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Nella loro casa iniziò a regnare un silenzio surreale: sembrava che persino le pareti, il mobilio, la tappezzeria trattenessero il respiro per non disturbare la padrona di casa.

Aurora, nella settimana che seguì la discussione avuta con il padre, smise di andare a lavoro; non aveva mai granché voglia di mangiare e trascorreva le sue giornate nascosta sotto le coperte, nel loro letto... il più delle volte, a singhiozzare.

Neppure i due uomini stavano meglio di lei: entrambi continuarono a darsi da fare all'interno della loro routine divisa tra casa e lavoro, occupandosi delle faccende domestiche, cercando di garantire la presenza di uno dei due al fianco della loro compagna mentre l'altro era fuori; ma ogni loro azione era mossa solo da un moto di abitudine, vuota e persa come entrambi si sentivano nel loro profondo, monchi della presenza della donna che amavano.

Quella mattina, Damiano attese in piedi davanti la porta di ingresso il rientro di Leonardo da lavoro: era distrutto, a pezzi; Aurora si era lasciata sfiancare dall'ennesimo pianto sino ad addormentarsi e lui non era riuscito a chiudere occhio per tutta la notte, teso e in ansia a ogni respiro tremulo della sua ragazza, con quella sensazione di gelo a opprimergli il petto. Aveva paura che non si sarebbe più ripresa, che avrebbe perso per sempre la forza che l'aveva sempre contraddistinta. Vederla rannicchiata sotto le coperte, svuotata da ogni speranza, lo faceva sentire impotente, disperato. Rispettava il suo dolore, in parte lo comprendeva: d'altro canto non riusciva ad accettare che lei si stesse annientando a quel modo per un uomo. Anche se quell'uomo era suo padre: Damiano, non avendo idea di quale fosse l'intensità del rapporto che legava Aurora al suo genitore, non riusciva ad accettare tutto quel dolore; non riusciva a concepire che lei stesse mettendo un tale potere nelle mani del padre, permettendogli, anche da lontano, di continuare a farle del male.

Poi sentì l'ascensore mettersi in funzione: contò con ansia ogni secondo trascorso dall'inizio di quei rumori tanto familiari, nella speranza che quello si fermasse al loro pianerottolo, pregando con tutto se stesso di poter abbracciare al più presto il suo compagno. L'unico punto di riferimento che gli era rimasto da quando quella storia aveva avuto inizio.

E proprio come lui sperava, fu.

Pochi istanti dopo, infatti, Leonardo fece il suo ingresso in casa e Damiano gli saltò al collo: subito l'altro ricambiò il suo abbraccio, cercando di calmare il suo tremore e i singhiozzi che gli scuotevano il petto. Prese ad accarezzargli dolcemente il centro delle schiena, le spalle: fece scorrere una mano tra i suoi capelli mentre gli stringeva l'altro braccio in vita, cercando di assimilare tutto il suo calore, di trasmettergli il proprio, confortandosi a vicenda.
Gli baciò delicatamente le labbra, una guancia, per poi nascondere il naso nell'incavo del collo di Damiano, inspirando il suo profumo.

Capì immediatamente che nulla di nuovo era accaduto e che tutto era rimasto esattamente come l'aveva lasciato la sera precedente, prima che si recasse al lavoro.

-Mi dispiace averti lasciato da solo- sussurrò Leonardo.
-Non ce la faccio più, Lio. Non reagisce, non vuole saperne di parlarmi e continua a piangere! Perché deve stare così male per lui?! Non è giusto!-
-Lo so, amore mio, hai ragione. Ma dobbiamo avere ancora un po' di pazienza. Questa situazione non può durare in eterno...-
-Cosa hai intenzione di fare?- gli domandò Damiano cercando i suoi occhi nella speranza di capire cosa realmente nascondessero le parole dell'altro.

Aveva capito immediatamente, dal suo tono di voce, che qualcosa di strano e nuovo sembrava essere preso ad agitarsi in lui: i suoi occhi scuri gli rivolsero uno sguardo così intenso da farlo tremare; lo sentì irrigidire i muscoli, mentre quelli diventavano tesi sotto le palme delle sue mani; Leonardo serrò la mascella e strinse così tanto le sue belle labbra che, quelle, parvero divenire una linea sottile. Sembrava arrabbiato, tanto, e pronto a uno scontro.
Damiano aggrottò la fronte, cercando di comprendere quali fossero le sue reali intenzioni. 

Il suo compagno lo guardò impassibile, sciolse il loro abbraccio e si diresse deciso verso la loro camera da letto: avevano aspettato fin troppo.

Spalancò la porta della stanza e si avvicinò al letto dove giaceva Aurora. -Lio?- chiese titubante l'altro, ma quello non gli fornì alcuna risposta: si chinò verso Aurora o, almeno, così in principio parse a Damiano, prima di vedere il materasso del loro letto rovesciarsi su di un fianco: -Che cazzo stai facendo?!- urlò allora, accompagnato dall'urlo di Aurora che rovinò sul pavimento vicino alla finestra.

-Oddio, Lio!- esclamò Damiano, portandosi una mano davanti la bocca, spalancata dallo stupore. Sentì gli occhi riempirsi di lacrime e mosse un passo, di slancio, in direzione della donna, ma Leonardo gli impedì di avvicinarsi a lei.
-Adesso basta!- urlò quello, riuscendo a zittire lo sconcerto degli altri due.

Aurora lo fissava terrorizzata dal pavimento, con gli occhi sgrananti oltre la coltre scomposta di capelli che le erano finiti davanti al viso, tremante ma, per una volta, da una settimana a quella parte, senza una lacrima a rigarle il viso: era decisamente troppo sconvolta per lasciarsi sopraffare dai pensieri che l'avevano tormentata sino a quel momento. Le sue gote si fecero rosse, si morse un labbro, prendendo a tremare a causa dello shock, mentre il freddo del pavimento sembrava pungerle la pelle, penetrando sotto l'epidermide come una miriadi di spilli.

-Che stai facendo?- domandò titubante, con un filo di voce, cose spaventata da non riuscire a respirare normalmente. 
-Rivoglio indietro la mia ragazza- sussurrò Leonardo con un tono che le fece vibrare qualcosa dentro così violentemente, da scuoterla nel profondo.

Aurora si voltò a cercare gli occhi di Damiano nella speranza di trovare in quest'ultimo un alleato: era stata ferita troppo profondamente e non voleva ancora lasciare andare quel dolore; avrebbe significato perdere suo padre davvero e per sempre.

Ma quando incontrò gli occhi di Damiano, si sentì mancare: si portò
una mano alla bocca, proprio come aveva fatto lui, ma per sopprimere l'urlo che sentiva premere contro le sue corde vocali, in corsa nella sua gola in cerca di uno sfogo; lo soffocò con tutta la sua volontà, con la precisa intenzione di non spaventare i presenti con il suo manifesto terrore e finalmente, se ne rese conto. Aveva permesso al suo dolore di infettare le persone che le erano vicine, che l'amavano e che sempre avevano gioito con lei e che in quel momento, con lei, stavano soffrendo. Magari, in una situazione differente da quella che stavano vivendo, avrebbero potuto dimostrarle di essere in grado di starle vicino con quella forza che lei stessa aveva sempre creduto che possedessero; ma Aurora si era lasciata andare completamente, spegnendo in loro ogni speranza; aveva posto una fine a tutti i suoi sorrisi per troppi giorni, instillando timori terribili nei suoi due uomini.

Per la prima volta, dal suo catastrofico incontro con il padre, si sentì in dovere di smetterla di frignare e iniziare, invece, a darsi un contegno: non disse nulla, si alzò da terra e a testa alta si
rivolse a entrambi i suoi compagni con uno sguardo risoluto, cercando di fare trasparire dalla proprio espressione che sì, finalmente aveva compreso.

Damiano ricambiò il suo sguardo sorridendo titubante e Leonardo allungò una mano nella sua direzione che subito la ragazza strinse nella sua, avvicinandosi a lui con passo tremante, quasi come se le gambe la reggessero a stento, ma forte di una nuova volontà, pronta a riappropriarsi della sua vita.

-Bentornata- sussurrò Leonardo e Aurora si lasciò andare a un tremulo sorriso: annuendo piano prima di trovare abbastanza voce per potergli rispondere.
-Cristo, Lio!- esclamò: -Mi hai spaventata a morte!- a quelle parole entrambi gli uomini furono colti
da un improvviso attacco isterico: incominciarono a ridere sguaiatamente, asciugandosi di tanto in tanto una lacrimuccia ribelle fuggita dai loro occhi.

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