Scusate l'assenza, ma non ho un attimo di tregua. Cercherò di farmi perdonare. Buona lettura e ricordate di lasciare un commento perché amo sapere cosa ne pensate della storia o i protagonisti.
Sono incatenata in una stanza vuota e sudicia, con la bocca imbavagliata. Le mano sono legate al di sopra della testa da una lunga catena che arriva fino al soffitto. Uno degli uomini di Carlos è seduto su una sedia in un angolo e mi osserva. Prende il telefono dalla tasca dei pantaloni e dopo aver premuto due volte lo avvicina all'orecchio.
«Si è svegliata», dice senza perdermi di vista.
Non era questa la fine che avevo previsto, ma a quanto pare non andrà come voglio, in parte. La notizia buona è che sicuramente Carlos vorrà uccidermi, e questo non mi dispiace. Spero solo di poter morire dopo aver scoperto chi è stato a rovinare la mia vita. I polsi mi fanno male, sento un dolore atroce come se ci fosse una ferita. Sollevo lo sguardo e allora mi rendo conto che è proprio così, il sangue scende lentamente lungo le braccia.
«Va bene», dice l'uomo per poi chiudere la chiamata. Si alza ed esce dalla stanza.
I minuti passano, mentre io tento in tutti i modi di liberarmi, ma non ci riesco. Chiudo gli occhi lasciando andare la testa in avanti, rassegnata al mio destino. Morirò.
Mi sento male. Posso solo immaginare le torture che avrà in mente Carlos.
La porta si apre nuovamente, ma non sollevo lo sguardo. Sento i passi pesanti, è più di una persona. Qualcuno si avvicina a me, si piega fino a che il mio volto è a pochi centimetri dal suo. Sollevo lo sguardo e ritrovo gli occhi di Carlos.
«Io ti uccido», urlo calciando verso di lui. «Sei un bastardo.»
Si avvicina minaccioso e mi afferra il mento, con gli occhi infuocati. «Me. Ne. Fotto», dice lentamente in modo che quelle parole siano chiare.
«Vai all'inferno Gardosa.»
Trattiene la mia mascella con forza, sento le sue unghie conficcarsi nella mia carne e la rabbia esplode.
«Hai ucciso la mia famiglia e ora vuoi farmi credere che non è così. Hai ucciso un bambino cazzo. Mio figlio.»
La gola mi brucia, sento la testa esplodermi. Lascia la presa e poi mi afferra i capelli costringendomi a guardare verso la porta.
«È arrivato il momento di accettare la realtà, Jennifer», ringhia.
Due dei suoi uomini tengono bloccato Jack, mentre Carlos avvicina la sedia davanti a me, facendola strisciare sul pavimento e poi vi fanno sedere Jack. Ha le mani legate dietro la schiena, il suo occhio è contornato di viola, il labbro sanguinante.
È stato torturato.
«Forza Jack dille la verità», gli ordina Carlos spostandosi al mio fianco. Da un lato sono dispiaciuta per lui, ma una parte di me lo sta odiando per non avermi detto la verità sul legame con Carlos.
Gli uomini di Carlos indietreggiano e poi lasciano la stanza. Ora siamo solo noi tre.
«Jennifer», dice piano il mio amico.
Lo guardo negli occhi e capisco che quello che sta per dirmi non mi piacerà. Sarà doloroso e distruttivo proprio come tutto il resto di questa storia.
«Mi hai mentito. Tu e Richard collaboravate con questo...», gli dico carica di rabbia non sapendo come definire Carlos. Il quale incrocia le braccia al petto e assiste in silenzio.
«Eri l'esca perfetta. Arrabbiata con il mondo e disposta a tutto per vendicare la morte di tuo marito e tuo figlio», dice lui con lo sguardo perso.
L'esca perfetta per cosa? Perché voleva distruggere Gardosa? Qual è lo scopo reale di tutto questo?
Sento la testa pesante, e la confusione aumenta.
«Hai detto che era stato Carlos a uccidere la mia famiglia. Dimmi che è la verità Jack.»
Lui mi guarda, ma non risponde.
Il petto mi brucia in un modo inverosimile e il battito accelera all'impazzata mentre stringo tra le mani le catene a cui sono bloccata.
Niente di tutto quello che mi è stato detto fino a oggi è vero. Ho perso tre anni della mia vita dietro a qualcuno che non è il colpevole. Ho fatto di tutto, andando contro i miei principi pur di avere la mia vendetta e ora la verità arriva come un pugno alla stomaco.
Ho sbagliato tutto.
«Dillo cazzo. Dimmi che tutto quello che hai detto in tre anni è la verità», urlo spostando il corpo in avanti furiosa.
«Forza Jack, dille la verità», lo incita Carlos.
Il suo sguardo passa da Jack a me e per qualche strana ragione sostengo il suo sguardo per diversi secondi. C'è qualcosa di strano, non ha il solito sguardo severo, sembra dispiaciuto. Il che è strano.
«Carlos non è il colpevole», risponde Jack in tono basso.
«Perché mi hai detto che era lui?», gli dico ringhiando.
«Perché faceva parte del piano», ribatte, con un espressione che non mi piace. Non è il Jack di tre anni fa, quello che mi confortava e mi dava coraggio per continuare. Quello che ho davanti adesso sembra uno sconosciuto.
Jack guarda Carlos terrorizzato, e quest'ultimo solleva le spalle. «Sappi che sto per liberarla, decidi tu se dirlo prima o dopo, ma da questa stanza non esci finché non saprà la verità», gli dice serio.
«Quale verità Jack?», chiedo attirando l'attenzione dei due uomini.
Lui non risponde, Carlos sospira e si avvicina a me.
«Dovrei tenerti legata a vita per aver tentato di spararmi», dice severo mentre le sue mani scivolano sulle mie braccia fino ad arrivare ai polsi.
«Alla fine di tutto questo, chiediti perché ti sto dando una scelta, Jennifer», sussurra a un soffio dal mio viso.
Mi libera e poi posa le mani sulle mie spalle, guardandomi negli occhi.
«Dentro di te hai l'inferno, nessuno può capirti meglio di me, ma ragiona, non lasciare che la rabbia ti rovini per sempre», continua.
Si sposta di lato e con un gesto della mano dice: «è tutto tuo.»
Lui sa qualcosa che io non so, mi ha liberato perché sa che sto per scatenare l'inferno.
Jack deglutisce pesantemente.
Rimango dove sono mentre massaggio i polsi.
«Dimmi chi ha ucciso la mia famiglia Jack», dico minacciosa guardandolo negli occhi.
Vedo il terrore. La paura.
«Davis non doveva morire, mi dispiace tanto Jen», mormora chiudendo gli occhi. «Richard era cambiato, continuava ad accettare collaborazioni con gente di tutti i tipi, gli avevo detto di smetterla.»
Avanzo verso di lui di qualche passo e anche Carlos si sposta.
«Tutto per soldi?», gli chiedo abbassandomi sulle ginocchia.
«Facevi una bella vita, avevi una bella casa, le macchine di grossa cilindrata, i viaggi. Da dove credi che arrivavano tutti quei soldi Jen?», risponde in tono aspro.
Mi drizzo e poso le mani sui fianchi.
Non conoscevo mio marito, era un bugiardo.
«Non hai ancora risposto alla mia domanda. Chi ha ucciso Richard e Davis?», gli domando di nuovo lentamente.
Lascia andare la schiena sullo schienale con espressione arresa.
«Perché l'hai liberata?», chiede rivolgendosi a Carlos.
«L'hai vista? Guardala com'è ridotta a causa tua», gli risponde bruscamente lui.
La mia attenzione è concentrata su Jack, ma guardo Carlos di sfuggita. Mi aspettavo un'altra reazione da Carlos dopo aver scoperto che volevo ucciderlo, invece sembra volermi aiutare e questo mi confonde.
«Richard voleva mettere le mani sul carico di Carlos, voleva sempre più soldi, gli piaceva la bella vita e non era intenzionato a fermarsi», inizia a raccontare Jack. «Abbiamo passato mesi a elaborare un piano e poi lui...» si blocca e sputa verso il pavimento con espressione cattiva.
«Lui cosa?», gli chiedo ad alta voce.
Riporta lo sguardo nel mio.
«Non era l'uomo che faceva credere a tutti. Era disposto a fregare anche il suo migliore amico pur di mettere le mani su quelle pietre. Capii che c'era qualcosa di strano quando due giorni prima della consegna disse di lasciar perdere, che aveva cambiato idee. Invece aveva un piano tutto suo, voleva tenersi tutto per lui e non condividere.»
Capisco subito cosa sta per dire. Scuoto la testa ripetutamente poi la prendo tra le mani e urlo.
«Jen ti giuro che Davis non doveva morire», protesta al alta voce.
«Tu», tuono puntandogli l'indice. «Sei stato tu», dico consapevole che è questa la verità.
«Hai ucciso il mio bambino», urlo scaraventandomi contro di lui.
Gli sferro un pugno in faccia, la mano fa male, ma non mi fermo. Continuo a picchiarlo scaricando tutta la rabbia sul suo corpo.
«Hai ucciso il mio bambino», continuo a ripetere senza fermare i movimenti violenti. Cade per terra, lo afferro e lo rimetto sulla sedia.
Prendo il suo viso tra le mani e lo guardo negli occhi.
«Cosa aveva fatto mio figlio? Niente. Aveva appena iniziato a vivere», mormoro senza fiato.
«Come hai potuto uccidere un bambino? Come hai potuto uccidere il tuo amico?».
Lui non risponde e la cosa mi fa innervosire ancora di più. Gli sferro un pugno dritto nello stomaco e lui si piega in avanti. «Lo senti come ti manca il fiato per il dolore? Io ci convivo da tre anni stronzo. Io sono morta tre anni fa con loro», urlo ancora.
«Dovevano uccidere Richard, non il bambino», cerca di giustificarsi mentre si contorce dal dolore.
Non ci vedo più dalla rabbia, i miei movimenti diventano automatici. Mi si offusca la vista mentre lo scaravento a terra, urlo mentre lo colpisco senza sosta ma il dolore che sento nel petto non diminuisce. Non sento sollievo come avevo immaginato. Pensavo che avere davanti chi aveva ucciso le persone che amavo sarebbe stata la fine della mia sofferenza, ma mi sbagliavo. Fa ancora più male, perché ora so qual è la verità. Ecco il vulcano di emozioni che avevo rinchiuso dentro me esplodere e aprirmi la mente.
Richard ha messo in pericolo la sua famiglia, si è circondato di gente marcia che, vuoi o non vuoi prima o poi porta problemi.
Carlos è innocente, Carlos non ha ucciso la mia famiglia.
Ho passato tre anni ad odiare qualcuno ne non c'entra niente. Ho annullato me stessa ascoltando i consigli dell'assassino, di colui mascherato da amico affettuoso.
Mi lascio andare sulle ginocchia esausta, mentre guardo il corpo di Jack contorcersi dal dolore.
«Il mostro era sempre stato accanto a me travestito da amico fedele», dico con la rabbia che mi scorre nelle vene come il mio stesso sangue.
«Mio figlio è l'unica vittima in questa storia e io devo dargli giustizia», pronuncio con lo sguardo perso. «Morirai Jack, ma prima voglio che tu senta il dolore che ho provato io. Sarà lento e doloroso, pregherai che tutto finisca velocemente, ma stai certo che non accadrà. Devi soffrire e vivere all'inferno come ci sono io da tre anni.»
Appoggio le mani sul pavimento sporgendomi verso di lui, i miei occhi sono inondati dalle lacrime.
«Sono diventata marcia come voi, ma non per scelta. Mi è stato portato via la cosa più preziosa che avevo, la mia ragione di vita, mio figlio e nessuno potrà riportarlo da me.»
Mi volto verso Carlos che mi guarda con espressione tesa.
I nostri sguardi si parlano, il mio vuoto si riempie di quello spiraglio di luce rossa.
«Sono l'ultima persona che potrebbe chiederti un favore, ma sei l'unico che può aiutarmi», gli dico abbassando lo sguardo.
Sono tanto disperata da chiedere aiuto, ma penso che non lo farà dopo tutto quello che ha scoperto. Devo ringraziare se sono ancora viva.
Lui non si scompone, ma lo sento il suo sospiro.
«Non farlo», risponde come se avesse già capito le mie intenzioni. «Dovrai conviverci per tutta la vita», continua.
Mi alzo e prendo coraggio. Mi avvicino portandomi davanti a lui e sollevo lo sguardo.
«Non posso tornare indietro, non posso cancellare ciò che ho fatto e voglio dare un senso a tutto questo. Sono entrata nella tua vita con l'intento di ucciderti e uccidere me stessa. Ho passato tre anni consapevole che sarei morta, Carlos. Non avrò nessun rimorso perché io non provo più niente se non dolore continuo.»
Passa la mano sul collo e corruccia la fronte. «Vuoi una pistola?» chiede infine.
Scuoto la testa con gli occhi lucidi. «Voglio vederlo soffrire, sentire le sue urla, le sue suppliche. Voglio vederlo morire lentamente in modo doloroso», gli dico avvicinando il viso al suo.
«Noi due siamo destinati all'inferno lo sai?», chiede mentre guarda Jack di sfuggita.
«Io ci sono finita senza volerlo. E tu Carlos?».
«Non per scelta», ribatte. «Dimmi cosa hai in mente per lui.»
Sostiene il mio sguardo, ed è qualcosa di incandescente, potente. Sto danzando con il diablo e sembra piacermi.
«Portalo da Shiva», dico decisa.
Lui non sembra d'accordo. «Non posso, sarebbe un problema dopo. Attaccherebbe chiunque si avvicina. Non ci hai fatto molto caso, ma la mia tigre è un cucciolo addestrato.»
«Puoi trovare un'alternativa?», chiedo a bassa voce.
Lui ci pensa e poi dice: «Si, ma voglio che ti sia chiaro una cosa. Non ti darà sollievo, non starai meglio. Forse sarebbe il caso di lasciarlo alle autorità, se vuoi possiamo farlo arrestare qui a Cuba e fidati, il carcere non è uno spasso. Soprattutto se scoprono che ha ucciso un bambino.»
Mi prende il viso tra le mani e con il pollice asciuga le lacrime scese sul mio viso. Lo fa con dolcezza e questo gesto mi sorprende. Il mio cuore batte ogni volta che mi tocca dal nostro primo incontro.
Lui sembra capire cosa sento.
«Credimi quando ti dico che non starai meglio. Devi imparare a convivere con il tuo dolore e cosa più importante, devi ricominciare a vivere», sussurra avvicinando le labbra alle mie.
Perché non mi ribello, so che sta per baciarmi. Come riesce a comportarsi come se niente fosse dopo che gli ho detto di volerlo uccidere?
«Ragiona, scava dentro di te e trova la risposta», dice mentre le sue labbra sfiorano le mie. Continuo a non dare segni, rimango immobile trattenendo il fiato e lui ne approfitta, mi bacia.
«Sei solo una puttana, sei andata a letto con quello che credevi l'assassino di tuo marito e di tuo figlio. Ti permetti di giudicare me quanto tu hai venduto l'anima al diavolo. Forse lui ti fa godere più di quanto faceva tuo marito e magari vuoi rimpiazzare tuo figlio con uno di questo bastardo», commenta Jack ridendo amaramente.
Rabbrividisco per le sue parole.
Non mi volto, ma Carlos si. Lo guarda truce e poi l'angolo della sua bocca si solleva accennando un sorriso. Ma non è un sorriso qualsiasi, ho imparato a conoscerlo. Questa è l'espressione di cui bisogna avere più paura.
Si avvicina a Jack e poi si piega sulle ginocchia.
«Ridi perché in carcere piangerai ogni giorno, pregherai che la morte arrivi veloce, ma non sarà così. Arriverà un giorno in cui non resisterai più e ti toglierai la vita. E quel giorno io sarò felice di brindare, perché sarà un giorno di festa.»
La sua voce profonda, le sue parole aumentano l'adrenalina. La crudeltà che ha usato in quelle parole per quanto contorto mi danno sollievo.
«Carlos», lo chiamo e lui si volta di scatto. «Fai qualsiasi cosa in tuo potere per rendergli la vita un inferno. Vivrà, ma deve pentirsi di essere ancora vivo.»
Si alza e viene verso di me.
«Andiamo a bere qualcosa di forte. Digli addio perché non lo vedrai mai più.»
I miei occhi navigano nei suoi e poi sposto lo sguardo su Jack.
«Ti auguro di soffrire. Spero che tu possa provare un minimo del dolore che sento io. Spero che tu possa pagare per ciò che hai fatto, per l'eternità.»
Carlos posa la mano sulla mia schiena e poi mi spinge verso la porta.
Una volta usciti, lui scambia due parole con i suoi uomini. Saliamo le scale strette e con mia sorpresa spuntiamo dal sottoscala della villa. Non ho mai lasciato questo posto.
Raggiungiamo il bar, dove troviamo Adrian che ci guarda preoccupato.
Mi sto fidando di Carlos, ho lasciato che se ne occupi lui e non so perché, ma sono convinta che farà esattamente ciò che ha detto.
Ci sediamo sugli sgabello, Carlos si toglie la giacca e poi si rivolge al suo amico: «Ci serve qualcosa di molto forte, abbonda con le dosi.»
Non dico niente, non saprei cosa dire.
Mi chiedo che intenzioni avrà con me. Non credo che la passerò liscia, sicuramente sta valutando la punizione giusta. L'ipotesi che mi lasci andare è esclusa. So troppo della sua vita, dell'attività. Oppure potrebbe decidere di far arrestare anche me.
«Jennifer», mi richiama. Sollevo lo sguardo, tiene in mano un bicchiere con del liquido, rivolto verso di me.
È strano sentirgli pronunciare il mio nome, mi sento attraversare da un brivido.
Prendo il bicchiere con il liquido ambrato, lo giro tra le mani sporche di sangue e il suo sguardo si sposta sui miei polsi. Sospira.
«Brindiamo?», chiede sorprendendomi.
«A cosa?».
«Primo, ora sai la verità. Secondo, sono contento di essere ancora vivo», fa una smorfia e poi continua, «terzo, per la prima volta sei in difficoltà e senza controllo.»
Strizzo gli occhi perché ha dannatamente ragione e mi dà fastidio. I nostri bicchieri si toccano e poi contemporaneamente mandiamo giù il liquido in una volta.
La gola brucia, poi scende sempre più giù, fino allo stomaco.
«Ancora Adrian», dice prendendo il mio bicchiere.
Guardo come il suo amico che è confuso, non riesce a capire cosa sta succedendo.
«Bevi», mi ordina Carlos.
Vorrei dirlo che non prendo più ordini da lui, ma finché non saprò in che guai sono decido di assecondarlo.
Mando giù anche il secondo bicchiere. Stavolta il bruciore è meno intenso, il mio corpo inizia a rilassarsi, l'alcol sta entrando in circolo.
«Adrian lasciaci la bottiglia, vai a divertirti amico e avvisa gli altri che non devono entrare qui per nessun motivo», proferisce posando il bicchiere sul bancone.
Oh merda. L'adrenalina sale quando capisco che il momento della resa dei conti è arrivata.
Adrian si pulisce le mani con lo strofinaccio, continua a guardarmi con espressione preoccupata mentre gira intorno al bancone e poi esce dalla sala chiudendo la grande porta a due ante.
«Parlami di tuo figlio.»
Riempie i nostri bicchieri nuovamente e poi solleva lo sguardo su di me.
«Davis era un bambino dolcissimo. Testardo come la mamma, determinato e curioso di scoprire il mondo», dico mentre mi si forma di nuovo il groppo in gola.
