Capitolo 11

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MARTINA

"Ok a dopo" rispondo al messaggio di Mike. Gli ho promesso che ci saremo visti e oggi vieni qui a trovarmi. Ammetto di essere un po' nervosa, di non sapere bene cosa aspettarmi. Non so come mi sentirò, è da molto che non lo vedo, a parte le lunghe chiamate quando ero in Europa e quando sono tornata. Percorro i corridoi dell'università, con la testa tra le nuvole. Lascio Lodo e Diego al bar, presi in una discussione su se fosse meglio mangiare una fetta di torta o un gelato. Quei due sono talmente compatibili che mi chiedo come mai non stiano insieme. Diego come il solito mi dà un abbraccio, prima che io me ne vada, un abbraccio che sembra infastidire Lodo o forse è solo la mia impressione. Suona il telefono e sbuffo mentre faccio lo slalom tra gli studenti indaffarati. << Ciao mamma >> dico appena rispondo, << Ciao tesoro... so che ti vedi con Mike! >> la sento sorridere al di là del telefono, << Le notizie volano in fretta >> borbotto, << Ero da sua madre a bere il caffè e me l'ha semplicemente detto >> si mette ai ripari lei, << Certo mamma, comunque non farti troppi viaggi mentali, ci vediamo, ma non so ancora cosa voglio >> faccio un sospiro profondo mentre raggiungo l'ala dormitori, << Fai quello che ti senti tesoro... però ricordati che un bravo ragazzo >>, << Lo so, lo so benissimo >> dico quasi con un filo di tristezza, non voglio farlo soffrire, è una persona che non se lo merita, ma in questo momento è come se avessi bisogno di altro nella vita, come se non potessi più rimanere ancorata a ciò che ero prima di partire. Viaggiare in qualche modo mi ha cambiato. Ricordo benissimo la sensazione che ho provato quando sono scesa per la prima volta dall'aereo, quando ho appoggiato i miei piedi su Madrid, quella scarica che ho sentito dentro di me, quel vento che mi ha accarezzato la pelle, dentro di me, mi sentivo libera e in qualche modo felice, ora è come se non potessi più tornare indietro, non posso più ripartire da quel punto, quel punto fisso che avevo prima di partire, non posso dimenticarmi tutto ciò che ha significato per me quel viaggio. Arrivo davanti al mio alloggio e inserisco le chiavi nella serratura, noto che è già aperto. << Tesoro, saprai benissimo cosa fare, sei in gamba e... >>, appena apro la porta, di spalle c'è lui, Jorge. E' chino sul tavolo e sta guardando qualcosa, si volta leggermente quando mi avverte e in mano stringe alcune delle mie foto. << Mamma... ti richiamo io... devo andare >> la interrompo, << Tutto bene? >> chiede lei, << Si... scusa devo andare >> riaggancio senza aspettare un suo saluto. Lascio a terra la mia borsa piena di libri e mi avvicino a lui, << Che diavolo fai? >> gli chiedo strappandogli di mano le foto, le mie preziose foto. << Stavo solo guardando >> solleva le braccia come per arrendersi << Non prendertela >> dico con un tono basso e fa un sorrisetto strafottente. << Sono cose mie >> le sistemo per bene, innervosita. << Sei stata in Francia e in Spagna e anche in Italia >> dice poi guardandomi, << Sono stata in molti posti >> rispondo << E non ti importa >> ribatto. Lui si avvicina e io mi blocco, << Perché sei andata così lontano... da cosa scappavi? >> mi chiede puntando i suoi occhi verdi nei miei, riesco a percepire ogni piccola sfumatura ambrata, ma percepisco anche un velo di tristezza in quei occhi vuoti, anche se credo che dentro ci sia un mondo. << Fatti gli affari tuoi >> gli rispondo ritornando in me. Lui ridacchia e io perdo un po' la pazienza << Comunque che diavolo ci fai qui? >> chiedo, lui si passa la mano nei suoi capelli scuri e scompigliati, sembra quasi frustrato, tenebroso ed è strano come risulti perfetto così. << Devi venire con me >> dice poi ad un tratto, io lo guardo stranita, << Assolutamente no >> rispondo << Con te non ci verrei nemmeno se fosse una questione di vita o di morte >>, << Esagerata, non sono poi così male >> mi punzecchia lui, << La mia risposta è comunque no... ho da fare >> brontolo, devo incontrare Michael fra un ora e non ho tempo da perdere con questo troglodita. << Dobbiamo raggiungere Mechi in un posto... è stata lei a chiedermi questa cosa >>, sono nel pallone, non so bene cosa stia succedendo, << Andare dove? >> chiedo, << E' una sorpresa... non vuole che te lo dica >> fa spallucce lui << Se non vieni mi farà la ramanzina e proprio non mi va >>. << Ho da fare >> ribatto, << Cos'hai di meglio da fare? >> chiede. Mi ritrovo nella sua macchina, non so nemmeno perché lo sto facendo, perché mi sono lasciata convincere, mi ha promesso che mi avrebbe riportata qui in tempo, non gli ho detto cosa dovevo fare, ma gli ho fatto giurare di non farmi ritardare. In macchina regna il silenzio, non mi va nemmeno di parlare, non so nemmeno cosa dire. << Sei di poche parole >> dice ad un tratto, << Non ho nulla da dirti >> rispondo, lui fa un sorrisino soddisfatto, ma anche frustrato, << Sei molto simpatica devo dire >> mi prende in giro, << Anche tu, davvero tanto >> ribatto con lo stesso sarcasmo, lui si volta un secondo per incrociare i miei occhi e lo stomaco si svuota. Nel bel mezzo di New York, ci fermiamo davanti ad un enorme palazzo, Jorge lascia l'auto ad un uomo cortese che la va a parcheggiare e sembra che sia tanto riconoscente nei suoi confronti. << Si può sapere dove siamo... e dove diavolo è Mechi? >> chiedo io mentre varchiamo le enormi porte girevoli del palazzo e poi ci infiliamo nell'ascensore. Lui rimane un po' zitto e poi si volta verso di me, << Mechi non è qui >> dice con disinvoltura, io lo guardo stranita mentre un uomo scende dall'ascensore e rimaniamo solo noi due. << Cosa intendi dire? >> chiedo innervosita, << Che Mechi non c'è >> ripete semplicemente mentre infila una strana chiave nell'ascensore e poi preme un pulsante che ora si illumina. << Ok che diavolo sta succedendo? >> chiedo, << Calmati... volevo solo portarti via dall'università, sei sempre sui libri e chiusa in quella stanza >>, senza pensarci gli tiro un pugno sulla spalla << Sei impazzito? Che cosa ti importa? Fatti gli affari tuoi!!! >> urlo quasi << Portami immediatamente indietro, con te non ci voglio venire... imbroglione >> lo insulto, lui si passa la lingua sulle labbra e ridacchia, la corsa con l'ascensore sembra non terminare mai. << Tu sei completamente pazzo! >> dico mentre dietro di me le porte dell'ascensore si aprono, lui mi sorpassa e io lo seguo scioccata dal fatto che non dice una parola. << JORGE PORTAMI INDIETRO SUBITO! >> ripeto ancora una volta, lui si gira a guardarmi, << potresti stare zitta e goderti lo spettacolo? >> chiede e io lo guardo stranita. Un vento leggero mi sfiora il viso e mi rendo conto di essere sul tetto di quel palazzo, in alto nel cielo blu. Mi guardo intorno e resto senza parole. New York da qua su è davvero uno spettacolo e io mi sento davvero piccola.

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