Capitolo 13

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Carlo sedeva sul muretto che portava nel retro del condominio. Scesi dal Ciao e mi sedetti al suo fianco.
«Alla fine sei venuta a scuola» esordì.
«Era meglio non venirci.»
«Sei stata molto coraggiosa.»
«E stupida.»
«Non lo sei.»
«Ok, non lo sono. Però potevo darti retta. Avrei evitato di sentire quella parola odiosa.»
«Sì, hai ragione. Quella parola è proprio brutta da sentire.»
«Secondo te il video sarà già online?»   «Sicuramente.»

Ero tremendamente triste e amareggiata. Sentirmi chiamare "Cagna" mi faceva stare male. Era l'insulto più brutto che si potesse fare a una ragazza. In aggiunta, avevo l'immagine dello sconosciuto che non mi mollava. Ma non mi andava di dire a Carlo che mi ero presa una cotta per uno che non conoscevo. Per di più fidanzato.
Mi strinsi nel giubbotto guardando per terra.

«Che brutta cosa l'ignoranza» dissi.
«Già.»
Carlo era sempre stato di poche parole. E non mi aspettavo un discorso più lungo.
Era amareggiato tanto quanto me, come se fosse stato al mio posto. A dire il vero, fino ad oggi era sempre stata lui la vittima.

«Comunque, non finisce qui. Moro vuole la guerra e io lo accontento.»
«Viola, forse è meglio lasciar perdere.»
«Per quel poco che lo conosco, secondo me, ora si divertirà a torturare ancora di più te o Ciccio. E quindi ho un piano.»
«Davvero?»
«Sì, fidati. Ti farò sapere tutto quando ce ne sarà bisogno.»
«D'accordo.»

Già da troppo tempo, Carlo subiva i maltrattamenti da parte del bulletto, così avevo chiesto al nonno un favore per il mio piano. Dovevo soltanto attendere che mi desse ciò che gli avevo chiesto.

«CARLOOOOO!» urlò la signora Faina, in arte Satana, dalla finestra.
Nonostante la conoscessi da quando ero nata mi spaventava sempre a morte con quella voce indemoniata.
Balzai dal muretto come se mi avesse dato la scossa.

«Sbrigati che la pasta si fredda» continuò.
Guardai Carlo in viso: era diventato paonazzo.   Si vergognava tremendamente del comportamento di sua madre. Non me lo aveva mai detto apertamente ma lo si capiva dall'espressione che faceva nel sentirsi chiamare in quel modo.

«Carlo, vieni subito in casa, non farmelo ripetere un'altra volta.»
«Arrivo!» urlò e poi rivolto a me, con il solito fare calmo disse: «Tieni. Qui ci sono i vari compiti e le tesine. Se non capisci qualcosa, chiedi, ok?»
«D'accordo.»
E poi si alzò e si incamminò.
«Carlo?»
«Sì?»
«Grazie.»
«Figurati.»
«Il tuo professore d'italiano mi ha chiesto di frequentare la scuola, di sabato» dissi tutto d'un fiato.
Carlo si voltò: «Sul serio?»
«Sì, poi ti spiego. Ora vai, altrimenti tua madre viene giù e ti sculaccia» scherzai.
Il mio caro amico sorrise, si voltò e proseguì per la sua strada.
Lo osservai fino a vederlo svanire dietro la porta d'entrata del condominio.

Non mi andava di stare a tavola con la mia famiglia. Alla discussione avuta con Giovanni la sera precedente, si aggiunse anche l'ansia che mio fratello mi mise addosso. Decise di non parlarmi più, eppure con lo sguardo mi fulminava continuamente. E se ci aggiungiamo quello che mi aveva appena fatto il bulletto, le risa di tutti gli spettatori, la caduta con il motorino e lo sconosciuto che mi fissava, non avevo per niente fame.
Lo stomaco era chiuso, sigillato.

Così quando entrai in casa andai nello sgabuzzino.
Per distrarmi da tutta quella tristezza, soprattutto nel vedere lo sconosciuto in compagnia di quella ragazza, studiai un paio d'ore e chiesi consiglio a Carlo su alcuni punti che non mi entravano in testa, tramite Whatsapp. Lui mi disse che qualcuno aveva aperto una pagina su Facebook su di me e il bulletto. Una specie di diario sulle vicende tra me e Andrea Moro.
La gente non sa proprio cosa fare nella vita, pensai.
Poi, però, dopo cena, mi venne la curiosità di dare un'occhiata.

Come foto di copertina c'eravamo io e il bulletto, ovviamente.
Io sedevo sul motorino, pronta a dare gas, la mia chioma di capelli biondo cenere chiusa in una treccia che mi scendeva di lato e lo sguardo di sfida verso il bulletto che stava di fronte a me, in piedi. Fermo con un dito puntato.
Trovai la foto molto bella. Il nome della pagina un po'' meno: " Il Moro e L'Eroina.".
Avrei voluto fare due chiacchiere con l'amministratore della pagina.

Moro era adatto, perché si trattava del cognome del bulletto, ma l'eroina non mi si addiceva per niente. O per usare una parola della lista: non mi si confaceva.
Lasciai perdere e curiosai tra i video e commenti. Molti a mio favore, altri contro. Ma non c'era ancora il video nel quale venivo chiamata Cagna.
Mi sembrò strano.

Aprii Whatsapp e mandai un messaggio a Carlo. Gli chiesi se sarebbe andato alla festa che davano da Pepe. Alla sua risposta affermativa, aggiunsi che ci saremmo trovati lì.

Presi in mano "Uno, nessuno e centomila" di Pirandello e m'immersi nella lettura. Dopo alcune pagine però chiusi il libro e feci un pisolino. Era ancora troppo presto per andare alla festa, così mi lasciai abbracciare da Morfeo. E restai con lui fin troppo.
Quando mi svegliai, guardai l'ora sul cellulare: erano le 23.45.
Per Dio! esclamai.
Era tardissimo.

Mi alzai dal letto, presi una felpa pulita, la indossai, m'infilai le scarpe e andai verso la porta di casa per uscire.
La mia cara famigliola era riunita sul divano. Sofia dormiva beatamente sulla poltrona e gli altri guardavano la tv.
Mia madre si voltò e io feci cenno con la mano.
«Dove vai?» chiese.
«Da Pepe.»
«Buona serata.»
Restai di stucco.
Non si era mai interessata della sua cara bambina.
Cosa le stava succedendo?
Ignorai quel pensiero e uscii di casa.

Spazio autrice:
Ehilà, Wattpadiani, come state?
Chissà chi incontrerà Viola da Pepe. 😜

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