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Mi sudano le mani e ho la gola secca, la saliva totalmente azzerata.
Manca meno di un'ora all'arrivo degli altri e per l'ennesima volta le domande mi travolgono come un'onda in piena.
Sarò in grado di presenziare all'intera cena senza che il bisogno di scappare mi martelli la mente? E a seguire: riuscirò a conversare, o rimarrò chiuso dietro la mia barriera?

Stringo le palpebre mentre sono fermo di fronte alla tavola quasi del tutto apparecchiata, il bicchiere tra le mie mani tenuto a mezz'aria, il vetro freddo non batte di certo il gelo sulla mia pelle.
Una leggera musica di sottofondo si sprigiona dallo stereo, il suono di pianoforte.
Lo adoro, però non basterà a calmare il battere frenetico del mio cuore.

Sto piano piano cadendo nel panico, e il buio oltre la finestra del balcone mi attira sempre di più. Potrei calarmi giù per la grondaia, tentare una mossa da manuale e, magari, rialzarmi indenne dopo una scena così coraggiosa.
Già mi immagino correre sotto le stelle diretto verso una meta ignota. Andrebbe bene ovunque, ma non qui.

«Certo che tuo fratello ha fatto le cose in grande stile. E pensare che lo avevi dipinto come un incapace, in cucina.» La voce di Daniel proviene dalle mie spalle, spezza la magia della mia fuga immaginaria e mi riporta con i piedi per terra.
Riapro gli occhi e poso sulla tavola il bicchiere tenendolo ben allineato con i rombi della tovaglia.
Deglutisco e catturo un sorso di fiato. Non posso mostrare il mio turbamento, devo comportarmi in modo normale.

Ma cosa vuol dire normale?

Indossare la maschera era facile, una routine giornaliera a cui ci avevo fatto l'abitudine. Ormai mi sento quasi impacciato a posarla sul mio volto.
Sembra una maglia che, crescendo di età, non entra più neppure tirandola a morte. La sento sconnessa, mi graffia la pelle e mi costringe a toglierla per mostrare la parte più volubile di me.
Con la coda dell'occhio vedo Daniel farsi vicino. Si starà chiedendo per quale ragione me ne resto di fronte alla tavola senza rispondere, bloccato e immobile come una statua.

Riprendi le tue facoltà, Damien, torna in te.

«Hai ragione, non capita spesso di avere ospiti a casa» ribatto in ritardo e mi giro con un sorriso, le guance mi fanno male.
Non ero pronto a un contatto, non ancora.

Daniel mi scruta per una manciata di secondi, poi si fa serio.
«Parliamo di cose davvero importanti» dice e il mio cuore accelera la corsa.
Che stia per dire qualcosa in merito alla mia faccia, per poi domandare se va tutto bene?
Ti prego non farlo. Potrei crollare, tale è il tremore nelle mie gambe.

«La ragazza di tuo fratello non aveva un'amica da portare?» domanda sciogliendosi in un sorriso sfrontato, uno dei suoi soliti.
Abbasso le spalle e torno a respirare. Pericolo scampato, avanti un nuovo giro di balli sui carboni ardenti, pronto a cadere al minimo errore.
Mi cinge il collo con un braccio. «Pensaci: tu con Amelia, tuo fratello con la fidanzata...» Elenca le parole accompagnandosi con le dita.

Io con Amelia. Suona quasi bene.

Il solo pensarlo mi fa arrossire e spero che la luce soffusa abbia in qualche modo nascosto l'imbarazzo scaturito da quell'idea.
Daniel prosegue imperterrito con il suo monologo degno del miglior teatro. «Io e quel tipo faremo da terzo incomodo per le coppiette felici» mormora lanciandomi un'occhiata maliziosa e, se possibile, arrossisco ancora di più.

«Ma cosa dici, idiota. È una semplice cena tra amici. Niente di esagerato» mormoro. Maledetto me, credo di aver tremolato sul finale della mia vana la mia protesta.
Daniel ride menandomi un paio di pacche sulla schiena.

«Se lo dici tu» commenta e ammicca. Sbuffo di rimando e me lo scrollo di dosso diretto in cucina,laddove Jason sta cucinando.
Lo ammetto, l'odore di cibo è squisito e i colori e gli accostamenti sembrano perfetti, tanto da stupirmi sul serio, proprio come accaduto a Daniel. Ci sono così tanti lati sconosciuti tra me e mio fratello, zone in ombra da illuminare.

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