Capitolo 18

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Quel bacio... un momento indimenticabile per me, e penso anche per lei. Non smetto di pensarci, cosa voleva dire quel bacio? Io sono sicuro di amarla, so che è lei la mia anima gemella.
-Ti amo-; Quelle parole mi sono uscite dalla bocca involontariamente, non avrei voluto dirlo, ma è successo.
ci siamo guardati negli occhi, quei suoi occhi, profondi come l'oceano, mi fissavano, pregandomi di non andare, lei guardò in basso, per poi rialzare lo sguardo verso di me: -Anche io... anche io ti amo, Tenshi-
Mentre diceva quelle parole, le nostre mani erano incrociate, riuscivo a sentire il suo cuore battere, e penso che anche lei sentisse il mio.
Restammo fermi per qualche minuto, fino a che lo spettacolo di fulmini non ebbe fine, a quel punto decidemmo di andare in hotel, mano nella mano.
Per tutto il viaggio di ritorno, nessuno dei due disse una parola, avevamo le mani intrecciate tra loro, e a noi bastava quello. Quel momento era magico, ma al contempo imbarazzante, almeno per me, pensavo a come il nostro rapporto si sarebbe modificato, avevo paura di non riuscire a guardarla in faccia di nuovo. Per fortuna, queste mie paure sfumarono una volta arrivati in hotel, ci mettemmo a parlare come ogni giorno, lei riusciva a parlare con una naturalezza che io invidiavo, ero molto teso, ma col passare del tempo, anche per me diventò normale.
Da quel giorno, il rapporto tra me e Takara migliorò sempre di più, e per fortuna, le cose tornarono come prima, senza imbarazzo.
Arrivò il giorno in cui ci saremmo dovuti incontrare con Kaiyō, partimmo per l'aeroporto, dove ci stava aspettando per partire.
-Immagino tu abbia già visto dove siamo diretti- Mi disse dopo esserci seduti sull'aereo, -Si, è lontano da qui- Affermai, -Lo so- Mi rispose con tono di chiusura, così il discorso finì lì.
Mentre eravamo in viaggio, persi la cognizione del tempo, mi misi a pensare a cosa avrei, o meglio, avremmo potuto fare una volta finita questa storia, e mi venne in mente la "malattia" di Takara, lei aveva diciassette anni, e tra poco ne avrebbe compiuti diciotto, di conseguenza le rimaneva appena due anni di vita, ma io non la volevo lasciare, non avrei potuto sopportare un dolore così grande e doloroso. Pensando e ripensando a queste cose, arrivammo a destinazione. Scendemmo dall'aereo, e mentre ci dirigevamo all'uscita dell'aeroporto, Kaiyō si fermò un istante a guardare una cartina, -Dovremmo camminare per circa un'ora, la base è sperduta nel nulla, e le automobili non possono arrivarci, in più, essa è difesa da sentinelle che coprono le vie principali, quindi saremo costretti a passare per il bosco-. Io e Takara annuimmo, e ci dirigemmo tutti verso un'auto che ci stava aspettando fuori dall'aeroporto. Il viaggio durò meno di quel che pensassi, arrivammo subito fuori ad un bosco, e capì subito che da lì in poi saremmo dovuti andare a piedi. Iniziammo ad incamminarci, con Kaiyō che ci faceva strada strappando le erbacce con una piccola falce.
Ci mettemmo circa dieci minuti, dopodiché ci trovammo ad un centinaio di metri dal castello, essendo ancora pomeriggio ci appostammo poco più indietro, riparati da alcuni alberi, aspettando la notte. Mentre eravamo la, aspettando il buio, mi rivenne in mente la frase che Takara aveva scritto sul suo disegno, così presi coraggio e le chiesi il significato: "Takara, quando facesti quel disegno, prima che io svenissi, avevo letto una frase in una lingua che non conosco, mi sembra ci fosse scritto "Σ 'αγαπώ", cosa avevi scritto?-, lei non rispose subito: -È greco- mi disse, dopo sorrise finendo la frase: -Significa... Ti amo-.

Hakyoku - 破局Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora