"Un coro è composto da molte voci, inclusa la tua e la mia. Se uno dopo l'altro tutti tacciono, tutto ciò che resterà saranno i solisti."
· Cantastorie Cuorcontento
Mi si sciolse la lingua all'età di otto anni. Mi ricordo quel giorno come se fosse ieri.
Mio zio Varric, era venuto a trovarci il giorno prima. Stavolta il suo regalo non era stato un flauto, né una collana di perline, insomma nessuna di quelle cose che mi aveva portato nelle visite precedenti. Mi mise sulle ginocchia un pacchetto di ruvida carta marrone e quando restai immobile a fissarlo, senza sapere che cosa fare, mia madre prese il coltellino che teneva sempre alla cintura, tagliò lo spago che lo legava e aprì l'involto. Dentro c'erano una camicetta rosa, un corpetto di pizzo e una gonna rosa a balze sovrapposte. Non avevo mai visto abiti del genere. Venivano da Novigrad, spiegò Varric a mia madre che stava ammirando l'intricato lavoro di ricamo. Le maniche erano lunghe e a sbuffo, la gonna era sostenuta da un'ampia crinolina e ricoperta di merletto rosa. Mia madre me li appoggiò addosso e per miracolo erano proprio della taglia giusta. La mattina dopo mi aiutò a indossarli e trattenne il fiato quando mi strinse l'ultimo laccio, poi mi fece restare immobile per un tempo che mi parve interminabile, nel tentativo di dare una parvenza d'ordine ai miei riccioli ribelli. Quando scendemmo a colazione, aprì la porta e mi fece entrare come se fossi la regina. Mio padre sgranò i suoi occhi verdissimi per lo stupore e Varric lanciò un rauco grido di esultanza nel vedermi. Feci colazione con la massima cautela nel timore di strusciare le maniche nel piatto, e sopportai eroicamente il prurito che mi dava il merletto. Sostenni il peso di tutti quegli indumenti mentre, con i miei genitori davanti all'ingresso di casa, salutavamo Varric augurandogli buon viaggio. E così consapevole del mio aspetto elegante, attraversai con attenzione gli orti per andarmi a sedere su una panchina. Mi sentivo magnifica. Mi lisciai la gonna rosa e cercai di sistemarmi i capelli, e quando Ulma e Lea uscirono dalle cucine con i secchi di scarti di verdure da dare alle galline, rivolsi loro un sorriso. Lea distolse lo sguardo con aria schifata, mentre Ulma mi fece la linguaccia. Mi sentii morire. Mi ero illusa, stupidamente, che con quell'abbigliamento elegante mi sarei conquistata il loro rispetto. Parecchie volte avevo udito Ulma dire ad alta voce, apposta per farsi sentire, che ero vestita come un garzone di macellaio, quando indossavo la mia solita tunica con le braghe. Dopo che si furono allontanate, passai ancora qualche minuto seduta sulla panchina a riflettere. Poi il sole fu coperto da un banco di nuvole e all'improvviso non sopportai più il prurito del colletto di pizzo. Andai a cercare mia madre e la trovai che filtrava dell'olio di equiseto. Mi piazzai davanti a lei, sollevando le sottane rosa. "Troppo pesanti." le dissi e lei con un largo sorriso, posò i suoi arnesi e mi accompagnò in camera mia, mi aiutò a cambiarmi con una tunica verde chiaro, braghe verde scuro e i miei soliti stivali morbidi. Avevo preso una decisione. Avevo capito che cosa dovevo fare. Avevo sempre saputo che c'erano altri bambini a Corvo Bianco. Per i primi cinque anni della mia vita, ero così piccola e legata a mia madre che in pratica non li avevo mai conosciuti. Li vedevo di sfuggita, quando mamae mi portava nelle cucine o le trotterellavo dietro nei corridoi. Erano i figli dei domestici e dei fattori, nati a Corvo Bianco e più o meno della mia età, anche se crescevano molto più in fretta di me. Alcuni erano già abbastanza grandi da avere un'occupazione, come le sguattere Ulma e Lea e il garzone di cucina Roben. Sapevo che c'erano altri bambini che lavoravano nel pollaio, nell'ovile e nelle stalle, ma quelli non li vedevo mai. C'erano anche bimbi più piccoli, che per questo non potevano ancora essere separati dalle madri né avere un compito da svolgere. Alcuni erano già alti quanto me, però erano ancora troppo infantili per suscitare il mio interesse. Ulma aveva un anno più di me, e Lea uno di meno, ma entrambe mi superavano in altezza di una buona spanna. Erano cresciute nelle cucine e nelle dispense di Corvo Bianco e condividevano l'opinione che le loro mamme avevano di me. Quando avevo cinque anni, mostravano nei miei riguardi una sorta di tolleranza compassionevole. Compassione e tolleranza, però, scomparvero quando avevo sette anni; pur essendo molto più bassa di loro, ero decisamente più brava nelle faccende che mia madre mi affidava, ma siccome non parlavo, mi consideravano stupida. Avevo imparato a tacere con tutti, tranne che con mamae. Non solo i bambini, persino i servi adulti prendevano in giro i miei farfugliamenti e facevano smorfie quando pensavano che non li vedessi. Ero sicura che i figli avessero imparato dai genitori a disprezzarmi. Per quanto fossi ancora molto giovane, sapevo per istinto che i grandi temevano che, frequentandoli, in qualche modo avrei contagiato i piccoli con la mia stranezza. Al contrario dei genitori, i figli mi evitavano senza darsi pena di mascherare il loro disprezzo; io li guardavo giocare da lontano, morendo dalla voglia di unirmi a loro, ma non appena mi avvicinavo, afferravano le loro bambole di pezza, lasciavano cadere le ghiande e i fiori che avevano raccolto e scappavano via e se anche li rincorrevo, mi seminavano facilmente. Si arrampicavano sugli alberi dove io non riuscivo a raggiungere nemmeno i rami più bassi. E se insistevo a braccarli, alla fine si rifugiavano nelle cucine. Spesso una voce gentile mi allontanava da quella stanza dicendo: "Madamigella Haleira, andate a giocare dov'è più sicuro. Qui potreste essere travolta, oppure vi potreste scottare. Andate, andate." E nel frattempo, Ulma e Lea mi facevano smorfie e gestacci da dietro le sottane delle loro mamme.

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You went looking for a Myth and found an elf
FanfictionSolas vive in pace con la famiglia nella tenuta che ha avuto in dono dalla Corona di Nilfgaard per gli anni di leale servizio. Ma dietro quella facciata di tranquillo e rispettabile signore di campagna si nasconde un passato turbolento. Perché Solas...