio. La pelle e il cranio. Le mimetiche. Il verde. Il marrone. Il nero. Insieme fanno una mimetica. Io non sopporto le mimetiche.

Mi duole il capo. Si sono staccate delle ciocche. Le ho staccate io? Non me ne accorgo più. Mi sto mutilando. Mi sto perdendo. Ciocche al suolo. Il suolo è freddo. Lo tocco. La polvere aderisce alle mia dita. Non me le laverò. Sto marchiando il mio volto. Una striscia di polvere su d'una guancia; una striscia sull'altra; una striscia sul labbro. Ecco, è un'acca. Io sono sul mio viso. Ora non sono più un ficcanaso.

Lacrime? Si piange sempre per qualcosa. Si piange per pietà di sé stessi. Non si può piangere per nulla.
Non potevo piangere. Sarebbe stato vano, lezioso.

Pensavo a una doccia. Il maresciallo si lavava al mattino, io al pomeriggio. Le 16:57. Sì, era pomeriggio. Me lo diceva soltanto un orologio. Un orologio misura il mio tempo. Ma il tempo appartiene a quest'orologio?

La camera del maresciallo è sempre in disordine, però me ne piace il profumo. È un profumo di mandorle. È un bel profumo. Il maresciallo Chen e le mandorle hanno qualcosa in comune, ma non lo sa nessuno di loro.
Eccomi in bagno. Mi toccava svestirmi, mentre uno specchio, una voragine, mi fissavano.

Niente meno che un sacco di carne, ecco che cosa sono. Vivo delle mie perdizioni, non vado da nessuna parte. Quelli come me non vanno da nessuna parte. Sono solamente dei sacchi di carne.

Il corpo mi si scalda con l'acqua, ma quale Eros! Io sono intrappolato qui. Sono fermo ai sacchi del mondo. Non sento niente al di là di essi. Mi carezzano. Mi guardano. Mi scaldano. Tutto qui. Io sono tra di essi, tutto qui. Scolo via con l'acqua. L'acqua mi distorce allo specchio. Lo specchio sono gli occhi di Alex. L'acqua, lo specchio, gli occhi, si sono perduti tutti. Non vanno da nessuna parte, perché non si può andare da nessuna parte. Non esce nulla da questo mondo. Non ci sono Paradisi e ricompense, soltanto degli affanni. Affanni per che cosa? Affanni per niente.

L'acqua mi sottrae a me stesso, mi fa scivolare l'acca, maledetta. Di nuovo, non sono nessuno. Quell'acca era la mia garanzia d'essere. Quell'acca di polvere ero io, ma l'acqua me l'ha levata. Il mondo mi ha tolto me stesso. Il mio desiderio di lavarmi non mi ha condotto da nessuna parte. Mi ha fatto solo del male. Non toccherò ancora il suolo. Io non sono il suolo né la polvere. È inutile che ci provi: non sono nulla di tutto questo. La polvere non sa di me. Eppure io so di polvere. L'acca non è me. Eppure io sono l'acca. Voi lo chiamate dolore, tutto ciò? Ci si addolora sempre di qualcosa. Io non mi addoloro di nulla, quindi non mi addoloro. Che cosa provo, allora?

Ero fuori della doccia. Lo specchio era fitto di vapore. Non c'era neppure uno spettro. C'era una macchia di carne bianca, ecco tutto. Schiarii lo specchio con un asciugamano. Potevo vedermi meglio. C'era un riflesso di me sullo specchio; ma anche sulle gocce. Su ciascuna goccia c'ero io. Ero il midollo di ciascuna goccia. Ero io il senso delle gocce. Ogni goccia, su di quello specchio, aveva senso perché c'ero io, dentro. Le mie mani erano umide. Le gocce delle mie mani. Non ero dentro di esse. Non avevano alcun senso. Erano solo gocce. Era solo una mano. Ma che cosa c'era dentro le gocce dello specchio? Nient'altro che un sacco di carne. Quelle gocce non avevano senso, s'erano perdute, su d'uno specchio umido.

[ABBANDONO QUESTI PIXEL. È INUTILE, ASSURDO]

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⏰ Ultimo aggiornamento: Dec 28, 2019 ⏰

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