III

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Una volta giunta a casa, mi affrettai ad andare in camera e a chiudermi dentro. Non volevo parlare con nessuno, stringevo la rosa al petto e mi chiedevo chi me l'avesse mandata.

Perché nera? Perché appassita?

Mi lasciai cadere sul letto e contemplai il soffitto, fin quando qualcuno non bussò alla mia porta. «Jane va tutto bene?», chiese mia madre dall'altra parte.

Non risposi, preferii affondare il viso nel cuscino e reprime un singhiozzo. Una mano fredda si posò su i miei capelli e fece su e giù amorevolmente. «Avevo chiuso la porta», borbottai.

«Non dimenticare che la tua mamma sa usare la magia. Cosa succede? Perché piangi?»

Non dissi nulla, ma strinsi la rosa al petto e ciò non le sfuggì. «Che bella rosa, dove l'hai presa?»

«M-Mi è stata donata da una ragazza, ma mi ha detto che un ragazzo gli ha chiesto di darmela...madre, penso si tratti di lui.»

La vedi tentennare sulla risposta da darmi, poche volte era successo che non aveva la risposta pronta e ciò mi fece intuire quanto quella situazione fosse come una ferita fresca con un lungo processo di guarigione. «Jane, piccola mia, non pensare cose assurde. Forse è stato quel bel giovanotto che ti ha invitata a ballare, lui non è più qui e non tornerà.»

«Come fai a saperlo?! Forse ha solo commesso l'errore di andare via e vuole ritornare!», mi alzai dal letto e gironzolai per la stanza.

«Ti prego non ritorniamo su questo discorso, devi chiudere questo capitolo Jane e devi farlo per te stessa, prima che sia troppo tardi e tu impazzisca.»

«Lo so, ma è difficilissimo mamma, gli volevo bene», abbassai il viso e in un nano secondo mi ritrovai stretta tra le sue braccia.

Lasciai che mi cullasse proprio come faceva quando ero piccola e non ci volle molto a sentire le palpebre pesanti e addormentarmi.  

Il mattino seguente mi svegliai mezz'ora prima della colazione, feci un veloce bagno e indossai l'abito portatomi dalla cameriera. Mi fece una lunga treccia di lato e mi condusse al piano inferiore. Quella mattina non avevo per niente fame, ma mi sforzai di bere almeno il latte. Dalla vetrata centrale, vidi gli allenamenti delle reclute, quindi vi era anche Adrien.

Dopo aver salutato mio padre, prima che si recasse nel suo ufficio, mi diressi verso l'ala ovest. Lo vidi correre e maneggiare la spada con tanta di quella maestria che mi chiesi se avesse mai avuto la possibilità di fare da guardia reale.

Non volevo interrompere il suo allenamento, quindi mi sedetti poco distante e passai il tempo a giocare con i fili d'erba. Alle dieci dovevo andare a lezione di filosofia, ma mi avrebbe chiamata Sofia.

«Volevate parlarmi?», udii una voce poco distante da me.

Alzai il viso e lo vidi raggiungermi con la fronte colma di sudore e il respiro affannoso. «Cosa ve lo fa pensare?»

«Intuizione», si sedette accanto a me. «Penso che vogliate parlarmi della rosa che avete ricevuto.

Mi voltai di scatto verso di lui e mi morsi il labbro inferiore. Mia madre aveva ragione, era stato lui a inviarmi la rosa e io, illusa, pensavo che...si, appunto, ero un'illusa.

«Si, più o meno, perché me l'avete inviata?»

«Non so, pensavo vi avrebbe fatto piacere.»

«Cosi è stato, grazie mille, ma...»

«Principessa Jane! Il vostro insegnante vi attende per la lezione di filosofia!!», urlò Sofia dall'ingresso.

Sospirai e maledissi mentalmente il mio insegnante. Volevo chiedergli del colore, ma dovevo attendere. «Devo andare, buon proseguimento.»

Senza aggiungere altro, ritornai nel castello, costretta a dover subirmi tante ore di studio.

Il pomeriggio lo passai rinchiusa nella mia camera, fin quando non vidi Sofia sbucare improvvisamente nella mia stanza e con l'affanno. «Princilessa!!», disse euforica, «Adrien sta parlando con vostro padre e gli ha chiesto il permesso di potervi portare con sé in paese per una passeggiata!!»

Saltai giù dal letto e, colta dall'ansia, le chiesi: «siete sicura?»

«Certo! Vostro padre mi è sembrato molto titubante, ma vostra madre non faceva altro che spintonarlo! Dovete farvi trovare preparata e bellissima!! Venite, vi aiuto!»

Era più euforica lei che io, non sapevo se era una buona idea passare del tempo con lui, non volevo che si illudesse e questo mio padre lo aveva capito, mentre mia madre acconsentiva a coloro che avrebbero potuto farmi distrarre in un modo o in un altro.

Non ebbi nemmeno il tempo di proferire parola, che mi trovai davanti al mio armadio, mentre Sofia mi mostrava gli abiti migliori. Decisi di indossarne uno azzurro, con il busto stretto dai laccetti e la gonna non troppo ampia, decorato con del bianco.

Sofia mi sciolse i capelli, fermando le ciocche ribelli con delle forcine. Mi condusse nel salone e, velocemente, mi depositò un qualsiasi libro tra le mani. Ebbi solo il tempo di vederla correre via, che dalla porta secondaria, entrarono mio padre e Adrien.

«Jane, che causalità, stavamo giusto per mandarvi a chiamare», disse mio padre.

«Come mai mi cercavate?», dissi innocente.

«Adrien è venuto da me questo pomeriggio e mi ha chiesto il permesso per una passeggiata in vostra compagnia. Ovviamente per me non ci sono problemi, ma vorrei anche il vostro consenso», si avvicinò.

Chiusi il libro e mi alzai dal divano. «Davvero? Oh, va più che bene, mi ci vuole proprio una bella passeggiata dopo tante ore di studio.»

Adrien sorrise, mentre mio padre annuì ed andò via, non prima di avermi lanciato una veloce occhiata.

«Vi intendete di politica?»

«Come?»

Alzò il mento verso il libro che stringevo al petto. Abbassai lo sguardo e solo allora mi accordo con orrore quello che avevo tra le mani. «Oh, no, odio la politica...stavo solo leggendo la prima pagina, per curiosità», mentii imbarazzata.

Sentimenti Mai ProvatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora