"Il mio lupo mi ha insegnato tanto quanto io ho insegnato a lui. Eppure, nonostante l'impegno, non è mai riuscito a insegnarmi a vivere il presente come faceva lui. Quando passavo le mie quiete serate invernali davanti ad un fuoco, la mia parte lupesca non aveva alcun bisogno di conversare o di leggere una pergamena. Si godeva il semplice piacere del calore e del quieto riposo, compresso nella mia mente. Quando mi alzavo per camminare avanti e indietro, levavo dalle braci un legnetto bruciato per scribacchiare sulle pietre del focolare, o prendevo carta e penna, lui apriva un occhio di fiamma, scintillante nel mezzo del suo manto nero notte e sospirava, poi si rimetteva giù, continuando a godersi la serata. Quando andavo a caccia, io mi spostavo furtivo come faceva lui, con gli occhi spalancati in cerca del minimo movimento di un orecchio o di uno zoccolo, segnali impercettibili della presenza di un cervo che aspettava immobile che ce ne andassimo. Lui mi aveva aperto ad ogni informazione che il mondo gli offriva, un odore, un rumore, un piccolo movimento o soltanto un anelito di vita che sfiorava i suoi sensi. Mi mancava quel livello di apertura al tutto, di consapevolezza di quanto accade nello stesso momento."
· Pagina di diario, non firmato
Non avevo fatto più di un passo che Narwain era già scattato in piedi per raggiungermi. Mi afferrò un braccio. Mi voltai; aveva la bocca serrata e mi parlò con calma, quasi senza inflessioni, come se lui stesso non sapesse quale emozione attribuire alle proprie parole. "Devo dirtelo prima che andiamo a cercare Haleira. Solas, non funziona. È proprio come temeva Ainwen. Tu sei una brava persona, lethallin. Spero che terrai a mente che sono tuo amico mentre ti dico questa cosa. Tu non sei un... non sei capace di essere un buon padre. Devo portarla a Cintra con me. Ho promesso ad Ainwen che avrei studiato come andavano le cose fra voi. Lei non si fidava del proprio giudizio, temeva di essere troppo critica." Frenai a stento la rabbia. "Narwain. Non adesso. Non qui." Più tardi, avrei riflettuto sulle sue parole e sul loro significato. Mi liberai dalla stretta. "Devo trovare Haleira. È via da troppo tempo." Lui mi riafferrò la manica e mi costrinse a girarmi. "Appunto! Ma finché non te l'ho fatto notare io, tu non te n'eri nemmeno accorto. È la seconda volta oggi che si trova in pericolo." Ari aveva un udito finissimo. E aveva sentito. Fece un verso fra il disprezzo e lo scherno alle nostre spalle. "E pensare che ha detto che non siete adatto a insegnare a sua figlia" disse a Lean, ma a voce abbastanza alta perché io la udissi. Stavo per voltarmi e replicare, quando il lupo in me balzò avanti nella mia coscienza.
Trova la cucciola. Non importa altro.
Anche Narwain l'aveva sentita. Mi lasciò la manica e si avviò alla porta. Io ero appena dietro di lui. La mia mente era un turbinio di pensieri: Beauclair non era poi una grande città, ma in occasione della Festa d'Inverno accoglieva gente di ogni sorta. Gente che aveva voglia di divertirsi, e per certi individui divertirsi a volte significava prendersela con una bambina indifesa. Urtai il fianco contro lo spigolo di un tavolo, e due uomini mi gridarono dietro perché gli avevo fatto traboccare la birra dai boccali. Poi Ari fu tanto stupida da afferrarmi la manica. Mi aveva seguito, e Lean era dietro di lei. "Ci penserà Narwain a trovare Haleira. Padron Solas, vogliamo o no sistemare la nostra faccenda?" Mi liberai dalla sua stretta con una tale foga che lei gridò, premendosi la mano al petto. "Vi ha fatto male?" esclamò Lean inorridito. Narwain aveva raggiunto la porta e stava aspettando che due corpulenti avventori entrassero, prima di uscire. Allungò il collo fra i due per guardare la strada. Poi: "No! Fermo! Mettila giù!" ruggì, scansando i due uomini per precipitarsi all'esterno.
Io mi lanciai attraverso il locale gremito, correndo e incespicando. La porta era rimasta spalancata e schizzai fuori, guardandomi intorno come un forsennato. Dov'era andato Narwain, che cos'aveva visto? La gente passeggiava tranquilla nel parco innevato, un cane seduto si grattava un orecchio, il conducente di un carro vuoto di fronte alla locanda incitò i cavalli. Oltre il carro scorsi Narwain che correva in mezzo ai passanti sorpresi verso un mendicante lacero che aveva sollevato la mia bambina con le mani sporche e adunche e la teneva stretta al petto. Teneva la bocca accanto al suo orecchio. Intrappolata nella sua morsa, lei non si divincolava. Anzi, era immobile, i piedi che le penzolavano nel vuoto, il viso rivolto verso quello di lui, le mani rilassate e aperte come se implorasse qualcosa al cielo. Superai Narwain e chissà come mi ritrovai con una lama di ghiaccio in mano. Udii un suono, come il ruggito di una belva, ruggito che mi riverberò nelle orecchie. Poi abbrancai la gola del mendicante allontanandogli la faccia da quella di mia figlia; mentre gli piegavo la testa indietro bloccandola con il gomito, gli affondai il ghiaccio magico una, due, tre volte nel fianco. Lui urlò e la lasciò andare; io me lo trascinai appresso, lontano dalla mia bambina con il suo scialle rosso e grigio, caduta come una rosa recisa sulla neve. Narwain mi raggiunse in un batter d'occhio, e fu abbastanza saggio da raccogliere mia figlia dalla neve e indietreggiare. Con la mano destra se la stringeva al petto, mentre con la sinistra impugnava il suo coltello, guardandosi intorno in cerca di altri aggressori o complici. Poi abbassò lo sguardo su di lei, fece due passi indietro e gridò: "Sta bene, Solas. È solo un po' frastornata, ma sta bene. Niente sangue!" Soltanto allora mi resi conto della gente che strillava. Alcuni fuggivano dalla scena, altri invece si accalcavano formando un cerchio intorno a noi, avidi come avvoltoi. Io stringevo ancora il mendicante fra le braccia. Guardai in faccia l'uomo che avevo ucciso. Aveva gli occhi spalancati, velati di grigio, ciechi. Le cicatrici gli solcavano il viso in lunghe incisioni. Aveva la bocca storta. La mano che ancora stringeva il mio braccio sembrava un artiglio di dita guarite male. "Solas" mormorò. "Mi hai ucciso. Me lo merito. Mi merito di peggio." Il suo fiato era pestilenziale e i suoi occhi sembravano finestre sporche... ma la sua voce non era cambiata. Mi sentii mancare la terra sotto i piedi. Barcollai all'indietro e mi accasciai di schianto sulla neve, con il Saggio fra le braccia. Capii dov'ero: sotto la quercia, sul cumulo di neve arrossata dal sangue della cagna. Adesso era il Saggio a sanguinare. Il suo sangue caldo fiottava e mi inzuppava le gambe. Lasciai andare la lama di ghiaccio e premetti la mano sulle ferite che gli avevo inferto cercando di curarle con quel poco di magia curativa che conoscevo. "Avallac'h", mormorai con la voce arrochita, incapace di trovare altre parole. Lui sollevò una mano, cercando a tentoni nell'aria, e domandò con un filo di voce traboccante di speranza: "Dov'è andato?" "Sono qui. Proprio qui. E mi dispiace tanto. Oh, Avallac'h, non morire. Non fra le mie braccia. Non potrei vivere con questo rimorso. Non morire, Avallac'h, non per mano mia!" "Era qui. Mio figlio." "No, ci sono soltanto io. Soltanto io. Crevan. Non morire. Ti prego, non morire." "Ho sognato?" Dagli occhi ciechi cominciarono a sgorgare le lacrime, gialle e sierose. Il suo fiato era terribile. "Posso morire in quel sogno? Per favore?" "No. Non morire. Non per mano mia. Non fra le mie braccia." lo implorai. Ero chino su di lui, e avevo la vista annebbiata da una tenebra che mi rendeva cieco quanto lui. Era troppo terribile da sopportare. Com'era possibile? Com'era possibile? Il mio corpo anelava l'incoscienza, ma la mia mente sapeva che era una possibilità molto remota. Non avrei potuto sopravvivere se lui fosse morto.
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You went looking for a Myth and found an elf
Fiksi PenggemarSolas vive in pace con la famiglia nella tenuta che ha avuto in dono dalla Corona di Nilfgaard per gli anni di leale servizio. Ma dietro quella facciata di tranquillo e rispettabile signore di campagna si nasconde un passato turbolento. Perché Solas...