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La domenica è il giorno migliore della settimana... fino alle 4 del pomeriggio, poi diventa un limbo di depressione tra la sera e il lunedì mattina: inizi ad avere le allucinazioni su sveglie che suonano, sul freddo che ti investe appena sgusci fuori dalla coperta, sull'ansia che ti prende quando la prof sceglie chi chiamare con grandissima lentezza, sugli impegni da rispettare. E questi pensieri mi tormentavano mentre tornavamo da casa di mia madre, dopo aver riaccompagnato mia sorella. Lauro sfrecciava tra le vie di Roma, mentre facevo mente locale di tutte le cose che mi attendevano con quell'inizio di settimana: mi attendevano verifiche, corsi extra scolastici e chi ne ha più ne metta. Sospirai, immaginando l'estate, le serate fuori casa con gli amici, le risate e il mare, le notti passate a leggere o fare maratone di serie tv.
<L'effetto della domenica sera piccoletta?>chiese treccine blu, mentre mi toglievo il casco e glielo porgevo in modo che lo conservasse. Annuii silenziosa, incamminandomi verso l'ingresso del palazzo con passo trascinato, seguita a passo svelto da Lauro, che appena mi raggiunse mi prese per mano, lasciandomi interdetta. Si comportava così dal mio ritorno dal viaggio a Berlino, era come se si fosse accorto della mia presenza troppo tardi e cercasse di coprire i lassi di tempo che si era perso. Sorrisi, però, a quel contatto, facendo le scale due a due in modo da arrivare prima all'appartamento: stavo morendo di fame e volevo infilarmi nuovamente dentro al mio caldo pigiama.
Salutai i ragazzi di fretta, avvicinandomi da Edo per salutarlo e stampandogli un bacio sulla guancia.
<Cugina, non cambiarti! Marco ti porta a cena fuori>
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Varcammo la soglia della pizzeria, venendo subito accolti da un forte e buonissimo odore di pizza e il caldo dei condizionatori.
<Buonasera. C'è un tavolo per due?>chiese il mio accompagnatore gentilmente, mentre il cameriere posto all'ingresso guardava la sua agenda e poi spostava il suo sguardo in giro per la sala. Ci indicò un tavolo appartato, vicino ad un'altra coppia di ragazzi che mangiavano e ridevano. Ci sedemmo lì e cominciammo a parlare del più e del meno: mi chiese della scuola, della palestra e della mia famiglia, di cui non rivelai molto: avevo una certa confidenza ma non ero ancora pronta per rivelargli tutta la mia storia: certe ferite, anche se sembravano cicatrizzate, erano mezze aperte e nei momenti meno aspettati, riprendevano a sanguinare copiosamente.
Mi parlò della sua ambizione di volersi trasferire lontano da Roma, di ricominciare da zero, ma di non avere nè soldi nè coraggio. E mentre parlava, mentre rideva, mentre mangiava, lo confrontavo inevitabilmente a Lauro: aveva un modo di fare più elegante dell'amico di mio cugino, più fine, meno scazzato, aveva un modo di ridere pieno, sorrideva scoprendo tutti i denti e straparlava.
Al momento del conto, ci fu la tipica discussione su chi dovesse pagare e io la spuntai con un pareggio, ovvero ognuno avrebbe dovuto pagare il suo.
Il ritorno a casa, si svolse in silenzio: mi teneva stretta a se, ma io non sentivo purtroppo nulla. Davanti al portoncino, mi baciò. Io mi staccai quasi subito, sorridendo imbarazzata e scusandomi.
Al mio ingresso, Lauro mi aspettava...addormentato, sul divano.
Sorrisi teneramente, coprendolo e silenziosamente andando in camera.

Leggenda al quartiere/Achille LauroDove le storie prendono vita. Scoprilo ora