Il freddo del sedile mi infastidisce. Mi guardo intorno. È un normale sabato mattina, ma son solo le 7.30 e sembra molto più tardi, data la quantità di persone presente sul bus. Sto scorrendo le mie playlist su spotify da 5 minuti, mentre una ragazza mastica rumorosamente la chewing-gum, anche lei guardando con interesse il suo smartphone. Il pullman parte, così come parte una canzone pescata a caso in una playlist. È passata una settimana da quando Lauro e Edo sono in carcere, gli altri sono al minorile, dato che la maggior parte dei reati compiuti risalgono a quando ancora erano minorenni, alcuni lo sono ancora. Mi scende la tristezza, ma non c'è un senso di giustificazione, solo tristezza: ragazzi come me ma cresciuti con famiglie diverse, in spazi diversi, spesso troppo stretti per i loro sogni e le loro esigenze. Aria non si è ancora svegliata, ma so già che quando uscirò dal carcere mi starà aspettando nel nostro bar preferito in centro, caldo ed accogliente, con i nostri frappé pronti. Il pullman supera erba, tratti di strada scassati, fermate deserte, poi l'imponente mole grigia del carcere si estende davanti ai miei occhi, come ogni giorno, ma con una luce diversa, dato che è ancora presto e di solito vado alle sei, quando il sole è quasi tramontato ed iniziano a delinearsi delle ombre funeste. A quell'ora mi accompagna mamma, qualche volta il suo nuovo compagno, un tipo poco poco più affidabile del primo ma un grandissimo stronzo e nullafacente. Almeno non picchia lei e mia sorella. Ripenso all'appartamento vuoto di mio cugino e sento la gola che si stringe: vivo lì da sola, faccio la spola tra la stanza di mio cugino e quella di Lauro, senza pace, svegliandomi di soprassalto come se qualcuno mi stesse scrutando alla porta. <Dovresti tornare a casa>mormora sempre mia madre, quando porta Elena affinché gliela guardi. Io scuoto sempre la testa: voglio credere ancora alla mia favola dove è tutto un incubo, dove Edo tornerà in moto da chissà dove e Lauro comparirà dalla sua camera e mi bacerà la guancia prima che io vada a scuola. Ma non succede: la casa rimane vuota, fredda, silenziosa ed inquietante. Sento le loro voci, gli avvertimenti dei miei amici che mi dicono che è pericoloso, ma io mi sento a casa più lì che nell'appartamentino stretto di mia madre. Non sono cresciuta lì, e mai avrei voluto. È precipitato tutto all'improvviso, talmente tanto velocemente che non mi ricordo neanche come son finita quella notte a bussare da Edo, che non vedevo da secoli.
Il pullman fa capolinea, scendo con passo svelto. Sono le 8.15, il sole ancora freddo mi sbatte sul viso, ma mi dà una sensazione di quasi sollievo, segno che sono ancora viva. Cammino per 10 minuti, poi arrivo davanti al cancellone. <Buongiorno signorina, documenti>annuncia cordiale una guardia, tendendomi il braccio. Rovisto nel mio zaino incasinatissimo, pescando il portafoglio sgualcito. Porgo la carta di identità, mentre un collega mi porta in una stanza dove lasciare i miei effetti personali. Dopo, mi accompagna nella solita sala riempita dai tavoli rotondi, dove, già dalla vetrata, scorgo Edoardo e Lauro: sembrano stanchi, confusi, arrabbiati, ma quasi tranquilli, come una certa rassegnazione esistenziale, come chi sta per trovare la salvezza dopo giorno di naufragio ma sta fermo e sente che sta per essere inghiottito dalle onde e non sente nulla, rigido come se fosse già morto. Appena entro e mi vedono, si alzano insieme, sorridendo a stento. Mi salgono le lacrime come ogni volta, il peso nel cuore si posa sempre, inizio a tremare e mi avvicino a loro. Mi accolgono tra le loro braccia e qualche lacrima mi scivola, sebbene prometta sempre di trattenermi. Lauro mi trattiene più tempo, poi mi posa un bacio in fronte. Fisso le sue labbra con desiderio, ma non sensuale, sessuale, passionale: mi basterebbe che mi sfiorasse. Ma poi sento lo sguardo pungente delle guardie nella nuca. Lo guardo ferita, gli accarezzo una mano pasticciata e mi siedo davanti a loro. <Come stai?> chiede mio cugino. Lo guardo negli occhi, per capire come stia lui, ma è tutto chiuso, spento. <Bene dai, appesantita dalla scuola, ho un po' trascurato la palestra ma ci vado comunque, triste> mormoro gesticolando. Mi guardano dispiaciuti. <Voi? Novità?>chiedo. Si guardano complici. <L'avvocato non ha trovato prove. Potrebbero farci uscire per insufficienza di prove, ma è difficile: stanno cercando di farsi procurare un mandato per perquisire casa nostra. Tu stai ancora da noi?> chiede. Annuisco. <Ragazzi non intromettetemi per favore> supplico. Loro scuotono la testa. <Non ci dovrebbe essere nulla tranquilla, ma sicuro qualcosa lo troveranno> sputò acido Lauro, allungando le gambe sotto il tavolo e sfiorandomi una gamba. Avvicino la mia alla sua, sperando che escano presto, anche se non dovrei sperare perché sono dei criminali e chissà quanta gente con la loro droga e le loro armi avranno ucciso, quante volte son stati complici silenziosi ed invisibili a crimini crudeli, quante vite avranno spezzato. Sospiro ancora. Attaccano a parlare di cosa faranno quando usciranno, ma sto vagando nella mia mente con temi giganti, mattoni enormi: giustizia o affetto?
<Cas ci sei?> mi chiede mio cugino, sventolando una mano davanti al mio viso. Annuisco ancora. <Il tempo delle visite è scaduto!> esclama la guardia che mi ha accolto stamattina. <Ragazzi, non fate cazzate o casini e non mettetemi per favore in mezzo. Vi voglio bene, spero che andrà tutto bene> mormoro alzandomi. Loro fanno lo stesso, riavvolgendomi tra i loro petti. Lauro mi trattiene ancora come prima, mi stringe forte, mi lascia mille baci sui capelli, sospira tremante, mi sfiora il viso gli occhi il naso le labbra le guance i miei capelli super lisci e super puliti il mio collo che ha scoperto il mio braccio e il mio fianco. <Signorino mantieni le distanze> lo ammonisce una guardia. Lauro si guarda intorno: affianco a noi, una coppia della nostra età circa si sta baciando con trasporto. Il poliziotto ammutolisce e si allontana. <Muovetevi> sentenzia, guardandoci torvo. Lauro mi sfiora le labbra, un contatto appena impercettibile ma che mi fa sorridere come non mai. Ci salutiamo di nuovo e vado via.
A: Aria
Sto arrivando.
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Leggenda al quartiere/Achille Lauro
FanficHo bisogno di te che mi dica "non lo fare, ti prego".