XXII

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«Siete stata bravissima, principessa Jane», batté le mani Sophia. «Potete perdonare la mia curiosità, ma vi ho sentita dalla veranda e non ho resistito», abbassò il viso.

«Non preoccupatevi Sophia, la musica è attrazione per chiunque.»

«È una melodia che non ho mai ascoltato, l'avete composta voi?»

«Non proprio, è venuta al momento», tastai la superficie del pianoforte e sospirai. Ero talmente nervosa e scossata che l'unico modo per trovare un po' di serenità era suonare. Non avevo alcun spartito dinanzi a me, non avevo seguito le dritte del mio insegnante, avevo semplicemente pigiato i tasti e ascoltato il suono che essi emanavano.

«Avete un dono», mi sorrise, «ritorno alle mie faccende.»

«Certo, se volete ascoltare ancora, siete la benvenuta.»

Il suo sorriso si ampliò notevolmente, «nessuno mai aveva gradito prima di oggi la mia presenza, siete un angelo sceso dal cielo.»

«Non ho nulla contro di voi, anzi.»

Si dondolò sui talloni e andò a via tutta peperina. Era assurdo come fosse facile renderla felice, ciò mi fece capire quanto dalla vita avesse avuto poco e la sua felicità risiedeva nelle cose più piccole e semplici.
La mia felicità dove risiedeva? Ancora me lo stavo chiedendo. 
Quando ero bambina, un semplice regalo o una bambola, mi rendevano felice... Un po' meno le noiose lezione che ero costretta a seguire. Ero piccola, eppure avevo una scalletta ben precisa che decideva ciò che mi piaceva e mi rendeva felice, invece da adulta, anziché avere le idee più chiare, ero in totale smarrimento.

Continuai a sfiorare con le dita il pianoforte, esso mi rendeva felice? Suonare mi piaceva, ma lo facevo solo quando ero triste, era semplicemente uno sfogo.

Mi alzai dallo sgabello e mi recai in camera mia, una volta giunta davanti alla piccola biblioteca, afferrai uno dei miei libri preferiti. Leggere mi rendeva felice? Bhe... No, era un passatempo, una passione per non annoiarmi, ma mi piaceva leggere.

Sbuffai ed uscii dalla stanza, avanzando poi verso le cucine. Il castello era ancora deserto e ciò lo rendeva maggiormente inquietante. Se dovevo fare passi in avanti per sentirmi a mio agio lì e a casa mia, tutto mi veniva contro, costringendomi a fermarmi.
Raggiunta la cucina, trovai solo una cuoca che lavava dei piatti.

Rimasi lì, a fissarla senza proferire parola. Il cibo mi rendeva felice? Mi piaceva preparare i biscotti con mia madre e mi piaceva mangiarli e, forse, per quell'attimo ero felice.
L'idea di preparare qualche biscotto al cioccolato mi brillò davanti agli occhi, ma la caccia subito via; non potevo chiedere a mia madre di preparare biscotti, non dopo ciò che era successo.

«Principessa Jane, desiderate qualcosa?», solo allora avevo visto la donna fissarmi.

«Oh, si, avete l'occorrente per preparare dei biscotti?»

«Certo, ma manca solo la farina. Vostro padre ha dato l'ordine a tutti noi di non lasciare il castello per sicurezza e non ho potuto acquistarla», si portò le mani in grembo con espressione dispiaciuta.

«Capisco, fa niente. Puoi ritornare al tuo lavoro», le dissi dolcemente, andando via.

Mio padre come suo solito subito aveva dato ordini di protezione, come biasimarlo, voleva il bene del suo popolo. Se nessuno poteva uscire, sarei uscita io. Un po' di aria fresca mi avrebbe fatto bene, inoltre avrei interagito con il popolo e mi sarei accertata che non fossero nel panico.

Uscire quella volta fu davvero semplice, senza guardie era tutto più semplice, anche essere attaccati.
Prima di uscire indossai un manto blu scuro e un abito che non fosse d'intralcio in casi estremi.
Il freddo bussava già alle porte e da lì a poco sarebbero caduti i primi fiocchi di neve.

Sentimenti Mai ProvatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora