<80> Daniel.

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Compio un altro giro su me stesso e fisso il mio riflesso nello specchio attaccato a una delle ante dell'armadio e, sebbene mi renda stranamente allungato e fino, è quanto di meglio possa aspirare.
Storco la bocca, arriccio il naso, piego il capo a destra e a sinistra e scuoto le spalle, per nulla convinto da ciò che vedo.

«Secondo te questo colore mi dona?» domando a Roberta sdraiata sul letto alle mie spalle e, dal vetro, la scopro alzare gli occhi al cielo, decisamente esasperata.

«Fratellone, è la quarta volta che mi fai vedere diversi accostamenti. Perché non indossi i tuoi soliti abiti?» risponde scocciata, tornando subito a leggere la sua rivista.
Le lancio la mia felpa contro e la prendo in pieno, sentendola così borbottare sommessa.
Cavolo, ha ragione.
Come mai sto provando ogni scelta disponibile come se stessi andando a una sfilata d'alta classe?
Non mi sono mai posto problemi del genere; mi è sempre bastato infilare la prima maglia disponibile, così come il mio immancabile paio di jeans scolorito a mo' di seconda pelle.
Sospiro sconfitto e immergo i miei occhi in quel pozzo verde simile al mio.

Daniel, cosa ti prende?

Non c'è nulla di sbagliato nel mio solito aspetto, niente che debba cancellare e ridisegnare.
Sono questo, inutile agghindarsi.
Se continuo di questo passo arriverò persino ad acconciarmi i capelli in modo ridicolo, magari a tingerli di un colore assurdo o, peggio, fare shopping per comprare un completo all'ultima moda.
Rifletto bene sul mio ultimo pensiero e sbuffo fuori una risata ironica.
Mio padre non mi dà soldi praticamente per fare nulla, figuriamoci se andassi da lui a esprimere una richiesta del genere.
—Puoi accontentarti di quelli nel tuo armadio. Basta che ti coprano il corpo, no? Non ti serve altro—, o almeno questa sarebbe la sua risposta più plausibile.

«Sei qui per aiutarmi, coniglietta. Dai, smetti di leggere!» dico insofferente mentre le strappo la rivista dalle dita, e me ne frego altamente delle sue lamentele.
Quante volte le sono stato appresso: notti insonni ad ascoltarla parlare di qualche tipo di cui si era misteriosamente infatuata; dei ragazzi famosi nelle copertine; dei desideri più assurdi come il voler partire per una gita di sopravvivenza sulle montagne e cavarsela soltanto con un coltello e una borraccia per l'acqua, una stupidaggine letta chissà dove.
Adesso è arrivato il momento di ricambiare il favore!

«Se vuoi ti presto una delle mie gonne, sai che sorpresa per tutti?» ribatte con una risata e io la imito spontaneo.

«Dammi un consiglio, l'ultimo, te lo prometto» esclamo correndo veloce in bagno prima di darle il tempo di reagire.
Indosso un paio di jeans attillati neri, una maglia bianca con la manica che arriva fino a metà avambraccio e, arrotolando i capelli in uno chignon rudimentale, lo fermo con un laccio stretto, qualche ciocca mi pende sul collo.
Sfioro il bracciale di metallo tenuto con cura sul lavandino e sorrido, mentre lo infilo al polso, poi porto attorno al collo una collana nera con un simbolo tribale argentato: un vecchio dono di Rick.
Lui e la sua passione per queste cose. Ha finito con il trasmetterla anche a me, e adesso ne sono un grande estimatore.
Insceno una musica inventata ed esco con una mossa plateale, mimo uno di quei ragazzi che si vedono in passerella e metto su un'espressione vanitosa, le risate di Roberta come sottofondo.

«Secondo me sei perfetto così. Non troppo elegante e neppure troppo sportivo. Il mio bellissimo fratellone» commenta venendomi ad abbracciare e io rispondo passandole le dita tra i capelli lisci.

«Dovrei sistemare meglio l'acconciatura?» chiedo in un sussurro sfiorando le ciocche a penzoloni decisamente troppo lunghe, e osservo mia sorella staccarsi dal mio busto e socchiudere le palpebre pericolosamente.

«Basta, usciamo di qui. Non voglio più ascoltarti»sbotta spingendomi verso la porta. Mi mette tra le mani il portafoglio e il cellulare e trascina con sé il suo zainetto colmo di compiti e libri.
Non posso aggiungere altro, perché la sua faccia dice chiaramente: non metterai mai più piede nella stanza, costi quel che costi.
Schiocco la lingua sul palato, riproduco con le labbra un "va bene" e scendo le scale controvoglia, aprendo lento e silenzioso la scarpiera rettangolare a ridosso della porta d'uscita.
Mio padre sta dormendo e non mi sognerei mai di svegliarlo, sebbene lo senta ronfare dal salotto, a volte uno sbuffo più forte spezza la patetica melodia.

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