Cap. 11 - L'ultima occasione

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"In quello strano sogno eravamo tra le rovine di una città. Vidi sia com'era stata – piena di torri svettanti ed esili ponti, gremita di gente esotica dagli abiti colorati – sia come la vedeva Avallac'h, fredda e buia, le strade sconnesse e i muri crollati che lo intralciavano a ogni passo. Il vento soffiava una sabbia fastidiosa; lui era costretto a camminare a testa bassa, arrancando verso un fiume. O meglio, io lo percepivo come un fiume. Ma non era acqua. Era magia, sebbene liquida come oro colato o ferro fuso. Mi parve brillare di una nera luminescenza, però nel sogno era notte e inverno. Possibile che avesse un colore? Non so dirti.

Ricordo che il mio amico, scheletrico come uno spaventapasseri, s'inginocchiò sulla riva e affondò le mani e le braccia in quella sostanza. Condividevo il suo dolore, perché giuro che gli divorò la carne fino alle ossa, ma quando le sollevò, mani e braccia erano argentate di magia, nella sua forma più pura e potente.

Ti confesso anche che lo aiutai a non gettarsi nella corrente. Gli prestai la mia forza per indietreggiare. Fossi stato lì, non credo che avrei avuto il coraggio di resistere alla tentazione di tuffarmi anch'io in quella fonte. Perciò, per quanto mi riguarda, sono lieto di ignorare come si usino le fonti. Alcuni anni fa, Abelas mi chiese di viaggiare nei portali con lui, per cercare tracce di Avallac'h, allo scopo di scoprire dove fosse andato e se era veramente scappato e da che cosa. Non riuscii ad accontentarlo, ogni mio tentativo di richiamare alla memoria quei luoghi sembrava vano.

Per il bene di tutti, ti prego di tenere per te queste informazioni. Distruggi questa lettera, se vuoi, oppure nascondila dove soltanto tu puoi trovarla. Spero con tutto il cuore che Avallac'h sia lontano, molto lontano, raggiungibile solo con una serie di viaggi nei portali che nessuno di noi farà mai. Quel poco di magia delle fonti che abbiamo imparato a manipolare dovrebbe essere più che sufficiente per noi. Meglio non cercare un potere che superi la nostra capacità di usarlo."

· Da una lettera mai inviata di Solas Dorren aep Shiadhal alla Maestra delle Arti Magiche Ainwen

Ci sono dei finali. Ci sono degli inizi. A volte coincidono, con la fine di una cosa che segnala l'inizio di un'altra. Altre volte, invece, alla fine segue un lungo intervallo, un tempo in cui sembra che si sia concluso tutto e non potrà mai più cominciare niente. Quando morì la mia Elanor la custode del mio cuore fin da quando mi ero risvegliato, per me fu così. Lei finì, ma non cominciò nient'altro. Non c'era niente a distogliere la mia mente da quel vuoto, niente che alleviasse il mio dolore, niente che desse un senso alla sua morte. Anzi, la sua morte riaprì le ferite mai completamente rimarginate di altri finali che avevo vissuto. Nei giorni successivi rimasi del tutto inerte. Ainwen arrivò subito, prima del calare della notte di quello stesso giorno. Portò con sé Narwain; sono sicuro che viaggiarono tramite i portali. Vennero altri conoscenti, persone che avrei dovuto accogliere e ringraziare per la loro affettuosa presenza. Forse lo feci. Non ho idea di quel che feci in quei lunghi giorni, il tempo sembrava non passare mai, si trascinava lento e intollerabile. La casa era piena di gente, tutti che parlavano e mangiavano, piangevano e ridevano, e condividevano ricordi di un tempo in cui io non facevo parte della vita di Elanor. L'unico modo per restare da solo fu salire nella mia camera da letto e sbarrare la porta. Eppure l'assenza di Elanor era più forte della presenza di chiunque. Ognuno dei suoi conoscenti la piangeva a modo suo. Sera versava lacrime senza ritegno. Cole vagava per le stanze con lo sguardo assente, mentre Varric se ne stava seduto in silenzio. Lunus e Abelas bevvero parecchio, una cosa che avrebbe fatto preoccupare Elanor se li avesse visti. C'era anche Narwain, uno spettro che si aggirava sullo sfondo. Una volta parlammo, a tarda notte, e con le migliori intenzioni mi disse che il dolore sarebbe passato e la mia vita sarebbe ricominciata. Avrei voluto dargli un pugno, e immagino che dalla mia espressione lui lo intuì, da quella volta ci evitammo accuratamente.

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