Capitolo XX

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Nero.
Qui dentro è tutto nero nemmeno fosse una miniera di carbone.
Il locomotore comincia a spostarsi con un rumore dapprima lieve poi, man mano sempre più grave, basso e vibrante.
Sento i meccanismi muoversi, quasi contorcersi sotto il pavimento che pesto e penso alle anime torturate dell'inferno.

Siamo partiti da qualche secondo e il rumore prodotto dalla ferraglia che compone questo treno somiglia al lamento di un'anima disperata e la luce che attraversa il finestrino muore poco dopo, senza brillare, senza riuscire ad illuminare nulla. Come cadesse stramazzata a terra tipo le falene fulminate dalle trappole elettriche che si mettono alle finestre aperte d'estate.

Qui dentro c'è un pezzo di inferno che gira per Roma.

Resto in piedi e guardo fuori, poi sento una porta sbattere alle mie spalle, mi volto e mi si fa incontro quello che da bambino avrei chiamato "l'uomo nero".

Cammina svelto, rapido e scattoso, esattamente come si muovono gli scarafaggi e le sue gambe, fin troppo magre per sostenere il peso del corpo sono oltremodo lunghe e nodose, credo abbiano una o due articolazioni di più rispetto a quelle normali.

In un paio di secondi copre una dozzina di metri e noto che camminando, dietro di sé lascia una sorta di fumo, nero, come tutto quanto qui dentro, mentre le sue affusolatamente maligne e lunghe dita ad ogni passo stringono i poggiatesta dei sedili ai lati del corridoio centrale.

Si ferma a pochi passi da me e in un secondo, nella frazione di un attimo, la sua intera superficie, ogni centimetro del suo corpo si copre di occhi.

La visione è strana e terrificante allo stesso momento, direi quasi buffa perché mi salta in mente uno di quei video dove si vede il chicco di mais sul fondo della padella arroventata dal fuoco del fornello che all'improvviso scoppia e diventa pop corn.

In un istante centinaia di occhi di varie grandezze si aprono spalancati, inquieti e indagatori. Guardano tutto intorno, poi si piantano fissi sulla mia figura inquietandomi non poco.

"Sei il corvo di Am hore, ti conosco."
La sua voce mi entra nelle orecchie come fosse un lungo chiodo arrugginito.
"Hai combinato un bel casino li fuori. Ti riporto a casa."

Non so quale occhio guardare, non so cosa dire, rimango solamente in piedi e fissarlo finché, come si sono aperti, tutti i bulbi oculari si richiudono insieme nello stesso istante, poi ritorna alla sua esapodica passeggiata fra i sedili vuoti verso la testa del treno.

Lo seguo con lo sguardo finché cambia vagone, poi il mio sguardo volge di nuovo all'esterno, oltre il vetro nero e con estrema sorpresa riconosco il profilo famigliare dei palazzi lungo la Portuense.

Sono stato riportato a casa viaggiando su un treno infernale che corre su di un binario segreto, forse inesistente o forse appartenente ad una realtà parallela.

Frena e si ferma con un lungo e sonoro sbuffo, si apre la porta e mentre scendo gli scalini una voce alle mie spalle sussurra:
"Guardati dal fantasma..."

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