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"Lee Saem, oggi due anni dalla scomparsa dell'idol sud-coreano."

Jimin alzò lo sguardo verso il piccolo televisore appeso alla parete. Era il primo servizio su Saem quel giorno, in America era difficile avere notizie su qualche artista Coreano, soprattutto se era ormai morto.
Il ragazzo riabbassò poi gli occhi per poter riprendere a sciacquare il bicchiere usato poco prima da un cliente appena andato via. Fortunatamente il Koya's, bar dove appunto lavorava, era vuoto in quel momento, essendo chiuso alle dieci passate. Chiunque avesse visto le foto che stavano passando in televisione e Jimin stesso, avrebbe collegato i fatti. La scusa del "non sono io" non era sempre convincente, ma aveva imparato a conviverci e nessuno si era mai fatto troppe domande. Tra l'altro a Manhattan, essendo un grande e movimentato quartiere, le persone andavano e venivano anche in periferia, ma fortunatamente nessuno faceva caso al barista strambo e un po' imbranato qual era Jimin.

Così si raddrizzò gli occhiali che erano scesi troppo verso la punta del naso e sorrise.

Due anni da quando era, come dire, "fuggito" dalla vita spossata e frenetica da Idol. Un po' gli mancava il personaggio che con Saem si era creato, ma era una storia ormai chiusa e non si pentiva di niente. Continuava con le sue passioni, tenendole ora per sé, e gli andava bene così. Aveva assaggiato per un po' quello che la fama può essere e può portare, ma aveva ben capito, dopo quattro anni di duro lavoro, che non faceva per lui.

Solo una cosa, fra tutto quello che aveva lasciato, gli mancava. Anzi sarebbe meglio dire persona, ma a questo ci arriveremo in seguito.

Il campanello suonò, indicando così l'ingresso di qualcuno. Jimin fece subito per cercare il telecomando e spegnere il televisore, ma si calmò quando realizzò che ad avvicinarsi al bancone era Taehyung, il suo migliore amico.

«Sei su tutti i giornali, Minnie~» cantilenò il biondo, mettendo sul bancone in legno il pezzo di carta che aveva fra le mani. Jimin odiava quel soprannome, ma dopo due anni ci aveva ormai fatto l'abitudine.

Così Jimin girò il giornale per poter leggere. Una sua vecchia foto era stampata al lato della pagina e vi era un articolo su Saem che riempiva quasi tutto lo spazio.

«Non sono io Tae.» Rispose il corvino, riconcentrandosi sulle stoviglie che aveva ancora da lavare. «Non più, lo sai bene.»

«Quante storie. Lee Saem è su tutti i giornali» si corresse allora. «wow sembravi un bambino con quei capelli.»

Jimin rise, constatando che sembrasse un bambino anche ora a venticinque anni. In effetti quando ai tempi aveva i capelli rosa, tutti gli davano almeno tre anni in meno; adesso era tornato al nero e sembrava più maturo, ma le sue guance piene e soffici - proprio come quelle di un bambino - lo tradivano lo stesso.

«Eri proprio figo.» Disse nuovamente Taehyung.

«Stai dicendo che ora non lo sono?» Si lamentò Jimin, facendo ridacchiare il biondo che scosse il capo.

Poco dopo i due tornarono seri, Taehyung sfogliò il giornale alla ricerca di qualcosa di interessante e Jimin finì il suo lavoro, potendo finalmente tornare a casa.

Così uscì da dietro il bancone e si indirizzò verso la stanza alle sue spalle, accessibile solo al personale.

Sospirò, levandosi la camicia nera e il papillon rosso che costituivano la sua uniforme lavorativa e infilò il suo maglione pesante a righe nere e bianche e il giaccone nero. Cercò di risistemare i capelli corvini ora spettinati e gli occhiali scesi nuovamente. Una volta pronto posò l'uniforme all'interno dell'armadietto grigio col suo nome scritto sopra e tornò da Taehyung.

šˆšƒšŽš‹ // Źį“į“É“į“ÉŖÉ“Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora