<Extra> - Natale - Tempo fa.

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Respiro da sotto le coperte e ne stringo il bordo con le dita, il piumone è soffice e mi dona una sensazione piacevole, il calore resta impresso e faccio di tutto pur di tenere chiuso ogni spiraglio.
Sorrido tra me e me, incapace di restare fermo e attendere le ore successive.
L'orologio di legno alla parete ticchetta, scandisce i minuti e io prego di vedere le lancette saltare avanti, girare e posizionarsi sull'orario sperato.

Sbuffo piano e spingo la testa contro il cuscino, le palpebre spalancate e fisse sul soffitto.
Il sonno mi ha abbandonato da tanto, e ho la sensazione di essermi rigirato e rigirato in un vortice infinito.
Do un'occhiata alla sveglia, i numeri rossi rimandano indietro una terribile sconfitta: le sei e mezzo.

Perché niente va come voglio?

Aggrotto la fronte e, alla fine, prendo la sofferente decisione di scendere dal letto, infilare i piedi nelle ciabatte ricoperte di feltro, e tuffarmi nel corridoio con il raggiungimento di una sola porta di distanza.
Fa freddo, il caldo mi ha abbandonato troppo in fretta e percepisco i brividi nel corpo. Busso piano con le nocche sul legno, ascolto il suono del silenzio, poi tento ancora.

Forza, lo so che sei sveglio.

Dischiudo l'uscio e il profumo di pino mi investe, quasi starnutisco e sono costretto a grattarmi il naso con le dita.
Perché ne usa sempre così tanto? Insomma, abbiamo capito tutti che questa è la sua fragranza preferita, ma l'intera casa non deve diventare una foresta a causa sua.

«Jas?» dico piano, un sussurro così basso da essere udito solo a breve distanza.

L'ammasso sotto le coperte si muove, agita un braccio fuori e ascolto il borbottio sconnesso.
«Damien, torna a letto.»

Faccio una smorfia, le gambe nude tremano un pelo e mi maledico per il fatto di dormire in mutande anche l'inverno.

«Jas, dai, concedimi un po' di spazio» lo incalzo portandomi vicino, lo scuoto una, due, tre volte e lui lancia uno sbuffo esasperato.

«Cosa diavolo vuoi, si può sapere? Mamma e papà verranno a svegliarci tra qualche ora, e io vorrei dormire fino a quel momento» ringhia mentre scaccia via la mia mano.

«Dai, ti prego, non riesco a rimanere a letto e sto congelando» piagnucolo nella vana speranza di fare breccia dentro al suo cuore di pietra.

Jason e io siamo cane e gatto, e di solito ci sopportiamo il tempo di un respiro, però, la mattina di Natale, la nostra unione cambia totalmente.
Diventiamo complici sotto lo stesso stendardo.

«Ti prego» insisto e allungo l'ultima vocale in modo teatrale, fastidiosa anche per me.

Colto dall'esasperazione, solleva il piumone e si fa più in là per ospitare il corpo esile del suo fratellino minore.
Mi accosto a lui e lo sento lamentarsi della mia pelle ghiacciata, eppure mi permette di infilare una gamba tra le sue roventi e di abbracciarlo e posare la testa sul suo petto.
È sempre scorbutico, odioso al limite del possibile, ma adesso di trasforma nel mio fratellone, e sono quasi felice di averlo nella mia famiglia.

Quasi.

«Secondo te, quanti pacchi troveremo sul pavimento?» chiedo in un mormorio emozionato, ascolto il suono del suo cuore nascosto dentro al torace. Batte piano e ben calibrato, non come il mio, che va a mille.

«Non lo so, Damien. Perché mi fai questa domanda? Ogni anno la stessa storia» risponde, tuttavia riesco a percepire il divertimento nel suo discorso, forse ci sarà anche un sorriso sul viso.

«Io dico dieci» commento e lui ride.

«Sì, e lo scorso Natale erano nove. Vai con il numero dei tuoi anni» dice, e stavolta ridiamo assieme.

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