Cap. 2 - Sangue versato

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"Di tutte gli incantesimi possedute dalle tribù Neromeniche trasmesse agli uomini, si sa che la più eccelsa e nobile è quella combinazione di talenti nota come magia. Non è di certo una coincidenza il fatto che per molte generazioni i poteri si siano spesso manifestati nei figli di coloro che la possedevano. La forza di carattere e la generosità d'animo, le benedizioni di Andraste, Sposa del Creatore, spesso accompagnano questa magia ereditaria. Se tenuta a bada severamente conferisce a chi la possiede la capacità di manipolare gli elementi, far volare oggetti, curare ferite, espandere lontano la propria mente, per influenzare sottilmente il pensiero e, o per incutere terrore nel cuore dei nemici. Dall'altro lato dello spettro magico c'è una magia ignobile e corrotta legata al sangue. Usato come potere grezzo creava una dipendenza pericolosa non solo per coloro che soccombono alla sua influenza, ma anche per quelli che li circondano. Il depravato uso della magia del sangue induce comportamenti e appetiti animaleschi. I maghi la bramano. Bramano legarsi alle creature corrotte che vivono oltre il Velo. Sebbene chi scrive sospetti che persino dei giovani maghi del Circolo siano rimasti catturati dalle attrattive della magia del sangue, non posso che desiderare che costoro siano scoperti ed eliminati in fretta prima che possano infettare gli innocenti con i loro disgustosi appetiti."

· Alto Comandante Meredith Stannard.

Mi ero del tutto dimenticato dei nostri strani visitatori mentre mi affrettavo lungo i corridoi di Corvo Bianco. Temevo per Dorian. Era caduto due volte nell'ultimo mese, ma aveva dato la colpa alla stanza che "all'improvviso si era messa a girare." Non correvo, però la mia falcata era lunga e quando arrivai nelle sue stanze non bussai, ma entrai direttamente. Elanor era seduta sul pavimento. Ainwen era inginocchiata al suo fianco, mentre Dorian era in ginocchio accanto a lei e le sventolava un fazzoletto davanti al viso. Nell'aria aleggiava un odore pungente di erbe e per terra c'era una fialetta di vetro. Due sguattere se ne stavano rintanate in un angolo, scacciate dalla lingua tagliente del mago. "Cos'è successo?" domandai. "Sono svenuta." La voce di Elanor tradiva un misto di irritazione e di vergogna. "Stupido da parte mia. Aiutami ad alzarmi, Solas." "Certo" risposi, cercando di nascondere la preoccupazione. Mi chinai su di lei e le porsi il braccio. Lei si appoggiò e l'aiutai a rimettersi in piedi. Barcollò leggermente, ma lo nascose stringendomi il braccio. "Adesso sto bene. Troppi giri di danza, e forse troppi bicchieri." Ainwen e Dorian si scambiarono un'occhiata poco convinta. "Forse tu e io dovremmo concludere la serata. Utica e Narwain potranno occuparsi dei doveri di ospitalità." "Sciocchezze!" esclamò Molly. Poi mi guardò, gli occhi ancora annebbiati, e aggiunse: "Ma forse sei tu che sei stanco?" "Infatti" mentii spudorato, mentre sentivo crescere dentro di me un senso di allarme. "Troppa gente in un posto solo! E ci aspettano altri tre giorni di baldoria, come minimo. Avremo tutto il tempo di fare conversazione, banchettare e danzare." "D'accordo. Se sei stanco, amore mio, allora mi arrendo." Dorian mi rivolse un furtivo cenno con il capo e disse: "Io farò lo stesso, miei cari. Queste vecchie ossa meritano un letto, ma domani mi metterò le scarpe da ballo!" "Starò in guardia, allora!" scherzai e di buon grado accettai l'occhiata maliziosa che Dorian mi scoccò. Quando indirizzai la madre verso la porta, Ainwen mi scoccò un'occhiata riconoscente. Sapevo che l'indomani mi avrebbe preso da parte per un colloquio privato, però sapevo anche che non avevo risposte da darle, se non che sua madre e io stavamo invecchiando, nonostante tutto. L'anello rallentava la vecchiaia, ma non poteva annullarla. Elanor si appoggiava al mio braccio mentre camminavamo piano per i corridoi. Fummo costretti a passare di nuovo per la Sala Grande, dove gli invitati ci trattennero con brevi scambi di convenevoli, complimenti per il cibo e la musica, e auguri di una buonanotte. Percepivo la stanchezza di mia moglie nel suo passo strascicato e nella lentezza delle sue risposte, ma per i nostri ospiti era sempre dama Elanor. Alla fine riuscii a liberarla dalle eccessive attenzioni. Salimmo le scale adagio, con Elanor sempre aggrappata al mio braccio, e quando arrivammo alla porta della camera da letto, lei esalò un lungo sospiro di sollievo. "Non so perché mi sento così stanca - si lamentò - In fin dei conti, non ho bevuto tanto. E adesso ho rovinato tutto." "Non hai rovinato niente. Aspetti un bambino. È normale." protestai, e aprii la porta per ritrovarmi in una stanza completamente trasformata. Il nostro letto era contornato da tralci di edera, e rametti di sempreverdi abbellivano la mensola del caminetto profumando l'aria. Le candele gialle di oli vegetali spandevano fragranze di gaultheria e tamerice. Sul letto c'era una nuova coperta in tinta con i nuovi tendaggi, verdi e oro, impreziositi da ricami di foglie di salice. Rimasi sbalordito. "Quando hai trovato il tempo di preparare tutto questo?" "Il nostro nuovo sovrintendente è un uomo dalle mille risorse" rispose lei con un sorriso, ma poi sospirò ancora e disse: "Pensavo che saremmo tornati in camera dopo mezzanotte, ebbri di musica e di vino. Avevo in mente di sedurti." Prima che avessi modo di ribattere, aggiunse: "Mi rendo conto che, durante questa gravidanza, non sono più appassionata come potevo esserlo un tempo. A volte mi sento un guscio di donna. Pensavo che stanotte potessimo recuperare, almeno in parte... ma adesso mi gira la testa. Solas, temo che stanotte in quel letto non potrò fare altro che dormire accanto a te." Si scostò dal mio braccio e mosse qualche passo incerto verso il letto, dove si lasciò cadere seduta. Le sue dita armeggiarono con i lacci dell'abito. "Ti aiuto io" le dissi sollecito. Lei inarcò un sopracciglio. "Senza secondi fini. - la rassicurai - Elanor, tu che dormi al mio fianco ogni notte è la realizzazione dei miei sogni. Avremo tempo per il resto quando non sarai così esausta." Le sciolsi i lacci che la stringevano e lei sospirò quando la liberai dal vestito. I bottoni della blusa erano piccolissime sfere di madreperla. Lei allontanò le mie dita goffe e se li slacciò da sola, poi si alzò. Com'era lontana dalla sua consueta compostezza quando lasciò cadere la sottogonna sul resto degli indumenti smessi. Nel frattempo, avevo trovato una camicia da notte leggera e gliela porsi. Lei se la infilò dalla testa, ma la stoffa si impigliò nella ghirlanda di edere che aveva fra i capelli. Gliela tolsi con delicatezza e le sorrisi, contemplando la dama era diventata. Mi tornò in mente il ricevimento di Celene ad Halamshiral avvenuto tanti anni prima, ed ero sicuro che anche lei lo ricordasse, ma non appena tornò a sedersi sul bordo del letto, notai che si massaggiava la fronte aggrottata. "Solas. Mi dispiace tanto. Ho rovinato tutti i miei piani." "Sciocchezze. Andiamo. Ti aiuto a metterti a letto." Lei mi afferrò una spalla per alzarsi e barcollò, mentre sollevavo un lembo delle coperte. "Infilati sotto" le dissi, però lei non replicò con una battuta salace, limitandosi a sospirare forte. A fatica sollevò una gamba, poi l'altra e si appoggiò sui cuscini con gli occhi chiusi. "Gira tutto. E non è il vino." Mi sedetti anch'io e le presi la mano. Lei corrugò la fronte. "Fermo. Il più piccolo movimento fa girare ancora di più la stanza." "Passerà", le dissi, nella speranza che fosse vero, e rimasi immobile a guardarla. Le candele ardevano quiete, sprigionando le fragranze di cui la candelaia le aveva impregnate l'estate prima. Il fuoco nel caminetto scoppiettava, le fiamme che consumavano i ciocchi di legno disposti con cura. Lentamente le rughe di sofferenza sul suo volto si spianarono. Il respiro si fece regolare. La pazienza e la capacità di muovermi furtivamente mi vennero in aiuto. Mi alzai con studiata lentezza e quando alla fine fui in piedi accanto al letto, ero certo che Elanor non avesse avvertito alcun movimento perché continuò a dormire. Mi aggirai per la stanza come un fantasma; spensi tutte le candele, tranne un paio, e attizzai il fuoco. Non avevo sonno, non mi sentivo nemmeno stanco. Non avevo alcuna intenzione di tornare alla festa e spiegare perché ero lì senza mia moglie. Mi soffermai ancora qualche istante a riscaldarmi la schiena al calore del fuoco. Elanor era una sagoma indistinta dietro le tende tirate. Le fiamme crepitavano e le mie orecchie riuscivano quasi a distinguere il soffice picchiettio della neve contro le finestre dal frastuono del banchetto dabbasso. Lentamente mi spogliai degli abiti della festa e tornai al familiare conforto delle braghe e della tunica corta. In silenzio uscii dalla stanza, chiudendomi la porta alle spalle attento a non fare rumore.

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