«A chi somigliava?» chiede e poi aggiunge, «bevi.»
Mando giù il liquido e stavolta mi gira leggermente la testa, ma il groppo in gola sparisce.
«Aveva i miei occhi, ma per il resto penso che assomigliasse al padre.»
«Allora era un bellissimo bambino se aveva i tuoi occhi», commenta. Si gira guardando davanti a sé e poi chiede: «hai studiato lingue, potevi avere molti sbocchi eppure hai scelto di insegnare a dei bambini. Come mai?»
Prendo la bottiglia e riempio i nostri bicchieri. Lui segue i miei movimenti con lo sguardo.
«Ho sempre amato i bambini. Sono la purezza, la parte innocente della nostra vita.»
«Parliamo di te. Chi era Jennifer?».
Oh, questo è un tasto dolente.
Io ero...diversa da ciò che sono ora.
«Sto aspettando», insiste.
Scrollo le spalle e mi lascio andare. Farà male, ma non posso sottrarmi a questa domanda.
«Vivevo in un mondo tutto mio. Mi piaceva provare tutto perché ho sempre pensato che la vita è troppo breve per non viverla. Amo gli animali, i bambini, mi piaceva cantare per casa mentre pulivo. Non sono mai stata materialista, prendo quello che ho e lo rendo speciale. Un tempo ero sempre sorridente, felice e anche...rompiscatole a volte. Più che altro sono testarda, quando mi metto in testa una cosa la faccio e non mi ferma nessuno», mi fermo valutando la sua espressione. Il suo viso è luminoso, sembra rilassato.
«Mi piace bere il vino davanti al tramonto, amo gli sport estremi perché ti danno quella scarica di adrenalina e poi che altro...ah si...mi piace cucinare, lo trovo rilassante.»
Mi sento esposta. Non ho mai parlato di me stessa, della vera me.
Mando giù il liquido e poi schiocco la lingua.
Mi sento più leggera, la tensione sembra svanita.
«Anche tu ami i bambini! Quello che fai per il villaggio Esperanza è fantastico», commento cambiando discorso. Verso altro alcol nel bicchiere perché ho proprio bisogno di ubriacarmi per dimenticare almeno per qualche ora la situazione in cui mi trovo.
Lui si volta verso di me e beve dal suo bicchiere lentamente con uno sguardo che mi divora. Si lecca le labbra mentre posa il bicchiere sul bancone e poi si avvicina con lo sgabello.
«I bambini nascono senza colpe eppure devono pagare per tutta la vita errori commessi dagli adulti. Nel mio piccolo cerco di costruire un ambiente sano dove possono crescere sereni. Un giorno saranno grandi uomini e donne, e io sarò fiero di loro.»
Il mio cuore si scalda, quelle parole mi colpiscono nel profondo.
«Com'era Carlos da bambino?», gli chiedo.
Sembra sul punto di dire qualcosa, ma poi si blocca. I suoi occhi si spengono, perdono quella luce che lo rende un vincente.
Il suo passato è la causa di chi è diventato.
«Parlami perché ho passato tre anni a odiarti in silenzio, chiusa nel mio dolore. Ho dovuto annullare me stessa, ho perso le mie emozioni quella notte. E ora ho bisogno di affrontare un discorso reale che abbia un senso», lo supplico abbassando lo sguardo sul mio bicchiere.
Sfrega le mani sulle cosce e poi dice: «Carlos era un bambino che non aveva giochi, passava le giornate in mezzo alla strada nei quartieri più malfamati dell'Avana.»
Sollevo gli occhi di scatto verso i suoi. Lui serra la mascella e capisco che sta per fermarsi, non mi racconterà altro. Il mio corpo ragiona per sé, poso la mano sulla sua sporgendomi in avanti. «cos'è successo poi a Carlos?», chiedo con il battito che accelera.
Solo lui mi ha risvegliato dal mio torpore.
Respira a fondo e chiude gli occhi. Non riesce a guardarmi.
«All'età di otto anni sono stato venduto dai miei genitori. Avevano bisogno di soldi e io ero la loro unica fonte di guadagno. Non ci hanno pensato due volte, hanno venduto l'unico figlio che avevano per poco più di 2000 pesos.»
Oh mio dio. Il bicchiere scivola dalla mia mano e cade a terra rompendosi in mille pezzi.
Lui è stato venduto dai suoi genitori. Il mio cuore si stringe, fa male. Vedo lui a otto anni, spaventato e spaesato, una scena che continua a ripetersi continuamente. Lui chiuso in un angolo a piangere, lui che urla, lui che supplica.
Era solo un bambino.
«L'uomo che mi ha comprato aveva dei piani ben precisi, ma io non ho capito finché non siamo arrivati in una casa sudicia dove c'erano altri bambini.»
Il cuore batte forte, lo sento in gola da quanto pulsa.
Lui apre gli occhi, fissa i miei e poi dice: «ero solo un bambino, ma ben presto ho perso il controllo sulla mia vita e sui miei sentimenti, sono annegato nel mio dolore e ho scoperto quanto poteva essere crudele l'essere umano.»
Non c'è bisogno che mi dica perché era lì. L'ho capito. In questo momento vorrei avere davanti chi gli ha fatto questo, la rabbia, mescolata alla tristezza provocano una reazione inaspettata.
Mi lancio verso di lui in modo così violento che barcolla, lo abbraccio forte e nascondo il viso contro il suo collo. E poi accade, scoppio a piangere, piango veramente senza limiti dopo tanto tempo. Mi fa sedere a cavalcioni su di lui stringendomi tra le sue possenti braccia per un tempo che sembra infinito.
Non parliamo, non servono parole perché io ho capito ed è orribile.
Mi scosta i capelli dal viso e poi dice: «Fammi compagnia, bevi con me.»
Avvicina la bottiglia ne bevo un sorso abbondante e lui fa lo stesso.
«Sei l'unica persona che conosce questa parte del mio passato e non riesco a capire perché mi fido di te», dice prima di bere ancora.
L'idea lo spaventa, lo vedo come il suo sguardo è cambiato.
La mia mano scivola sul suo viso, con il pollice indugio sugli zigomi.
«Apri la bocca», sussurra mentre avvicina la bottiglia. «Non mandarla giù», avverte.
Apro la bocca e lui versa il liquido, poi si avvicina, mi bacia il labbro inferiore e portando la mano sulla mia nuca mi spinge verso di lui. Il liquido scivola anche nella sua bocca, si mescola mentre mi bacia. Le mie mani continuano ad accarezzargli il viso mentre il bacio diventa più focoso fino ad esplodere come la bottiglia che viene scaraventata a terra.
Si alza in piedi e mi appoggia sul bancone.
«Sono arrabbiato con te, tanto», dice baciandomi il collo. «Vorrei distruggerti, ma poi penso che sei intoccabile perché sei già stata distrutta quanto me.»
Il mio corpo vibra, la mente continua a urlare scappa.
«Ahora, tenemos un problema», sussurra mordicchiandomi l'orecchio.
«Siamo fuori controllo.» La mia voce si sente appena.
Mi guarda negli occhi mentre sposta le mani sulla mia maglietta ormai sudicia.
«Esatto. Nessuno dei due ha più il controllo della situazione», commenta strappando il tessuto in un unico gesto.
Un istinto animalesco, qualcosa di proibito e contorto si fa sempre più avanti. Le mie mani scivolano sulla sua camicia e con un gesto secco intrufolo le dita tra i bottoni e l'allargo, facendoli saltare.
Lui sorride compiaciuto.
«Fammi vedere cos'hai dentro», incita continuando a spogliarmi. Le mie mani si muovono, armeggio con la cintura dei suoi pantaloni fino a liberarlo.
«Siamo ubriachi», gli ricordo.
Le sue mani scivolano fino a raggiungere le natiche, le strizza, forte.
«Lo siamo.» Sento il suo respiro caldo sul viso. «Vogliamo fermarci?», chiede attirandomi a sé.
Non conosco la risposta. Non sono in grado di ragionare.
«Vieni con me nel tuo lato selvaggio», continua mentre la sua mano scivola nell'interno coscia, dove il tessuto del perizoma è l'unica cosa che lo separa dal mio sesso.
«Io e te siamo stati uccisi», dico aggrappandomi alle sue spalle.
«Tu sei il mio angelo.»
«E tu il mio diablo.»
Strappa il perizoma e si acciglia soddisfatto senza distogliere lo sguardo dal mio.
«Sei fottuta angelo.»
Ed è esattamente così. Ho perso, mi sono arresa a lui.
Non doveva succedere eppure sta succedendo e io non riesco a gestire la situazione. Solo per stanotte gli darò quello che possiedo.
«Ti fidi di me?», chiede piano.
Non rispondo.
Sospira, sento il suo respiro sul viso. Le sue mani forti mi toccano il seno, stringe i capezzoli tra le dita. «Dimmi che ti fidi di me.»
La sua voce scivola sulla mia pelle, come una coperta morbida e accogliente.
«Si», dico ansimante sulla sua bocca.
Mi morde il labbro, prosegue verso il seno piegando la testa. La sua lingua scivola intorno al capezzolo e poi lo cattura nella sua bocca.
Conficco le unghie nelle sue spalle invasa dal piacere.
Solleva lo sguardo e nei suoi occhi vedo il fuoco vivo.
«Vuoi che continuo?», chiede con voce roca.
Annuisco in balia delle emozioni.
Le sue dita entrano dentro di me, mi tremano le gambe e cerco un appiglio, le sue spalle non mi bastano più. Le mie dita si intrufolano tra i sui capelli e tiro.
Lui continua imperterrito il suo movimento dentro e fuori lentamente, finché non decide di smettere. Si alza in piedi e succhia le dita che un attimo prima erano dentro di me.
«Mmh, ottimo come sempre», dice.
Tira giù i pantaloni, la sua erezione è prorompente.
«Voglio annegare dentro di te.»
Stringo le gambe intorno ai suoi fianchi invitandolo ad entrare ed è quello che fa. Un colpo secco, deciso.
Urlo, lasciando andare indietro la testa.
Mi penetra in profondità, le sue braccia mi avvolgono stringendomi forte a sé. Non sono più appoggiata al bancone, sono aggrappata a lui, ora siamo una cosa sola ed è qualcosa di potente che non ho mai provato prima. Sento il suo respiro sul collo, io lo sento.
Non riesco a gestire il piacere che provo, mi muovo senza sapere bene cosa sta succedendo. Lascio che i miei movimenti siano naturali e istintivi, lascio che lui mi trasporti in quel lato oscuro senza pormi domande.
I colpi sono sempre più intensi, ansimiamo uno nella bocca dell'altra. I baci si trasformano in morsi, labbra, collo, spalla, braccio, petto e poi di nuovo tutto da capo.
«Jennifer», ansima chiamandomi per nome.
Precipito nel vuoto, ma non ho paura. Mi sento al sicuro e appagata mentre il mio sesso si contrae di piacere.
«Carlos», sussurro sulla sua bocca abbandonandomi del tutto.
I suoi colpi diventano spietati, frenetici fino a esplodere entrambi in un orgasmo senza precedenti.
Il mio corpo trema, gli spasmi sono intensi e lui accorgendosene, si siede sullo sgabello rimanendo dentro di me e mi stringe tra le braccia mentre nell'aria si sentono i nostri respiri affannati.
Ci guardiamo negli occhi e per la prima volta mi sento nuda, senza difese. Ora lui mi vede per chi sono veramente e questo gli darà la carta vincente per annientarmi.
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DARK MAN (Serie Falco Vol.1)
RomanceLui è il veleno, lei la sua condanna. Si dice che anche il diavolo tema l'ira di una donna, ma non Carlos. Valentine Harper, scenderà a patti con il diablo pur di raggiungere il suo scopo. Dovrà fare i conti con la personalità contorta dell'uomo e...