Capitolo 5

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La mia vita non aveva molto senso.
Nascere, crescere, vivere insieme alla mia famiglia di pazzi squinternati non mi dava alcuno sbocco sociale. Ma io possedevo una cosa che loro non avevano: la tenacia.

E nonostante avessi seguito gli ordini di mio padre nell'andare al colloquio di lavoro in riseria, non rinunciavo alla mia voglia di istruzione clandestina.
Erano all'oscuro e così li lasciavo. Non avrebbero approvato.

Così, dopo essere uscita dalla riseria, feci un giro per Pavia e mi diressi alla scuola superiore, che i miei coetanei avevano la fortuna di frequentare, per aspettare Carlo, e prendere il piano scolastico, i compiti e le varie tesine. Passai per il Ponte Coperto, girai diverse vie, arrivai vicino alla scuola e il mio motorino si spense di colpo.
Ci rimasi di sasso.

Pensai subito a Lando.
Ecco cosa faceva di notte quel farabutto, riti voodoo verso il mio motorino, pensai, pedalando per diversi metri.
Era la parte positiva del Ciao: se si spegneva, come in quel caso, non dovevi scendere, spingere o, peggio, abbandonarlo al suo destino. Pedalavi. E nel frattempo speravi nel richiamo dell'accensione; oppure pedalavi e fine della storia.

Ma quello, ovviamente, non ne voleva sapere di ripartire.
Pedalai ancora per qualche metro, poi mi arresi e finii la mia corsa vicino al parcheggio della scuola, mettendomi di fianco ad alcuni motorini e biciclette, in attesa dei loro proprietari. Non feci caso agli sguardi altrui e sbottai. Imprecai una qualche divinità.
Non  doveva lasciarmi così, senza avvertirmi, il mio fidato Ciao. Porca miseria!

Avrebbe dovuto compiere come minimo gli ultimi scatti sfiniti, ansimare fino allo stremo delle proprie forze. Farmi capire che mi stava dicendo addio. Niente di tutto questo. Si era spento di colpo. Senza emettere uno stramaledetto avvertimento.
Ero disperata.

Tentai di capire il motivo di quell'improvvisa fermata. Svitai il tappo del serbatoio, guardai attentamente il segno bagnato sulla striscia di plastica. La miscela non mancava. Tuttavia, scossi ugualmente il motorino, notando la miscela all'interno del serbatoio. Come se volessi convincermi e togliermi dalla testa quel maledetto pensiero.

Due giorni prima ero andata nell'officina di Lando a fare il pieno di miscela. Appurato che i benzinai non la vendevano più, mi era stato consigliato di recarmi da qualcuno che possedeva un miscelatore per seguire un processo tra olio e benzina.

In quel momento, mi ero convinta che Lando, oltre a mettermi la miscela, avesse compiuto tutto ciò che serviva per il suo rituale voodoo e fosse riuscito nel suo sporco intento.
Scossi via quel pensiero così veritiero e tentai di rianimarlo.

Salii sul motorino ben saldo sul suo cavalletto e cominciai a pedalare come una forsennata. Non poteva lasciarmi. Se avesse avuto le ali, sarebbe volato in aria come un razzo, da quanto pedalavo. Più spingevo, più il mio Ciao rimaneva in silenzio. Non aveva nessuna intenzione di emettere il suo ruggito. Pedalai ancora per qualche secondo: era come se gli stessi facendo la respirazione bocca a bocca.

Le provi tutte, quando patisci un amore incondizionato. Ma il mio Ciao non si accese. Mi aveva lasciato. E mi arresi. Sconfitta e affannata.
Ora, ero io quella che aveva bisogno di una buona respirazione.
Ansante com'ero, mi accasciai sul manubrio.

Nel frattempo i pivelli e tutti gli altri studenti uscirono dalla scuola. Quella folla sembrava impazzita. Tutti a correre chissà dove.
E io avevo una bella questione da risolvere.
Al diavolo le mie informazioni.

Avrei voluto urlare, delirare, prendere a calci qualsiasi cosa. E il mio Ciao sarebbe rimasto fermo comunque.

Un ragazzo si avvicinò.  
«Non parte?» chiese serio.  
«Va ch'è una meraviglia!» dissi istintivamente.
Ero sempre attenta a difendere il mio mezzo.
«Sicura?»  
«Sì, perché?»
Che vuole questo estraneo?  
«Sicura, sicura?»
Oddio, ma devo sempre dare spiegazioni a qualcuno? E poi questo qui chi lo conosce? Non capisce che sto vivendo un dramma?  
«Ma perché insisti?»  
«Perché ho assistito a tutta la scena. Sei così buffa!»
Si stava divertendo. Rideva di gusto.  
«E tu sei un rompiscatole» ribattei disturbata, tornando a pensare al problema che mi aveva appena colpita.
Ma lui si piazzò di fronte a me.

Seduta sul motorino cercai di sfidarlo, pungendolo con lo sguardo.
Ma lui continuava a sorridere.
Se va avanti così gli do una testata con il casco, pensai.
Ma quel tizio sorrideva.

Ebbi un'illuminazione. Quell'estraneo era complice di Lando Perrone. Pagato profumatamente per sorvegliarmi. Un solo cedimento del mio mezzo, ed eccoti servite su un piatto d'argento le chiavi di quel fottuto scooter, ormai usurato dal tempo.
Le pensava di notte, quella volpe di Lando.
Nascosi quel pensiero con un sorriso finto e osservai la folla rincretinita dei pivelli.

«Forse ho capito perché non parte» insistette.
Anch'io, diavolo di un complice!
Diressi lo sguardo su di lui e partii come un'indemoniata.  
«Sei un meccanico, per caso?»
«No.»  
«Però lo conosci un meccanico, giusto?»
Annuì, fingendo un'espressione interrogativa.
Fingi, finché puoi, tanto ti smaschero.  
«Non tanto alto, capelli neri, unti, tirati indietro a mò di leccata di mucca. Tracagnotto, con la voce gutturale e una smania di vendere i suoi dannati scooter.»
Al suo sguardo interrogatorio si aggiunse un'alzata di sopracciglio.
Ti ho in pugno, complice dei miei stivali.   «Quindi?»  
«Quindi cosa?»  
«Non ti dice nulla un certo Lando Perrone?»   «Chi?» chiese secco.
Continua a fingere. Lo so che sei suo complice.  
«Lan-do Per-ro-ne» sillabai.     
«Mi spiace, non lo conosco. Se vuoi però ti posso consigliare un buon analista» mi schernì quel tale.  
«Grazie, non ne ho bisogno. Pertanto...»
E gli feci capire che era meglio cambiare aria.

Quel tizio non aveva voglia di collaborare, tuttavia sembrava non avere nessuna intenzione di rinunciare al suo profumatissimo gruzzoletto. Fingeva persino un certo divertimento. Sul viso aveva stampato un sorriso che non voleva andarsene.
Si voltò verso i pivelli e io seduta sul mio motorino, lo osservai.

Era di una bellezza spudorata. Alto, con il fisico scolpito, intravisto da sotto quel giubbotto nero di pelle aperto sul davanti. Capelli castani spettinati e occhi verdi con sfumature di marrone con le ciglia lunghe. Ma la sua bellezza non riuscì a distogliermi da quel pensiero paranoico.
Si accorse del mio sguardo e mostrò un sorriso compiaciuto.
Io lo incenerii, serissima.

Sorrise nuovamente, si chinò accanto al motorino, fingendo di trovare una soluzione.
Scesi in tutta fretta dal Ciao e dissi: «Che diavolo stai facendo?»  
«Tranquilla. Voglio solo darti una mano.»   «Tu, il mio motorino non lo tocchi.»
Continuò a osservare il Ciao come se non gli avessi detto nulla.  
«Oltre a essere invadente, sei pure cocciuto.»
Non si spostò di un millimetro. Così stetti al suo gioco.
Vediamo fin dove vuoi arrivare.
«Avanti, mostrami le tue capacità meccaniche. Sicuramente qualcuno ti avrà insegnato come fare.»
Sottolineai la parola qualcuno, ma non ebbe nessuna reazione.  
«Dico io. Nessuno nasce meccanico. C'è chi frequenta una scuola, chi invece, magari come te, preferisce fare la gavetta da un meccanico. Tipo il Lando!»
Io continuavo a insinuare e quel ragazzo non mi si filava.

Rimasi in piedi a osservarlo. Lui mise la mano sotto il serbatoio.  
«Non sai come uscirne?»
Era troppo occupato per rispondermi.  
«Lascia perdere. Il mio motorino non parte. Non c'è bisogno che lo streghi con lo sguardo.»

Finalmente portò gli occhi nei miei, sorrise e si alzò.  
«Non era poi così difficile» e mi mostrò la pipetta staccata della candela del motorino.
Dannazione! La pipetta della candela.
Come potevo essermi scordata di quel particolare? Si staccava abbastanza spesso.
E io che mi ero fatta quel film su Lando e via discorrendo.
Gliela presi dalle mani e l'attaccai.

Mi sentivo abbastanza stupida.
Non riuscivo né a dirgli grazie né a chiedergli scusa per il mio continuo blaterare. Così, dopo aver aggiustato il motorino, mi alzai e ostentai un debole sorriso.  
«Volevo vedere se eri attento.»  
«Sei davvero buffa.»
Stavo per mandarlo a cagare, ma lasciai perdere. Scrollai la testa e balzai in sella.  
«Ci si vede in giro, Spaghetti» disse, raggiungendo un gruppetto di studenti dall'altra parte della strada, e mi lasciò li, vestita solamente dalla mia stupidità, a chiedermi il motivo di quel nomignolo.

Ehila, Wattpadiani,
secondo voi, Viola incontrerà di nuovo lo sconosciuto?

ViolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora