Cap.25 - Lezioni

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"Sogno di una notte d'inverno di quando avevo sei anni. Nella piazza di un mercato, un mendicante cieco coperto di stracci se ne stava seduto in un angolo. Nessuno gli faceva l'elemosina, perché era più spaventoso che patetico, con quella faccia deturpata dalle cicatrici e le mani ad artiglio. Trasse una marionetta da sotto gli stracci: era fatta di stecchi e fili, con una ghianda al posto della testa, ma la faceva danzare come se fosse viva. Un bambino dall'aria cupa lo osservava dalla folla. Lentamente si avvicinò per guardare la danza della marionetta. Quando gli fu davanti, il mendicante volse gli occhi velati su di lui, e all'improvviso quelli cominciarono a schiarirsi, come fango che si deposita sul fondo di una pozzanghera. Il mendicante lasciò cadere la marionetta.

Il sogno finisce nel sangue e mi fa paura ricordarlo. Il ragazzino diventa la marionetta, con i fili attaccati alle mani e ai piedi, alle ginocchia e ai gomiti, e alla testa ballonzolante? Oppure il mendicate lo afferra con le mani callose e ossute? Forse succedono entrambe le cose. Tutto finisce in sangue e grida. È il sogno che detesto di più fra tutti quelli che ho fatto. Per me è il sogno finale. O forse il sogno iniziale. So soltanto che dopo questo evento, il mondo come lo conosco non sarà mai più lo stesso."

· Diario dei sogni di Haleira

La prima cena con il mio tutore fu la peggiore della mia vita. Indossavo una delle mie tuniche appena confezionate. Prudeva. Non c'era stato il tempo di adattarla a me, perciò avevo l'impressione di essere infagottata in una piccola tenda di lana. Le nuove braghe non erano ancora finite, e quelle vecchie erano troppo corte e flosce sulle ginocchia. Mi pareva di essere uno strano trampoliere, con le gambe che mi spuntavano da sotto i vestiti troppo larghi. Mi dissi che, una volta seduta, nessuno ci avrebbe fatto caso, ma il mio proposito di arrivare per prima andò in fumo. Ari mi aveva preceduta, entrando in sala da pranzo come una regina che incede verso il trono. Portava i capelli raccolti; la sua nuova cameriera aveva un talento speciale per le acconciature, e ogni ricciolo castano riluceva. Le forcine d'argento splendevano in quel mare color miele di castagno come stelle nel firmamento notturno. Non era semplicemente bella, era incantevole; perfino io ero costretta ad ammetterlo. Indossava un lungo abito verde dal taglio sapiente che metteva in risalto i seni, protesi in avanti come a offrirsi allo sguardo ammirato degli altri. Si era colorata le labbra e spennellata il viso di una polvere chiara che faceva spiccare gli occhi argentei e le lunghe ciglia. Sulle guance si era applicata un tocco di rosso che le dava un'aria vivace e briosa. Ero destinata a odiarla ancora di più per la sua bellezza. La seguii nella sala. Prima che arrivassi al mio posto, lei si voltò a guardarmi e sorrise come una gatta. Il peggio doveva ancora venire. Il mio tutore era dietro di me. Il suo bel viso era guarito; non era più gonfio e non mostrava più tracce dei lividi viola. La sua pelle non era ancora stata intaccata dal tempo; aveva la carnagione di un gentiluomo di corte. Si era rasato gli zigomi pronunciati e il mento volitivo, ma sul labbro superiore c'era ancora l'ombra di quelli che sarebbero stati indubbiamente un bel paio di baffi. Avevo temuto che trovasse inadeguato e goffo il mio abbigliamento? Preoccupazione inutile. Si bloccò sulla soglia con gli occhi sgranati non appena notò Ari, sia lei sia io lo vedemmo trattenere il fiato. Poi si avviò lentamente verso il suo posto a tavola. Si scusò con mio padre per il ritardo, ma mentre parlava guardava Ari. In quel momento m'innamorai dei suoi modi cortesi e del suo nobile accento. Le persone prendono in giro il primo amore di un ragazzo o di una ragazza definendolo un'infatuazione infantile, non capisco perché l'amore di una persona giovane non debba essere altrettanto profondo e appassionato di quello di un adulto. Lo guardai sapendo che in me vedeva soltanto una bambina, piccola per la sua età e piuttosto provinciale, indegna della sua attenzione, ma non mentirò su quello che provavo. Smaniavo dalla voglia di farmi notare, di dire qualcosa di interessante o magari di farlo ridere; insomma, desideravo che accadesse qualcosa che mi facesse apparire importante ai suoi occhi; ma non avevo alcuna freccia al mio arco. Ero una ragazzina, con un abbigliamento banale e senza niente di eccitante da raccontare. Non potevo nemmeno intervenire nella conversazione che Ari aveva cominciato e poi abilmente indirizzato su se stessa e la sua educazione sofisticata. Parlò della sua infanzia a casa dei nonni, raccontando diversi aneddoti sui menestrelli famosi che si erano esibiti per loro e sui nobili che andavano a trovarli. Ogni tanto Lean diceva che anche lui aveva assistito allo spettacolo di questo o quel cantore, o che conosceva dama Tal-dei-Tali che aveva soggiornato alla Rocca di Cintra. Quando lui parlò di uno scrittore di nome Varric Tethras, lei posò la forchetta ed esclamò di aver sentito dire che era il più bravo di tutti e che conosceva le storie più intricate e salaci. Avrei tanto voluto aprire la bocca per dire che per me era come uno zio e che una volta mi aveva persino regalato una bambola, ma i due parlavano fra loro, e se fossi intervenuta avrei dato l'impressione di origliare. Eppure, in quel momento, desiderai con tutto il cuore che Varric ci facesse un'improvvisata, come capitava di tanto in tanto, e mi chiamasse come mi chiamava lui, solo lui. Varric dava soprannomi a chiunque. Mio padre era solito chiamarlo 'simpaticone', ed io per Varric ero 'passerotto'. Già, come se questo avesse potuto accrescere la considerazione che il maestro Lean aveva di me. Figuriamoci. Per lui l'unica persona seduta al tavolo era Ari. Lei inclinò la testa e gli sorrise mentre beveva un sorso di vino, e lui alzò il calice verso di lei e ricambiò il sorriso. Mio padre parlava con Narwain del suo ritorno a Cintra, del giorno della sua partenza, dei messaggi che avrebbe dovuto portare a messer Abelas, a dama Ainwen e persino a Cirilla. Le vigne di Corvo Bianco avevano dato ottimi risultati e c'erano delle conserve che voleva mandare all'Imperatrice, come anche un assaggio del vino invecchiato cinque anni nelle cantine che prometteva di essere prelibato.

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