Capitolo 39

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La porta di casa dell'ingegnere si aprì e restando dietro a mio padre intravidi la madre di Lore. Stringeva la mano a mio padre, lo salutò e gli disse di dare il giubbotto a un signore piccolo di statura che se ne stava lì ad aspettare. Dedussi fosse uno dei filippini.

Mio padre mi fece cenno di fare la stessa cosa. Mi tolsi il giubbotto e glielo consegnai.
E salutai la madre di Lore:
«Buonasera» dissi, timidamente.
Volevo scomparire. Il nostro primo incontro non era stato dei migliori. Ma lei sembrava non dare peso e mi mostrò un sorriso meraviglioso.
«Buonasera a te» disse, mentre mi allungava la mano. «Tu devi essere Viola. Mi fa piacere conoscerti.» e mi fece l'occhiolino. «Io sono Emma» aggiunse.
La fissai per un istante e ricambiai con un sorriso.

Notai Martinotti che scendeva le scale e ci raggiungeva nel grande salone, dove, nel frattempo, la madre di Lore ci aveva fatto accomodare sul divano.

E Lore dov'era?
Non gli avevo mandato nessun messaggio perché credevo di trovarlo in casa.
Magari è su in camera.
Mi trattenni dal chiederlo.

Notai che mio padre era nervoso. Muoveva le gambe come se quel divano scottasse. Io non ero per niente preoccupata, ero solo curiosa di sapere che diavolo si erano messi in testa questi due.

«Bene, bene, bene» fece Martinotti, venendo verso di noi.
Esordiva sempre così ogni volta che lo vedevo e cercai di dargli un significato.
Soffriva di ecolalia, per caso?
Continuava a ripetere la stessa parola e io aggiunsi mentalmente quel termine alla mia lista.

Comunque sia, mio padre si alzò dal divano, mi prese per un braccio e mi tirò su di peso.

Strinsi la mano a Martinotti e rimasi a fissarlo. Quell'uomo aveva un atteggiamento che mi faceva rabbrividire, nonostante fingesse un calore umano. Era pur sempre il mio titolare, ed era pur sempre colui che aveva licenziato il nonno perché troppo vecchio per la sua azienda. Dovevo assolutamente reprimere i sentimenti che provavo per lui.

Ci accomodammo a tavola e notai che era apparecchiata per quattro persone.
Quindi Lore non cenava a casa.
Ma dov'era?

Mio padre si mise vicino a Martinotti, io mi misi dalla parte opposta di fianco a Emma.
Il filippino arrivò dalla cucina e insieme a lui c'era un'altra donna. Iniziarono a servirci l'antipasto. Mio padre parlò di lavoro con Martinotti. Era arrivato un grosso ordine e dovevano consegnarlo in breve tempo.
Io mangiai in silenzio.

«Assaggia questo tortino salato. È delizioso» mi consigliò Emma a voce bassa.
Assecondai la sua richiesta, assaggiai il tortino e le sorrisi. Era veramente squisito.
«Lorenzo è a cena con un amico» continuò, come se avesse intuito i miei pensieri precedenti. «Mi ha detto di dirti che poi vi sentite.» e mi fece nuovamente l'occhiolino.
Mi piaceva l'atteggiamento di quella donna. E mi sentivo più sollevata nel sapere che Lorenzo non mi stesse nascondendo nulla.

La cena proseguì, tra una portata e l'altra, tra i discorsi di lavoro, tra i sorrisi e i consigli di Emma, e nonostante avessi avuto paura di annoiarmi, nell'attesa che quei due arrivassero al dunque, mi ingozzai fino a scoppiare.
Mica ero abituata a mangiare così tanto.

E quei due arrivarono al dunque in un momento inaspettato, proprio quando mi stavo gustando una Crepes alla Nutella.
Un orgasmo culinario e una delizia per le mie papille gustative.

«Lo sai perché ti ho invitato qui a cena da me?» mi chiese Martinotti.
No, non lo so. Mio padre mi ha rapita e portata qui da lei senza accennare nulla. Mi trova impreparata, pensai mentre fissavo mio padre.

Feci cenno di no con la testa.
«Ho saputo che il figlio dell'architetto Moro non ha avuto nei tuoi confronti un...insomma non è stato carino con te» disse, mentre si versava del vino.

ViolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora