Il crepuscolo tingeva il cielo d'un rosso smorzato, che a tratti diveniva arancio, poi giallo e infine biavo di quella giornale spera che or algeva sui nostri crini insozzati di sabbia.
La fame e la sete bruciavano l'anima più di quanto l'ordigno cadente non avesse fatto. Ogni soldato ardeva dalla brama di trarre dallo zaino un po' d'acqua e quei pochi viveri, ma, benché il corpo urlasse di placarne la voluttà, sovrastava su di noi il silenzio. E l'incresparsi al vento di qualche arbusto secco.
Il colonnello, stremato, con occhiaie al viso nere di pietà, prestava attenzione alla carta, intento a scovare un altro luogo ove rifornirci di viveri. Sembrava che lo facesse artatamente, sebbene amasse il suo lavoro, e questo era palese. Io stesso a stento riuscivo a decifrare luoghi o strade indicate su quella sorta di pergamena sdrucita, ma pareva che lui non avesse problema alcuno, anzi. Tra i soldati avevo sentito dire che possedeva una vista acutissima, in grado di scorgere la sagoma d'un uomo a chilometri e chilometri di distanza; ed oltre alla vista, aggiungerei, anche grande tenacia. Poi, «signor colonnello, ci segua, cerchi di riposare, è stata una giornata dura», gli sussurrò Leonardo, e quasi il mio cuore si sfece innanzi alla dolcezza e alla protezione che uomini estranei sapevano donarsi, malgrado fossero in tali circostanze.
Su di me, invece, sovrastava quella sera un alone di freddezza, come la sabbia del deserto, che diviene da cocente freddissima, il mio animo s'era agghiacciato: non ritenevo opportuno parlare, mi lasciavo invece andare all'ondivaga carezza dei miei pensieri.
Aprii lo zaino, dopodiché disposi la tavoletta di cera dinanzi ai miei occhi, illuminata dalla luna piena che ormai s'era fatta, quella sera, regina indiscussa del firmamento. Ancor non riuscivo a capire: di quale lingua si sarebbe mai potuto trattare? Poi mi sovvenne, come un tuono lacera la quiete, l'immagine d'una lingua, che avevo scorto sui libri degli studenti di teologia quando ancora frequentavo l'università. Ma che lingua era? Era ebraico; seppure l'ebraico si componga di grafemi non poco differenti. Piuttosto, direi, quello pareva decisamente un proto-ebraico, insomma, le fondamenta su cui si sarebbe in seguito sviluppato l'ebraico che oggigiorno conosciamo. L'ebraico non fu oggetto dei miei studi giovanili, ma nulla m'impediva di cimentarmi in quell'impresa.
In gioventù fui sempre non poco curioso, e proprio nella facoltà di teologia, se mai fosse stata tra i miei obiettivi, avrei potuto contare sul caro Andrew. Era un ragazzo scozzese, giunto in Italia quand'io avevo su per giù ventidue anni. Doveva completare gli studi teologici e l'Italia, a suo dire, era il posto perfetto. La mia buona conoscenza della lingua inglese mi spinse subito a legare con quel ragazzo, pressoché solo e misterioso in un Paese a lui sconosciuto, e così fu. Facemmo amicizia in men che non si dica e non furon pochi i pomeriggi -e altrettante volte le notti insonni- passati a studiare. Io sovente mi liberavo prima dei miei uffici e, finito il mio dovere, mi offrivo volentieri d'aiutarlo, nonché d'ampliare il suo vocabolario di lingua italiana, che spesso gli era da intralcio.
Ricordo d'un pomeriggio di pioggia battente. Bologna era fasciata da nubi scure che per terrore seppero sopraffarmi, il giorno seguente non si sarebbe tenuta lezione, così dopo aver avvisato i miei compagni che quella sera saremmo andati a ballare, passata fiamma della mia felicità, decisi di controllare che cosa stesse facendo il caro Andrew: traduceva. Traduceva una lingua le cui fattezze mi parvero aliene, e non esitai, curioso com'ero e sono, a chiedere quale lingua fosse. Quasi forzando le sue labbra tremanti, mi rispose:«E... ebraico». Ci scambiammo un guardo colmo di stupore, che probabilmente era solo il mio, poi presi ad interessarmi. Mi consigliò una grammatica ebraica, che acquistai e consultai nel mio tempo libero, fagocitato dal desiderio di conoscenza. Non finii mai quella grammatica, che riposi quando Andrew dové andar via, come se quel libro fosse parte integrante di lui. Andato via, non volevo attoscare il cuore d'insulsa sua nostalgia.
Tuttavia quello non era ebraico, e m'avvidi che molti gruppi di segni si ripetevano, quasi fosse un codice, ma non potevo esserne certo, mi serviva ancora del tempo, che in quelle circostanze pareva agonizzare dolorosamente.I soldati si erano disposti in cerchio, coi corpi imbalsamati d'abiti e d'ogni altro indumento onde si potesse trarre calore, perciò che non ci si poteva permettere d'accendere un fuoco, che, al fine d’illuminare quei volti, i quali avevano bisogno d'un confronto, sarebbe stato l'ideale.
Si parlò di sciocchezze, quasi avessimo dimenticato e la fame e la sete, poi un conato di vomito sorprese la quiete di quei momenti. Ci girammo verso di lui. Era Ronald. E quello non era vomito.
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BACILLO
Misterio / SuspensoItalia e Cina stringono un patto volto allo studio del batterio che sta decimando la popolazione mondiale. Viene inviato nel deserto del Gobi un plotone con lo scopo di congiungersi agli alleati e recuperare il campione, ma i soldati tradiscono la p...