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Leonardo diede uno sguardo fugace al suo orologio da polso che segnava le ore sei e trenta del mattino. Chiuse la portiera della sua auto e s'incamminò verso casa.
Intorno a sé l'aria frizzante di primo mattino accompagnava i suoi passi in direzione del palazzo. La città era ancora sonnacchiosa; il cielo di un colore bianco latte che incominciava a dorarsi leggermente, accogliendo il sorgere di un nuovo sole.

Si strinse nel cappotto ed entrò nell'androne del palazzo, beccando il portiere mentre usciva dal suo appartamento.

-Dottore! Buongiorno!- esclamò giubilante l'uomo e Leonardo si limitò a rivolgergli un cordiale gesto della mano, in vero infastidito dall'urletto che aveva accompagnato le parole dell'altro e che sembrava avergli trapassato i timpani. Dire che se si sentisse distrutto era un eufemismo: aveva passato il pomeriggio precedente a fare le capriole con i suoi due amanti; mangiato qualcosa velocemente prima di recarsi in autobus in ospedale dove, verso le due del mattino, i morsi della fame l'avevano tormentato a sufficienza da fargli ricordare di quanto poco soddisfacente fosse per l'organismo il consumo di un pasto al giorno.
Durante il tragitto di ritorno in auto si era pentito di non aver preso di nuovo l'autobus per rincasare, mentre gli occhi, più volte, lo avevano minacciato di chiudersi da un momento all'altro, sotto il peso della stanchezza.

Adorava girovagare per le strade della Capitale a quell'ora del mattino: perlopiù erano libere, scevre di altri automobilisti urlanti e costantemente incazzati, di motociclisti furbetti intenti a superare il malcapitato  di turno da qualsiasi lato, tagliandogli la strada; senza vigili intenti a sbraitare nel tentativo di riportare un minimo di ordine; i passanti fermi alle fermate degli autobus che si prodigavano in forbiti monologhi, carichi di ingiurie nei confronti dei dirigenti dell'azienda che gestiva il traffico dei mezzi pubblici, costantemente in ritardo quando si aveva la fortuna di non vedersi cancellata l'ennesima corsa senza un valido motivo.

Era vero che si trovavano in pieno mese di novembre, che ancora l'autunno conservava i lasciti di temperature miti, soprattutto durante la tarda mattinata, ma era felice di vedere la sua città un po' meno affollata di turisti, favorendo la possibilità di non incorrere spesso, come invece accadeva durante la bella stagione, nel rischio di beccare le innumerevoli comitive che attraversavano nel traffico, colmavano i marciapiedi, rallentando ulteriormente i ritmici frenetici dei cittadini. Sapeva che il suo non si poteva considerare un pensiero piacevole, ma era anche vero che quando si sentiva tanto stanco, l'unica cosa che desiderava era correre a casa dai suoi compagni il prima possibile, cercando, per una volta, di far combaciare di un minimo i loro orari quotidiani, godendo un po' della loro fisica presenza, altrimenti molto effimera.

Trasse un lungo sospiro e nonostante abitassero al secondo piano, si decise di prendere l'ascensore anziché le scale, e quasi finì per addormentarsi in quei pochi secondi di tragitto verso il pianerottolo, appoggiando la fronte contro le porte scorrevoli: sobbalzò quando quelle si aprirono.

Entrando in casa si sentì avvolgere dal silenzio: era una sensazione che adorava, seppur malinconica. Malinconica perché quella situazione gli ricordava che i suoi due compagni stavano ancora sì, dormendo, ma presto si sarebbero svegliati per recarsi al lavoro, lasciando lui da solo a raggomitolarsi in un letto troppo grande e freddo.
Un brivido gli corse lungo la schiena, come se stesse già vivendo il gelo di quella separazione e aumentò la velocità dei suoi passi, dirigendosi nella loro camera da letto.
Dentro la stanza filtrava, dalla finestra che si apriva sulla parete alla sua sinistra, una tenue luce attraverso le veneziane non del tutto chiuse e calate davanti ai vetri. Spostò lo sguardo sullo spartano mobilio presente: il grande armadio a sei stagioni che riempivano in tre, soffocandolo di vestiti; la cassettiera, un comodino e il letto matrimoniale: uno classico, nulla di particolarmente eccessivo. Dopotutto, lo riempivano bene, restando il più del tempo piacevolmente compressi gli uni all'altra.
Sorrise nel seguire quelle piccole pepite di luce dorata che filtravano dalle veneziane e che si andavano a depositare leggere sui corpi di Aurora e Damiano, profondamente addormentati.

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