Cap. 19 - Il mattino dopo

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"Per un bardo c'è un tempo per uccidere e scomparire. C'è un tempo per uccidere in pubblico e uno per uccidere in segreto. Per impartire una lezione, si ricorre ad un assassinio pubblico lasciando poi che siano gli altri a disporre del corpo. A volte, però, è preferibile uccidere in segreto, e poi utilizzare il cadavere per sorprendere, terrorizzare o ammonire. L'assassinio più difficile, tuttavia, è quello che deve restare segreto, non solo l'atto in sé, ma anche il cadavere. Lo scopo è quello di creare incertezza, o di evitare accuse, oppure di far credere che il soggetto sia fuggito o abbia disertato i suoi doveri. Da questo si evince che addestrare un bardo semplicemente a uccidere non basta. Occorre instillare buonsenso, disciplina e prudenza per plasmare uno strumento efficace."

· 'Il ruolo dei bardi nel Grande Gioco' di Jeshavis, Madre dell'Orlais.

Mi svegliai con una luce grigiastra che filtrava dalle finestre. Ero sul divano dove mia madre mi aveva partorita, avvolta in una coperta. Sulla sedia di mio padre davanti al focolare c'era una coperta ripiegata con cura. Mi accorsi che il fuoco era stato alimentato di recente. Rimasi sdraiata a pensare quanto la mia vita fosse cambiata in un solo giorno. Era arrivata Ari e la messaggera pallida. Mio padre aveva capito che ero utile, e anche intelligente, quando lo avevo aiutato a portarla in casa; aveva ritenuto di potersi fidare di me quando mi aveva detto di seguire le sue istruzioni. Poi Ari lo aveva distratto con le sue stupide lamentele e avevamo perso la messaggera. Quando mio padre mi aveva detto che la sua morte doveva restare segreta, ero rimasta parecchio turbata; ma avevo anche capito quanto mi apprezzasse. Eppure, nel momento in cui Ari aveva lanciato quelle urla terrorizzate, lui mi aveva abbandonata per correre da quella pazza isterica.

Mi scoprii e feci cadere la coperta sul pavimento e lanciai un'occhiata furente alla sua sedia vuota. Tutti volevano che si prendesse cura di qualcuno che non fosse sua figlia. Doveva ospitare e proteggere Ari; la messaggera pallida gli aveva detto di partire alla ricerca di un figlio perduto. Non c'era nessuno che gli dicesse di badare alla figlia perché altrimenti non c'era nessun altro al mondo che pensasse a lei? No! Tranne, forse, Ainwen. Ma lei credeva che fossi una ritardata. Beh, forse non proprio una ritardata e forse era stata colpa mia, perché non l'avevo mai messa a parte dei miei pensieri. Ad ogni modo, non presagivo niente di buono se fossi andata a vivere con lei. Però, magari Narwain sarebbe tornato a Cintra e le avrebbe detto che non ero una ritardata mentale come lei pensava che fossi, se mai Narwain fosse tornato a Cintra. Anche lui sembrava molto deciso a proteggere ari e dal canto suo lei sembrava decisa a tenerselo vicino. Mi accigliai a quel pensiero. Non ero sicura del motivo, ma ero certa che Narwain fosse proprietà esclusiva di mia sorella. In quel momento Ari non era soltanto un'intrusa, ma una nemica. E mio padre non era da meno.

Non ci misi granché a costruire il mio castello di rancore e ad abitarlo, schiumando di collera contro tutti quanti, tornai in camera mia. Con mio grande disappunto la trovai piena di gente che sfregava pareti e pavimenti e l'odore di aceto era pungente. Materasso e coperta del letto della bambinaia erano scomparsi e quando mi feci largo a fatica fra quei domestici sconosciuti, scoprii che anche il mio baule dei vestiti era vuoto. Mi piaceva l'idea che me li avrebbero restituiti lavati e profumati, un po' meno il fatto che mi era rimasta poca roba da mettermi. Né mi piaceva come mi fissavano le quattro nuove domestiche assunte e il colosso che le aiutava a spostare i mobili più pesanti. Erano loro gli intrusi, mica io! Nonostante mi fissassero a bocca aperta, nessuno di loro alzò un dito per aiutarmi con il coperchio del baule, quindi mi accontentai di afferrare i primi indumenti che trovai sotto mano e li portai nel salottino di mia madre, dove avrei potuto cambiarmi in santa pace la camicia da notte.

Mi spogliai in fretta dietro il paravento in un angolo, la tunica era estiva e un po' troppo corta: mia madre non me l'avrebbe fatta indossare. Le braghe erano flosce sulle ginocchia e sul sedere. Mi diedi una controllata negli specchietti del paralume decorativo. Avevo i capelli dritti sulla testa, che ricordavano un campo falciato. Somigliavo ad un garzone più dei nostri garzoni. Trassi un respiro profondo e scacciai dalla mente il pensiero degli abiti eleganti di Ari, dei suoi pettinini, degli anelli e delle sciarpe. La mia nuova camicia da notte rossa era sul pavimento, la raccolsi e la scrollai, poi la strinsi fra le braccia e l'annusai. L'odore di mia madre si era affievolito, ma c'era ancora. La piegai e la nascosi dietro uno sgabello. L'avrei lavata io stessa e profumata con uno dei suoi sacchetti di rose. Andai in cerca di mio padre. Trovai lui, Ari e Narwain che facevano colazione nella sala da pranzo. Rimasi sorpresa nel vedere il tavolo apparecchiato in modo formale: c'erano vassoi coperti e ben due teiere fumanti. C'era un posto anche per me. Mi chiesi se ogni giorno sarebbe stato così, ora che Ari era venuta ad abitare con noi. Avevano quasi finito di mangiare mentre entravo silenziosa nella stanza e occupavo la sedia vuota. Ari stava raccontando un mucchio di sciocchezze su come si tengono lontani i fantasmi con tazze di tè verde; io la lasciai concludere, ma prima che mio padre aprisse bocca, gli feci osservare: "Hai fatto colazione senza di me." Ero molto offesa e non feci nulla per nasconderlo, era un piccolo rituale che condividevamo da quando la mamma era morta. Qualunque cosa succedesse, la mattina lui mi svegliava e facevamo colazione insieme. Lui aveva l'aria sfinita e trasandata, nonostante si fosse fatto la barba e indossasse una camicia pulita. Non provai un briciolo di compassione per lui quando mi rispose: "Stanotte abbiamo fatto tutti molto tardi. Ho pensato che volessi dormire un po' di più, da'len." "Avresti dovuto svegliarmi per sapere se volevo fare colazione anch'io." "Già, forse avrei dovuto" replicò lui serafico. Il suo tono però mi disse che non gli garbava discutere davanti agli ospiti, me ne pentii all'istante. "I bambini hanno bisogno di dormire di più degli adulti. Lo sanno tutti." m'informò Ari, prese la sua tazza e mi osservò da sopra il bordo mentre sorseggiava il tè. Aveva gli occhi di una gatta maligna. Ricambiai il suo sguardo. "E tutti sanno che i fantasmi sono legati al luogo dove sono morti. Il tuo Rono si trova dove l'hai lasciato. I fantasmi non si mettono a seguire la gente." Se fosse stata una gatta, mi avrebbe soffiato contro. Le sue labbra si arricciarono come se fosse pronta a farlo; ma se fosse stata una gatta, avrebbe saputo che i lamenti nelle pareti appartenevano a un altro gatto. Senza smettere di fissarla, chiesi a mio padre: "È rimasto qualcosa per me?" Lui mi guardò senza parlare, poi suonò una campanella. Un cameriere che non conoscevo si precipitò nella stanza e mio padre gli chiese di portarmi la colazione. Credo che Narwain volesse alleggerire la tensione, quando mi chiese: "Allora, Haleira, che progetti hai per la giornata?" Gli occhi di Ari si ridussero a due fessure appena il giovane dai lunghi capelli biondi mi rivolse la parola e in quel momento capii esattamente che cosa volevo fare: tenere Narwain occupato perché non avesse tempo da dedicare a lei. Sollevai il mento e gli sorrisi. "Dato che sei qui, e mio padre è troppo impegnato con la sua ospite e le riparazioni della casa, magari oggi potresti insegnarmi ad andare a cavallo." Narwain sgranò gli occhi di autentico piacere. "Con il permesso di tuo padre, ne sarei davvero felice!" Mio padre fece una smorfia delusa. Ero mortificata. Avrei dovuto immaginare che una tale richiesta a Narwain avrebbe ferito i suoi sentimenti. Avevo mirato ad Ari e invece avevo colpito lui, anche se non avevo mancato del tutto il bersaglio. Gli occhi di Ari sprizzavano gelidi lampi di collera. "Credevo mi avessi detto che non volevi imparare ad andare a cavallo. - osservò mio padre - Che non ti piaceva l'idea di sedere in groppa a un'altra creatura e ordinarle dove andare." L'avevo detto, certo, ma quando ero molto più piccola, mi sentii avvampare. "Che idea bizzarra!" esclamò Ari e si mise a ridere divertita. Fissai mio padre. Come aveva potuto dire quelle cose ad alta voce e in presenza di un'estranea? Lo aveva fatto apposta, perché avevo ferito i suoi sentimenti? Risposi piccata: "Sono ancora dell'idea che sia sbagliato. Solo perché siamo elfi e possiamo costringere gli animali a obbedirci, non significa che sia giusto. Ma se mai andrò a trovare mia sorella a Cintra, è una cosa che devo imparare." Narwain, ignaro dei nostri contrasti, sorrise e disse: "E una visita da parte tua farebbe felice tua sorella più di qualsiasi altra cosa. Specie quando vedrà che parli così bene." "Perché, prima balbettava? O aveva la lisca?" Se Ari stava tentando di nascondere il suo disprezzo per me, non stava facendo un buon lavoro. Narwain si girò di scatto verso di lei, il volto serio e la voce solenne. "No. Parlava poco, tutto qui." "Se Haleira desidera che le insegni a cavalcare, non potrò che esserne lieto. - disse mio padre - C'è una cavalla nelle stalle, non un pony, ma abbastanza piccola. La scelsi per Haleira quando aveva cinque anni e credevo di convincerla a montare, ma lei si rifiutò. Una cavallina dal manto grigio e uno zoccolo bianco." Lo guardai, però la sua espressione era indecifrabile. Aveva scelto un cavallo per me, tanti anni prima, e quando mi ero divincolata mentre lui tentava di farmi salire in groppa, lui si era arreso senza nemmeno un rimprovero. Perché aveva mantenuto la cavalla? Perché aveva mantenuto la speranza. Non avevo avuto intenzione di ferirlo. "Mi dispiace di non averla provata, tanti anni fa. Adesso sono pronta." mormorai. Lui annuì, ma non sorrise. "Sarà un piacere per me vederti imparare, ma da'len, non importa chi ti insegnerà. Per il momento, però, non ci saranno visite a Cintra. Stamattina presto ho avuto notizia che il tuo nuovo tutore arriverà presto. Sarebbe strano se lui partisse da Cintra e giungesse qui solo per scoprire che tu sei andata a Cintra, non trovi?" "Il mio nuovo tutore? Che novità è questa? Quando è stato deciso?" avevo la sensazione che la sala si fosse messa a vorticare "Anni fa. - mio padre aveva un tono risoluto adesso - Si chiama Lean. È tutto stabilito, arriverà tra una decina di giorni." All'improvviso aggrottò la fronte come se qualcosa lo preoccupasse. "E bisognerà preparare una stanza anche per lui." "Lean" ripeté Narwain sotto voce. Non rivolse a mio padre un'occhiata interrogativa né sollevò un sopracciglio, ma dal suo tono capii che sapeva molte più cose di quante ne fossero state dette. "Ho sentito che alcune famiglie nobili ritengono che gli elfi non dovrebbero essere ammessi e presentati a corte." "È così, in effetti. - confermò mio padre - Anche se, a quanto ho saputo, è stata sollevata solamente qualche piccolo tafferuglio, che tuo padre ha abilmente calmato le acque." Lo sguardo di dama Ari guizzava dall'uno all'altro. Aveva capito che sotto c'era qualcosa di più di quanto lei fosse tenuta a sapere? Ad ogni modo, in quel momento non m'importava, avevo la mente in tumulto.

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