Cap - 17 - Assassini

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"Un predatore, è questo ciò che sei Fen'Harel, e nulla che tu possa fare cambierà la tua natura, mio vecchio amico. Ma essere un assassino è una scelta che fai, è questo è il vero dilemma del libero arbitrio; non puoi cambiare la tua natura, ma puoi decidere come comportarti. Perché quando si tratta di morire, la natura è molto più crudele per i predatori di quanto i predatori siano con loro stessa preda."

· Mythal a Fen'Harel

Mentre trasportavo il cadavere giù per le scale, il mio tesorino trottava davanti a me con una candela in mano per illuminarmi la strada. Per un terribile istante fui lieto che Elanor fosse morta e non potesse sapere che cosa stavo pretendendo da nostra figlia. Se non altro avevo creato un diversivo abbastanza lungo perché Haleira non mi vedesse uccidere la messaggera. Ed ora addirittura stavo costringendo la mia bambina ad aiutarmi, intimandole il silenzio. Con quale diritto avevo impedito ad Abelas e a Cirilla di reclamarla come un'erede del Sangue Antico? Di sicuro non l'avrebbero esposta a un'esperienza del genere. Ero stato così fiero di aver passato tanti anni senza più uccidere nessuno. Ottimo lavoro, Solas. Non permettere che carichino su quelle fragili spalle il fardello di essere figlia di un'antica stirpe di re elfici, meglio fare di lei un'assassina!

In una tenuta vasta come Corvo Bianco, da qualche parte c'è sempre una catasta di sterpaglie e di rami in attesa di essere bruciata. Tutto viene accumulato in qualche angolo sperduto che, nel nostro caso, si trovava ai margini di un pascolo, nei pressi dei recinti per gli agnelli. Trasportavo la messaggera avvolta nel materasso di piume, aprendo la strada fra l'erba alta coperta di neve nella gelida notte invernale, con Haleira che arrancava dietro di me, non fu una camminata piacevole nel buio e nell'umido. Arrivammo alla catasta di rami spinosi e contorti, cespugli di rovi potati, rametti caduti dagli alberi che orlavano il pascolo, troppo sottili da tagliare e utilizzare come legna da ardere. Insomma, c'era materiale in abbondanza per svolgere il mio ingrato compito. Posai sulla catasta il cadavere infagottato, che mi affrettai a ricoprire di rami per rendere il mucchio più stabile. Haleira mi osservava. Pensai che forse avrei dovuto rimandarla a casa, dirle di andare a dormire in camera mia, ma sapevo che non lo avrebbe fatto e che, tutto sommato, assistere a quello che stavo per fare sarebbe stato meno spaventoso che immaginarlo. Insieme andammo a prendere olio e carbone. Lei mi guardò versare l'olio sui rami e sul cadavere avvoltolato poi appiccai il fuoco con un lento movimento del mio polso. I rametti dei sempreverdi e i rovi erano resinosi; presero fuoco all'istante e le fiamme asciugarono i rami più grossi. Lì per lì ebbi il timore che la legna si sarebbe consumata prima di bruciare il corpo, ma il materasso di piume impregnato d'olio s'incendiò e divampò con un odore acre. Presi altri rami da aggiungere alla pira e Haleira mi aiutò. Era una creaturina pallida che il gelo della notte buia aveva reso ancora più bianca; le fiamme rosse che le danzavano sul viso la facevano somigliare a uno spiritello della morte di una vecchia fiaba elfica. La catasta bruciava bene, le fiamme che si levavano più alte della mia testa e il forte bagliore rischiarò la notte. Ben presto mi ritrovai con la faccia bollente e la schiena ancora gelata. Sfidai il calore per spingere sul rogo le estremità dei rami ancora intatti; il fuoco crepitò e sibilò quando lanciai un ramo incrostato di ghiaccio. Le fiamme divorarono il nostro segreto. Haleira era di fianco a me, ma non mi toccava. Insieme guardammo quel cadavere bruciare e per tutto il tempo rimanemmo in assoluto silenzio. Quindi Haleira mi domandò: "Cosa racconteremo agli altri?" Riflettei per un istante. "Ad Ari non diremo niente. Lei crede che la ragazza se ne sia andata. Lo stesso faremo con Narwain. Ai domestici spiegherò che ti sei lamentata di un forte prurito e che ho scovato delle cimici nel tuo letto e così ho deciso di bruciare immediatamente il materasso." Con un breve sospiro confessai: "Per quanto ingiusto nei loro confronti, dovrò fingere di essere molto arrabbiato. Esigerò che ogni tuo capo di abbigliamento venga lavato con cura, e di procurarti un nuovo materasso e nuova biancheria." Lei annuì, poi spostò lo sguardo sulla pira. Io raccolsi un altro mucchio di sterpi e li gettai sul fuoco. I rami mezzo bruciati cedettero sotto il peso di quelli nuovi, e crollarono su quelli già ridotti in brace. Il materasso di piume svanì in una nuvola di cenere. Quelle cose scure erano ossa o rami bruciati? Perfino io non riuscivo a distinguerli. Un vago odore di carne arrostita mi fece venire la nausea. "Sei molto bravo. Hai pensato a tutto." Un complimento che non avrei mai voluto ricevere dalla mia bambina. "Un tempo ero... una persona scomoda. Un gemello. Dovevo rendermi utile o sarei morto. Per questo ho imparato a pensare a tante cose contemporaneamente." "E anche a mentire molto bene. E a non permettere che la gente capisca cosa pensi." "Sì, anche questo. E non ne vado fiero, Haleira. Ma il segreto che ci è stato rivelato stanotte non mi appartiene. Appartiene al mio vecchio amico. Hai sentito cos'ha detto la messaggera. Lui ha un figlio, e quel figlio è in pericolo." Chissà se mia figlia avvertiva nel tono della mia voce lo stupore per quella notizia. Avallac'h aveva un figlio. Un figlio che non era di Cirilla. Dal canto mio non ero mai stato sicuro al cento per cento della sua mascolinità, ma quando nasce un bambino, viene per forza dall'utero di una donna, elfa od umana che sia, e questo significava che quel figlio aveva una madre da qualche parte. Una madre che, presumibilmente, Avallac'h aveva amato, probabilmente più di quanto abbia mai amato Ciri o Lara. Pensavo di conoscerlo meglio di chiunque altro, eppure questo non me lo sarei mai immaginato.

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