Cap. 24 - Cose da tenere

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"Fu al tempo dell'Imperatore Torres var Emreis che il capo scrivano del Castello di Vizima ricevette l'incarico supplementare di insegnare a qualsiasi bambino volenteroso l'arte delle lettere. Correva voce che l'Imperatore avesse preso quella decisione a causa della forte antipatia che provava per lo scrivano Martin. Una cosa è certa: molti scrivani di Vizima venuti dopo Martin la considerarono più una punizione che un onore."

· 'Sui doveri degli scrivani', dello scrivano Malleore

E così, ancora una volta, avevo sbagliato. Ero così convinto di aver fatto la cosa giusta, e che lei sarebbe rimasta estasiata dalla sua nuova stanza e dai mobili scelti per adattarsi alla sua statura. E nella mia ansia d'ingannare i domestici a proposito dell'ospite scomparsa, avevo distrutto ricordi preziosi, insostituibili frammenti della sua infanzia. Condussi la mia bambina in camera mia, completamente cambiata dall'ultima volta che c'era stata. Avevo radunato tutti i miei abiti e la biancheria per mandarli a lavare. Il lavandaio aveva dovuto fare due viaggi con un enorme cesto da bucato, il naso arricciato dal disgusto. Quella sera, quando ero tornato nella mia stanza, il materasso era stato arieggiato e rigirato, tutte le superfici spolverate, e il resto rimesso in ordine. Non ero stato io a dare l'autorizzazione; sospettavo fosse stato Cedric. Quella notte dormii fra lenzuola lavate dal sudore del cordoglio, su cuscini non più impregnati delle mie lacrime. I candelabri contenevano semplici candele bianche e sottili, senza profumazione, e la camicia da notte che indossai era morbida e pulita. Mi ero sentito come un viandante che, dopo un viaggio lungo e difficile, si ferma a riposare in una locanda anonima. Non mi sorprese il fatto che Haleira si fermò sulla soglia a bocca aperta. Avrebbe potuto essere la camera di chiunque o di nessuno. Si guardò intorno, poi alzò gli occhi su di me. "Rivoglio le mie cose." La sua voce suonò ferma e chiara, senza tracce di collera né di lacrime trattenute. Le feci cenno di seguirmi verso la grande cassapanca sotto la finestra. L'aprii e lei vi guardò dentro. Trattenne il fiato. All'interno non c'erano soltanto le cose che avevo preso dalla sua stanza in quella notte frenetica e dolorosa, ma molti altri ricordi. Avevo conservato il primo vestitino che Haleira aveva indossato e un nastro per capelli che avevo rubato ad Elanor tanti anni fa. C'erano la spazzola e lo specchio di sua madre, e la sua cintura preferita, di cuoio tinto di azzurro, munita di alcune scarselle. Gliel'aveva donata Cassandra e la fibbia era opaca per l'uso. Mia moglie l'aveva indossata fino al giorno in cui era morta. C'era anche un piccolo scrigno che conteneva non soltanto i suoi gioielli, ma anche tutti i dentini da latte di Haleira. Mia figlia trovò i suoi libri e le sue camicie da notte. "Le candele sono nel mio studio, conservate solo per te" le rammentai. Pescò alcuni pupazzetti e se li strinse al petto. Non parlò, ma dalle sue labbra serrate capii che mancavano diversi oggetti importanti. "Mi dispiace" le dissi quando si allontanò dalla cassapanca con le braccia cariche di ricordi. "Avrei dovuto chiedertelo. Se potessi riportare indietro tutte le tue altre cose care, lo farei." Lei si girò e, per un attimo fugace, i suoi occhi incontrarono i miei. Rabbia e dolore covavano sotto la brace di quegli occhi così azzurri. All'improvviso appoggiò tutti gli oggetti sul mio letto e dichiarò: "Voglio la cintura con il coltello di mia madre." Guardai nel baule. Il piccolo coltello era appeso alla cintura, come sempre. Aveva l'impugnatura d'osso, ma a un certo punto Elanor, o forse Lunus, l'aveva avvolta con una striscia di pelle per evitare che scivolasse. Aveva un fodero azzurro che si abbinava al colore della cintura. "La cintura ti andrà larga ancora per diversi anni" commentai. Era un'osservazione, non un'obiezione. Non avrei mai pensato di darla a qualcun altro che non fosse lei. "Per adesso mi servono il coltello e il fodero" disse Haleira. Mi rivolse ancora quell'occhiata fugace. "Per difendermi." Trassi un respiro profondo e presi la cintura di Elanor dalla cassapanca. Dovetti sfilare diverse scarselle prima di liberare il fodero con il coltello. Lo porsi ad Haleira, dalla parte del manico, ma quando lei fece per prenderlo, io ritrassi la mano. "Difenderti da chi?" le chiesi. "Assassini. - dichiarò lei serafica - E dalle persone che mi odiano." Le sue parole mi colpirono come uno schiaffo. "Nessuno ti odia!" esclamai. "Invece sì. Quei bambini che hai deciso che seguiranno le lezioni con me, per esempio. Almeno tre di loro mi odiano. Forse anche di più." Mi sedetti ai piedi del letto, il coltello di Elanor ancora in mano. "Haleira, ma se quasi neanche ti conoscono, come fanno a odiarti? E se pure ti trovassero antipatica, dubito che i bambini della tenuta oserebbero..." "Mi hanno tirato dei sassi. E mi rincorrevano. Lui mi ha dato uno schiaffo talmente forte da farmi uscire il sangue dalla bocca." Mi sentii schiumare di collera. "Chi è stato? Quando?" Lei distolse lo sguardo, fissando un angolo della stanza. Credo che si stesse sforzando di non piangere. Rispose in tono sommesso: "È successo anni fa. Ma non ti dirò altro. Sapere chi è stato peggiorerebbe soltanto le cose." "Ne dubito. - ringhiai - Dimmi chi erano quelli che ti hanno rincorsa e lanciato sassi, e saranno fuori da Corvo Bianco entro stanotte. Loro e i loro genitori." Il suo sguardo azzurro mi sfiorò come una rondine che sorvola una scogliera. "Oh, e questo mi farebbe amare ancora di più dagli altri servitori, giusto? Bella vita farei, con i bambini che hanno paura di me e i genitori che mi odiano." Aveva ragione. Mi si strinse lo stomaco. La mia bambina era stata rincorsa e presa a sassate, e io ne ero all'oscuro. E adesso, pur sapendolo, non ero in grado di trovare un modo per proteggerla. Aveva ragione. Qualunque azione avessi intrapreso, avrebbe soltanto peggiorato la situazione. Le porsi il coltello nel fodero. Lei lo prese e per un istante mi parve quasi delusa che glielo avessi consegnato senza ulteriori indugi. Quasi stessi ammettendo che avrei potuto non essere in grado di proteggerla? Mentre Haleira liberava la lama dal fodero, mi domandai che cos'avrebbe fatto Elanor. Era un coltellino semplice, che mostrava segni d'usura. Elanor lo aveva utilizzato tutti i giorni per mille motivi: recidere gli steli dei fiori, tagliare le parti ammaccate di una carota, o togliermi una scheggia dal pollice. Mi guardai la mano, ricordando come lo aveva stretto decisa per incidermi senza pietà la carne e far uscire la scheggia di cedro. Haleira aveva cambiato impugnatura e adesso brandiva il coltello come se volesse colpire qualcuno dall'alto in basso. Pugnalò l'aria più volte, serrando i denti. "Non così" mi sentii dire. Lei mi guardò accigliata. Feci per prenderle il coltello, ma capii che così non avrebbe funzionato. Allora estrassi dalla cintura il mio, molto simile a quello di Elanor: una lama corta e robusta, ideale per le svariate circostanze quotidiane in cui si rende necessario un coltello. Lo bilanciai sul palmo aperto, poi strinsi il manico. "Prova così." A malincuore Haleira cambiò di nuovo impugnatura e fece come me. Fendette l'aria, e scosse la testa. "Sono più forte in quell'altro modo." "Può darsi. Se hai un nemico compiacente che resta fermo mentre lo accoltelli, in ogni caso dovrai avvicinarti. Invece se lo tieni così, costringi l'altro a indietreggiare. Oppure puoi allungare il braccio e colpire prima che si avvicini. Puoi anche scegliere di menare un fendente. - le diedi una dimostrazione - In quell'altro modo, non puoi colpire con efficacia, né affrontare più di un aggressore alla volta." Dalla postura curva delle sue spalle capii che voleva tanto avere ragione e che la irritava ammettere di avere torto. In tono brusco mi disse: "Fammi vedere" e poi ancora più imbronciata aggiunse: "Per favore." "D'accordo." Mi allontanai da lei e mi misi in posizione. "Si parte dai piedi. Bisogna distribuire bene il peso sulle gambe, per poter essere pronti a scattare di lato, o a fare un passo indietro o avanti senza perdere l'equilibrio. Ginocchia appena piegate. Vedi come riesco a spostare il corpo da una parte all'altra?" Lei si mise di fronte a me e mi imitò. Era agile, la mia piccola, e flessuosa come un serpente. Posai il coltello e mi armai del fodero. "Allora, primo incontro. Nessuno dei due può spostare i piedi. Né fare un passo avanti o indietro. Io cercherò di toccarti con la punta del fodero. Tu devi muovere il corpo per evitare il fendente." Haleira abbassò gli occhi sul suo coltello, poi mi guardò. "Per il momento lascialo perdere. Comincia con lo schivare i miei colpi." Al principio la toccai con facilità, sul braccio, sullo sterno, sulla pancia, sulla spalla. "Non guardare il coltello. - le suggerii - Guarda me. Nel momento in cui la lama si muove verso di te, è già troppo tardi. Invece osserva tutto il mio corpo, e cerca di capire quando e dove proverò a toccarti." Non ci andai pesante come Abelas un tempo aveva fatto con me durante il mio periodo di fuga dalle spie di Leliana. I suoi colpi lasciavano piccoli lividi e lui rideva ogni volta che metteva a segno un tiro. Ma io non ero il Comandante, e Haleira non era me. Lasciarle un livido o prenderla in giro non sarebbe servito a spronarla. Anzi, ricordavo come la rabbia che mi suscitava quel tipo di addestramento mi aveva sempre fatto sbagliare. Mi dissi che non stavo cercando di insegnare a mia figlia a diventare un'assassina, ma solo come schivare un coltello. Lei migliorava rapidamente, e ben presto fu lei a toccarmi con la punta del suo fodero. La prima volta che le permisi di colpirmi, Haleira si fermò e abbassò il braccio. "Se non vuoi insegnarmi, basta dirmelo. - dichiarò gelida - Ma non fingere che abbia imparato qualcosa che in realtà non so fare." "È solo che non volevo scoraggiarti." mi scusai. "Ed io non voglio credere di aver imparato qualcosa quando invece non è così. Se qualcuno ha intenzione di uccidermi, voglio essere capace di contrattaccare." Riflettei sulle sue parole, trattenendo un sorriso che sapevo non avrebbe preso bene. "D'accordo" dissi, e da quel momento in poi fui onesto con lei. Il che significò che quel pomeriggio non riuscì più a toccarmi, ma anche che avevo la schiena a pezzi ed ero in un bagno di sudore quando finalmente mi annunciò che per quel giorno aveva imparato abbastanza. Aveva i capelli fradici e spettinati quando si sedette sul pavimento per infilare il fodero con il coltello alla cintura. Quando si rialzò, l'arma pendeva pesante dal suo corpo minuto. La guardai, ma lei non sollevò gli occhi su di me. Di colpo mi parve un cucciolo trascurato. Elanor non l'avrebbe mai fatta andare in giro conciata così.

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