XX

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«Voglio sapere tutti i dettagli!!», esultò mia madre, sedendosi sul letto accanto me, mentre passavo la spazzola su una delle mie tante bambole di porcellana. Seppur avessi ormai sedici anni, la mia passione per le bambole non era passata, le usavo come passatempo o semplicemente per sfogo.

«Non c'è nulla da dire, ho semplicemente passato un bel pomeriggio con lui», feci spallucce e me la posizionai in grembo.

«Ho sentito dire che in molti ti hanno accolta con un grande entusiasmo.»

Annuii, «si, il popolo era entusiasta di vedermi. Pensavano che fossi lì per loro e non per una tranquilla uscita.»

«È più comodo per la tua reputazione pensare di essere uscita per il nostro popolo, anziché per questioni personali. Solitamente le fanciulle non posso dialogare da sole con uomini, devono sempre essere accompagnate da un parente di lei, nel tuo caso, però, Adrien è teoricamente la tua guardia del corpo.»

«Hai molta fiducia in lui, allora, se mi lasci completamente nelle sue mani.»

«Non ho fiducia in nessuno, piccola mia, non dopo il casino che combinò Edward quando si mascherò da nostra guardia, ma non ho nulla contro quel ragazzo.»

«Onestamente penso-», mi bloccai, qualcosa improvvisamente scattò in me e un strana sensazione subito mi mise in allerta.

Davanti ai miei occhi non vidi più mia madre, ma una foresta. La visione era sfocata, non riuscivo a distinguere nulla, tutto era verde e il clima circostante era nell'ombra.

«Jane!», lei mi scosse una spalla. «Stai bene? Ti sei improvvisamente incantata.»

Battei ripetutamente le palpebre, «ho visto qualcosa.»

«Visto qualcosa? Cosa?»

«Una foresta, è stata un immagine velocissima, non ho ben capito se ci fosse qualcuno.»

«Pensi che sia lui che cerca di mettersi in contatto con te?»

«No, non penso», abbassai il viso, «forse è stato... Non so, sono troppo confusa, ma non penso che sia qualcosa di preoccupante.»

«Ricordati che sei anche una strega e qualsiasi cosa prevedono le streghe non è mai sbagliata e innocua.»

«Madre non voglio indagare oltre, non solo non ne sarei capace, ma non ne avrei nemmeno la forza.»

«Sappi che se ricapiterà, dovrai parlarne con me. Adesso riposa, se riesci», mi baciò la fronte e si alzò, sistemandosi le piaghe del vestito. Era sempre così perfetta, in tutto, avrei tanto voluto essere lei in certe situazioni. Ai miei occhi era colei che prendeva in mano la situazione, che faceva ragionare mio padre, forte e testarda; la invidiavo tanto.

Mi lasciai cadere sul cuscino e osservai il dipinto sotto al soffitto, raffigurava degli angeli, cosa alquanto strana, dato che mio padre era metà demone. Ero abbastanza sicura che quella fosse un'idea di mia madre, lei credeva tanto negli angeli protettori e lo fece dipingere un anno dopo la mia nascita.

Mi posizionai su di un fianco e osservai il cielo stellato dalla finestra aperta. Non riuscivo più a dormire bene, avevo passato così tante ore a dormire per cercare di vedere Damon, che il sonno ormai mi aveva abbandonato.

Mi alzai dal letto e percorsi l'intero corridoio che portava alle cucine. Volevo uscire un po' all'aria aperta, ma sapevo che mio padre aveva raddoppiato le guardie e quindi ovunque andavo mi scoprivano.
C'era un piccolo passaggio segreto, però, che mi permetteva di uscire dal castello senza farmi notare.

Nelle cucine, sulla parete di destra, vi era una porta in legno, da lì percorrevo un piccolo corridoio ed uscivo nel bel mezzo dei miei giardini, tramite una botola coperta dall'erba.
Solitamente si usava in caso di emergenza, ma poco importava se nessuno mi vedeva.

Come già sospettavo, vidi più di cinque uomini che sorvegliavano i cancelli e alcuni camminavo tra i cespugli, in caso qualcuno si nascondesse. Era assurdo fuggire come una ladra nella mia proprietà.

Riuscii, per fortuna, a superare le prime quattro guardie e a nascondermi dietro un albero. Sicuramente lì non sarei riuscita a rilassarmi, quindi decisi di andare nel mio posto preferito, ma per arrivarci dovevo camminare ancora un bel po'.

Superare la muraglia che circondava il mio castello era stato facilissimo, ormai ero abituata a farlo e i suoni notturni avevano avuto la meglio sul mio calpestare i rami.

Arrivata nel mio prato, mi sdraiai sotto l'abete che una volta sorreggeva la nostra casetta e osservai le stelle che brillavano nel cielo. Ero tutto molto tranquillo, proprio come lo avevo immaginato. In quel posto mi sentivo realmente a casa e in pace con me stessa. Tanto silenzio agevolò le mie palpebre, che pian piano si chiusero.

«Sei proprio ossessionata da questo posto», disse una voce accanto a me. Quando aprii gli occhi, constatai con gioia che quella voce -proprio come avevo ipotizzato- fosse di Damon. Anche lui era sdraiato sull'erba e, come me, osservava le stelle.

«Si, sto bene qui, tu no?»

Rimase in silenzio e non mi degnò nemmeno di uno sguardo. «Dovresti essere a casa a quest'ora, non è prudente andare in giro da sola.»

«So che sei frutto di un sogno, ma non farmi la predica, come se fossi la mia coscienza. Era l'unico modo per riuscire a dormire.»

«Sei un ibrido, non hai bisogno di dover dormire, perché lo fai?»

Per vederti, «sono stata abituata così. Cambiando discorso, sai che Angel mi chiede di te continuamente da quando ha scoperto che i legami possono comunicare?»

«Se realmente pensi che sono frutto di un tuo sogno, perché me lo dici?»

«Perché voglio che tu in qualche modo lo sappia e, dato che non posso dirlo al vero te, lo dico al finto te.»

«Quanti giri di parole», emise un lungo fischio, «avevo dimenticato quanto fossi chiacchierona.»

«Non sono chiacchierona! Cosa devo dirle?»

«Che prima o poi la rivedrò, è una promessa.»

Mi voltai verso di lui e lo contemplai. Solo dopo qualche secondo ricambiò lo sguardo. Quanto avrei voluto averlo davvero lì accanto a me, ero felice in quel momento e sperai che nel cuor suo -anche una piccolissima parte- stesse pensando a me.

«Mi manchi», ammisi.

«Non devi dirlo a me.»

«Lo so, ma sei l'unico a cui poterlo dire. Penso che questa storia dei legami mi abbia trascinato fin troppo, non provo semplicemente attrazione -così come si narra-, ma sento-»

«Non dirlo, non a me, io non esisto. Svegliati, è giorno.»

«Ma cosa...»

Aprii di scatto gli occhi e una potente luce mi colpì in pieno viso. Era giorno, proprio come aveva detto lui. Mi alzai barcollando e, dopo aver stropicciato gli occhi, feci un passo in avanti.

Andai subito nel panico, quando mi ricordai di non essere a casa. Il sole era alto in cielo, quindi sicuramente erano passate le otto e Sophia mi svegliava sempre a quell'ora!
Corsi verso la strada che portava a casa, le guardie non sorvegliavano l'entrata e ciò mi fece salire qualche dubbio, ma ancora non sapevo ciò che che mi attendeva all'interno.

Sentimenti Mai ProvatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora