Scendo dal bus 701.
Via della Magliana poco prima dell'incrocio con la Portuense, mi fermo qualche secondo prima di proseguire. È mattina, una fresca mattina autunnale, il sole già alto comincia a scaldare l'aria.Fortuna che cammino verso Ovest quindi la luce non mi acceca ma l'ombra che proietta il mio corpo mi inquieta. Si staglia sull'asfalto una lunga e lugubre silhouette che disegna il corpo deforme di un dannato.
Malatamente magro, lunghi capelli che si avvinghiano attorno alle corna come l'edera su un tronco e con due ali piene di grandi piume. Sembro un corvo incrociato con un pipistrello.
Cammino ancora un po', ora seguo la via Portuense, quella che porta a Fiumicino, il traffico è quello classico del luogo di mezzo, dove la città lascia il passo alla campagna; camion, furgoni e qualche auto impolverata, Roma è distratta e non guarda in questa direzione perché è una città che volta le spalle al mare.
È la migliore occasione che potrò mai avere. Fra qualche chilometro arriverò alla Fiera di Roma e troverò migliaia di anime che non aspettano altro che esser mietute.
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Aspetta in auto fumando una sigaretta dietro l'altra.
La radio canta un vecchio pezzo di Vasco, "Liberi liberi", un vero classico.
È molto presto, sono le otto di sabato e la gente in strada è poca.
Scende per sgranchirsi le gambe tenendo sempre d'occhio le finestre che sa esser dell'appartamento di Giuseppe, luci accese.
Getta la sigaretta in terra, la schiaccia sotto la suola, sputa l'ultimo fumo verso l'alto e tocca confortevolmente l'oggetto nella sua tasca.
Poi chiude lo sportello e gira l'angolo lasciandolo scoperto per qualche minuto, ha bisogno di mangiare ma tiene d'occhio la strada.Entra nel bar e chiede alla ragazza dietro al bancone un cappuccino con cornetto, attende qualche istante che glieli porgano e beve in un solo sorso tutto il contenuto caldo della tazza, paga ed esce per mangiare in strada.
Una volta fuori vede un ragazzo di spalle che si dirige verso la fermata dell'autobus poco distante; è sicuramente lui, deve raggiungerlo e fermarlo ad ogni costo.
Getta il restante cornetto a terra e lo insegue per qualche metro poi gli appoggia una mano sulla spalla e lo obbliga a girarsi stringendo la mano attorno a ciò che tiene in tasca.
"Ciao Giusè." Esclama nello stesso istante con enfasi ma quello girandosi svela il proprio volto.
"Oh, io mica ti conosco oh. Metti giù mano." Gli risponde quello alterato scacciando la mano di Manolo dalla propria spalla."Sta calmo, mi sono sbagliato." Dice indietreggiando un poco masticando il resto del cornetto che ha ancora in bocca, alzando la mano sinistra in chiaro segno di scusa.
"Ma che calmo, tu non mi tocca, capito!? Vaffanculo!" Grida il ragazzo in un italiano stentato. È evidentemente straniero, dell'Est Europa probabilmente, visto l'accento.
"Ok, ok, sta tranquillo, ho detto che mi sono sbagliato." E si gira per tornare alla macchina.
"Vaffanculo italiano di merda." Gli grida dietro mentre fa qualche passo nella sua direzione.
Gira la testa, lo guarda sospettoso e quello perde un poco l'ardore che lo infiamma, per poi ritrovarlo subito dopo, quando il suo amico seduto alla fermata, un connazionale che nella propria lingua gli dice qualcosa.
A quel punto scatta la molla, il Giuseppe dell'est torna alla carica, sentendosi spalleggiato dal compagno, accelera la corsa di quattro o cinque passi e lo spintona nel momento stesso che Manolo sta per girarsi.
La torsione si completa in aria, facendolo cadere con la schiena a terra.
Per poco non sbatte la nuca ma si è fatto male ad entrambi i gomiti. Trae un lungo e profondo respiro, potrebbe ucciderlo seduta stante se soltanto volesse ma non ha tempo da perdere e non vuole casini.
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Quella cantina
Gizem / GerilimÈ un racconto fosco, nero, dove tutto si mescola senza poter dare la possibilità di capire nulla fuorché ciò che si vede alla luce della torcia. Tutto il resto si può solamente percepire. In una Roma quotidiana e consueta ci sono storie che mai avre...