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Una settimana dopo, la casa si riempì di persone: c'erano ragazzi della mia età, poco più grandi di me, bambini, donne e uomini, tutto il quartiere: erano giunti a salutare Lauro, che tornava dall'ospedale dopo la sparatoria. Lo accolsero come un eroe greco dopo una battaglia, o come Augusto dopo aver sconfitto Antonio e Cleopatra, o come Cesare dopo che aveva sconfitto i pompeiani, quando in realtà si era solo preso una pallottola durante una sparatoria di malaffari. Era diventato una leggenda: quando entrammo infatti si aprì un varco tra tutte quelle persone e noi ci chiudemmo in casa, dopo aver ringraziato. Alcuni dei ragazzi rimasero, facendo festa fino a tardi. Elena voleva rimanere con alcuni di loro che stavano giocando con lei, ma la portai a dormire con sbuffi vari. Durante la festa, arrivarono anche ragazze, belle, alte, bionde che subito si sedettero accanto a Lauro. Lui sorrise ad ognuno di loro, baciò ognuna di loro e dopo un po' si accorse di me, che lo guardavo distante, vicina ad Edo che controllava la situazione. Non ebbi il coraggio di dire nulla perché non stavamo insieme, di nuovo. Eppure mi aveva detto che mi amava, mi aveva baciata, trattata bene, mi aveva raccontato il suo passato, le violenze e gli abusi, la droga e l'alcol. Ci eravamo stretti tutte le notti, tenuti la mano, divisi il pranzo, divisi i film, le canzoni. Eppure.
Gli diedi un'ultima occhiata, afferrai il cappotto e sparii nel gelo della notte.

Leggenda al quartiere/Achille LauroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora