Dicembre 2016
Jimin guardava le nuvole al di fuori del vetro. "Tanto zucchero filato" gli sussurrava la nonna da bambino quando insieme viaggiavano in aereo.
Lo facevano spesso, con i nonni aveva girato molte città in Corea, anche in Giappone, ma il suo viaggio preferito restava quello fatto a dodici anni, in Europa, Roma precisamente. I fuochi d'artificio del capodanno in Italia se li ricordava ancora.Ma l'occasione di quel viaggio in aereo non era per una vacanza con i nonni. In quel momento c'era Jungkook accanto a lui, che gli stringeva la mano per confortarlo. Jimin aveva un paio di occhiaie che gli arrivavano fino alle guance, il viso era parecchio stanco e pallido, sembrava persino aver perso peso in pochi giorni. Jungkook era seriamente preoccupato per la sua salute ma sapeva che non poteva fare nulla per lui se non essergli accanto e amarlo come aveva sempre fatto.
Lee Shinyun era in piedi alle loro spalle, guardava con astio le loro mani intrecciate e assottigliava gli occhi, avrebbe voluto distanziarli all'istante. Odiava quell'affezione, ai suoi occhi esagerata, che aveva da sempre legato i due. Aveva sempre sperato che il loro rapporto non andasse oltre a un sentimento di fratellanza, ma dopo la soffiata che gli era arrivata riguardo a un bacio di Jimin con uno dei truccatori dubitava di tutto. Non si fidava di Jimin, assolutamente. Non voleva che trascinasse il suo prediletto in qualcosa di sbagliato. Jungkook non doveva essere gay, nemmeno Jimin e per questo aveva fatto cacciare il suo dipendente. Non gli fregava dei loro sentimenti, non poteva permettersi scandali, né lui, né l'agenzia. Ai suoi occhi Jimin era come un mostro e avrebbe voluto farlo fuori con qualsiasi scusa, si era stancato del suo comportamento e aveva terribilmente paura che a causa sua anche Jungkook avrebbe iniziato a giocare nell'altra squadra e ciò era inaccettabile. Alla fine lasciò perdere e proseguì dritto verso il suo posto.
Quando arrivarono a Busan, Jimin non si sentì meglio per niente. Jungkook gli camminava affianco non volendolo lasciare per nemmeno un secondo.
Sarebbe stato tutto diverso se a Busan ci fossero andati un paio di mesi prima, quando Jimin lo aveva chiesto per trovare la nonna malata. Adesso l'unica persona che lo accolse fra le sue braccia fu la madre di Jungkook, anche se ai due fu vietato restare a dormire lì, tanto la mattina successiva sarebbero dovuti tornare a Seoul. Erano lì solo di passaggio, purtroppo.
La donna invitò i tre in casa, ma la visita non durò molto, solo il tempo di un caffè, poi si salutarono di nuovo.
La meta successiva era l'hotel in cui sarebbero rimasti per la notte, controvoglia Shinyun aveva dovuto prendere una stanza comune per i due ragazzi. Le stanze erano grandi e sfarzose, ovviamente. Anche lì stettero poco, posarono le loro borse e pranzarono, poi si indirizzario verso la terza meta. Fortunatamente Shinyun non li seguì, accettando la richiesta di Jungkook di lasciare solo lui e Jimin.
Era uno dei posti più frequentati da Jimin durante la sua infanzia e lo conosceva a memoria. Sapeva già dove dirigersi, Jungkook si limitava a seguirlo. Le loro mani non si toccavano più, ma la sola figura di Jungkook calmava Jimin.
D'altro canto il ragazzo si trascinava tra le lapidi, avendo paura di arrivare al punto cercato.
Come ho detto prima, la strada la conosceva a memoria, i suoi familiari erano sulla stessa riga: sua madre, suo padre, suo nonno e adesso, sua nonna.
I due erano passati da un fioraio prima di andare al cimitero, Jimin cambiò i fiori ormai secchi in ogni tomba e li sostituì con quelli nuovi, aveva scelto un fiore diverso per ognuno di loro: sua madre aveva la margherita, perché Jimin si ricordava la pelle bianca che la caratterizzava; suo nonno un tulipano rosso, perché suo colore preferito; suo padre invece aveva una rosa gialla, perché si ricordava di quando una volta ne raccolse una per darla a sua madre, tornò a casa con un dito ferito, ma sorridente; infine sua nonna aveva un giglio, perché aveva iniziato a piantarli quando Jimin aveva scelto di intraprendere la carriera da Idol insieme a Jungkook.
Fu ai piedi della lapide più recente che si sedette, non gli importava se il terriccio gli avrebbe macchiato i jeans scuri. Era strano trovarsi lì dopo tutto quel tempo, non riuscì a piangere. Forse perché era ancora troppo sconvolto per realizzare la cosa.
Nemmeno sua nonna c'era più per consolarlo, di lei solo il ricordo e qualche foto. Cosa avrebbe fatto adesso che anche lei lo aveva lasciato? Cosa avrebbe fatto con la sua vita?
Si sentì arrabbiato, in primis con il destino che gli aveva portato via tutto; poi con Shinyun che non gli aveva permesso di trovare la nonna neanche una volta da quando era stata male; alla fine odiava sé stesso, forse non aveva insistito abbastanza.
Un primo singhiozzo venne fuori, Jimin si sentì meglio, preferiva piangere piuttosto che restare con un'espressione indifferente mentre dentro aveva una tempesta di sofferenza.
Jungkook gli poggiò una mano in spalla, se ne stava dietro di lui accovacciato tenendosi in equilibrio sui talloni e avendo Jimin su cui appoggiarsi. Non gli interessava essere visto debole, era Jungkook infondo.
Jimin si voltò solo un minimo verso il più piccolo: «puoi lasciarmi solo?» domandò.
Jungkook avrebbe voluto ribattere, ma il ragazzo si era subito voltato, riprendendo a guardare la foto della donna dal viso bello ma sciupato per la vecchiaia, quindi non disse nulla. Si alzò e andò a sedersi in una panchina in legno a qualche metro di distanza. Quel posto gli metteva angoscia, Jimin in quello stato gli metteva angoscia. Si sentì responsabile di quella tristezza, non per la nonna ma in generale. Jimin non era felice già da qualche anno, ma tutti preferivano ignorare la cosa.
Jimin nel frattempo se ne stava seduto sulle ginocchia, girando e rigirando fra le dita un un trifoglio strappato da terra, non guardava più dritto di fronte a sé.
«Non so più che fare» sussurrò, fissando la pianta verde fra le sue mani senza guardarla davvero «mi sento un idiota, Halmoni...»
Lasciò da parte il trifoglio e singhiozzò ancora, sentendo la prima lacrima fra le ciglia.
«Ci ho provato. Ti giuro che quando ho saputo che stavi male ho provato a venire!» e pianse, come se stesse davvero parlando con sua nonna e non solo col suo corpo inanimato, si piegò in avanti e pianse ancora.
«I-io non s-so più come continuare questa vita. Come posso farmi forza solo se eri tu colei che me ne dava? Come!» diede un pugno a terra, strappando l'erba e altri trifogli lì intorno.
Jungkook alle sue spalle si era accorto dell'instabilità di Jimin ed era corso nuovamente accanto a lui, gli aveva preso le mani tra le sue per tranquillizzarlo.
«Calma.» disse, ma Jimin si dimenava, cercando di sottrarsi alla presa ferrea di Jungkook. Il suo viso era rosso e bagnato, Jungkook lo carezzò «Respira, Jimin. Con calma.»
Il ragazzo provò nuovamente a tirare via le mani, ancora con scarsi risultati, ma cercò di regolare il respiro affannoso e si arrese.
Quando Jungkook capì di essere riuscito a calmare la sua rabbia, - perché sì, anche lui sapeva che Jimin fosse arrabbiato con sé stesso per non essere stato presente durante la malattia della donna - lasciò le sue mani per abbracciarlo, facendogli poggiare la testa sulla sua spalla, facendolo sfogare senza l'istinto di prendere a pugni qualcosa.
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𝐈𝐃𝐎𝐋 // ʏᴏᴏɴᴍɪɴ
Fanfiction[ℂ𝕆𝕄ℙ𝕃𝔼𝕋𝔸] Park Jimin, conosciuto come Lee Saem, era un famoso Idol coreano che dopo tre anni passati tra concerti ed eventi, aveva capito che quella del cantante non era la vita che faceva per lui. Dopo due anni dalla morte di Saem, Jimin si...