XVI

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Quanto tempo era passato? Una settimana, forse due, l'acqua bollente a contatto con la pelle mi mancava. L'odore di profumato e il colorito roseo finalmente stavano tornando.

Damon, chissà colpito da quale santo del Cielo, mi aveva lasciato del tempo per me stessa, mentre lui era tornato in camera. Passavo ripetutamente la pezza sulle braccia e sulle gambe, volevo che quell'attimo non finisse più, ma sapevo che prima o poi dovevo affrontare lui e la sua punizione.

Uscii dalla botte e mi asciugai con dei teli che mi aveva portato, indossando poi l'abito. Finalmente potevo contemplarmi con un vestito che non fosse nero e bucato. Il mio corpo era avvolto da un grazioso abito azzurro con ricami in bianco, semplice, ma ai miei occhi bellissimo.
Lasciai i capelli bagnati e mossi ed uscii dal bagno.

«Finalmente, pensavo fossi annegata», disse sarcastico, steso a letto.

Era dannatamente bello, ma anche maledettamente testardo. Perché non si arrendeva a me? Il suo orgoglio maschilista non glielo permetteva.

«Come vuoi punirmi questa volta?», chiesi, incrociando le braccia al petto e cercando di non sbavare. Stavo iniziando a provare seriamente una forte attrazione nei suoi confronti, tutto in lui mi eccitava, a partire dallo sguardo alla sua atletica postura.

«Non questa volta», si alzò e gettò un pezzo di legno nel camino, dato che le fiamme stavano quasi per spegnersi.
«Dobbiamo andare via da qui, non è più sicuro.»

«Non lo è mai stato, secondo me.»

«Il problema è dove portarti, non posso rischiare», si passò una mano tra i capelli. Era la prima volta dopo tanto tempo che finalmente parlava con me liberamente. Mi sedetti accanto a lui sul letto e fissai, involontariamente, la mia caviglia: il segno, quello che bruciava, era più visibile, tanto che poteva essere visto anche ad una certa distanza. Pensai che quello fosse il momento giusto per chiederglielo, non volevo che si arrabbiasse, mi sembrava già stressato da sé, ma dovevo capire se mi mentiva.

«Il segno è più visibile», dissi, introducendo l'argomento.

«È normale, si è attivato nel momento stesso in cui sei fuggita. Necessitavo di trovarti e lui mi è stato di aiuto.»

«D-Durante la fuga, ho avvertito i tuoi movimenti, sapevo esattamente dove ti trovavi... Com'è possibile?»

«È per il legame, così come tu mi appartieni, io ti appartengo», si voltò verso di me e mi fissò serio. Alla parola "appartenere" avvertii un senso opprimente al petto, non sapevo esattamente cosa fosse, ma non mi sembrava qualcosa di brutto.

«Posso vedere il tuo segno?»

Inarcò un sopracciglio, «perché?»

«Non posso ancora crederci che io e te siamo legami, se vedrò anche il tuo segno, realizzerò più velocemente la cosa.»

Senza aggiungere altro, afferrò lo stivale alto della gamba destra e lo sfilò, mostrandomi così la sua caviglia. Ed è lì che vidi chiaramente il mio stesso simbolo. Sgranai gli occhi, possibile che eravamo veramente parte di una leggenda? Legami nati in giorni diversi, mai sentito qualcosa di così strano.

Avevo sempre disprezzato i legami, seppur i miei genitori lo fossero. Ai miei occhi un legame era costretto a sottomettersi o ad accettare una relazione con la sua metà, indipendentemente se provava sentimenti per qualcun altro. Sapevo che i miei genitori si amavano, così come sapevo che mia madre era stato costretta a lasciare la sua famiglia inizialmente, poiché mio padre l'aveva rapita.

Lei mi aveva raccontato ogni sfaccettatura dei legami, i pro e i contro, ed io non volevo diventare una di quelle ragazze schiave. Mia madre era stata fortunata, ma io con lui? Che vita avrei avuto, non avrei avuto una famiglia, un uomo al mio fianco che mi amasse.

Sentimenti Mai ProvatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora