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I festeggiamenti per il ritorno di Edo durarono press'a poco cinque giorni, dove entravano ed uscivano, dalla nostra piccolissima casa per tre persone, un fiume di gente ogni sera, tranquillamente.
Io e Lauro non ci eravamo più parlati: era troppo impegnato a dirigere nuovi traffici, che si estendevano fino all'estremità del sud di Italia, a ficcare la lingua in bocca a tipe formose e sconosciute. Io stavo in un angolo della casa, quasi sempre in compagnia della vodka e di una sigaretta, e il piccolo Luca stretto a me, a mo' di angelo custode. Non ci trovavo niente da festeggiare: mio cugino era stato salvato, sì, ma spacciava, e vendeva armi. Non c'era giustificazione, non c'era "se" o "ma" che fosse valido.
La musica era alta già da un paio d'ore quando provai a sollevarmi su per cercare Luca, sparito chissà dove. Il mondo intorno a me sembrò volteggiare bruscamente, come una trottola impazzita, mentre poggiavo una mano sul muro.
<Piccola> disse un ragazzo mentre rideva, poggiandosi anche lui alla parete immacolata. Lauro. Lauro che aveva una canna tra le dita e gli occhi socchiusi, Lauro che aveva segni di rossetto sulle labbra e puzza di alcol. Lauro. <Sei uno stronzo> mormoro mentre rido, appoggiandomi alla sua spalla. <Sì, hai proprio ragione. Sono un figlio di puttana> concorda, ridendo sguaiatamente e portando la testa all'indietro. <Sei bellissimo>mi scivola dalle labbra, mentre gli afferro il colletto della maglietta attirandolo a me. Siamo ad un palmo di naso, potrei sporgermi leggermente e sfiorare le sue labbra, labbra sporche di rossetto non mio, ma opere d'arte comunque, opere sciupate ma che conservano la loro unicità, pur essendo state rovinate. <Baciami ti prego> sussurra, poggiando le sue mani sui miei fianchi e attirandomi a se. Sento il suo profumo, l'odore dell'alito dell'alcol e di erba, mentre gli accarezzo il collo e le guance, giocherello con le treccine blu. Ride barcollando, ma tenendomi ancora stretta a se. <Per favore fai qualcosa> ripete ancora, quasi supplicante. Gli sfioro le labbra con le mie, posando una mano dietro la sua nuca, ma poi mi ritraggo improvvisamente. <No, no ti prego non allontanarti, vieni qui> farfuglia, non appena vede che mi sto dirigendo verso la mia stanza. Mi giro e gli sorrido, facendogli un cenno con la mano. <Ti prego cazzo> urla, in mezzo al corridoio, costringendomi a fermarmi. <Che vuoi? Non sei mai chiaro con me: il momento prima è "ti voglio", quello dopo "chi ti si fila". Ho bisogno di una persona che mi rimanga sempre accanto, te l'ho già detto> sbuffo, mentre mi sorreggo alla porta. Lui si ammutolisce e cammina mentre oscilla da una parte all'altra verso di me. Quando ormai mi raggiunge, apre la porta della mia stanza, mi fa entrare, entra anche lui e la chiude a chiave. <Che fai?> gracchio, sentendomi a disagio, mentre si toglie gli scarponcini e si corica nel mio letto. <Lauro cazzo basta, parlami> urlo esasperata. Il ragazzo mi guarda e mi fa cenno di raggiungerlo, poi mi attira tra le sue braccia, coccolandomi. <Chiarisciti per favore> dico mentre sbadiglio, ormai succube delle braccia di Morfeo. Per tutta risposta, mette due dita sotto il mio mento, mi fa sollevare il viso e, dopo avermi guardata negli occhi con un sorriso sornione, molto probabilmente anche influenzato dalla quantità di alcol ed erba che ha assunto stasera, mi bacia, prima piano, sfiorandomi delicatamente un fianco, poi con più passione. <Ti basta come domanda?> sussurra, seguito poi da un altro a stampo. <E come risposta?>

Leggenda al quartiere/Achille LauroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora