Capitolo 53

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Finii il turno di lavoro e quando uscii dallo spogliatoio c'era Mosca ad aspettarmi.
Non mi dava tregua. Lo seguii.
Uscimmo e andammo verso il gabbiotto dove c'era Arnaldo. Lo salutai mentre molti miei colleghi uscivano dalla riseria con la macchina. Li invidiavo.

Mosca stava spiegando ad alta voce ciò che avevo combinato e ciò che dovevo fare.
Arnaldo mi guardò e scoppiò in una risata.
«Signorina? Non si fanno queste cose» disse avvicinandosi.
«Non si fanno, però hai scritto una verità» mi confidò.
«Non per Martinotti» dissi a denti stretti.

Mosca arrivò con in mano il rullo e il secchio della vernice.
Era giunto il momento di scontare la mia pena.

Iniziai a pitturare il muro e provavo dispiacere nel cancellare quella scritta. Per fortuna che avevo fatto le foto. Ne avrei stampata una e me la sarei appesa sul muro dello sgabuzzino.

Andai avanti per quasi due ore e verso le sette, dopo aver dato una prima mano su tutta la parte della scritta, Mosca disse che per oggi poteva bastare.

Non mi sentivo più le braccia dal male che mi aveva procurato quella palestra forzata.
Presi il Ciao e mi diressi a casa.

Quando entrai, mi sedetti a tavola, mangiai un po' di minestra, due pezzi di prosciutto cotto, metà mela, evitando tutti gli sguardi della mia famiglia. Mio padre non disse niente, lo fece solo quando mi diressi verso lo sgabuzzino.
Lo sentii parlare. Stava spiegando il fattaccio alla sua cara famigliola.
Io mi buttai a letto e mi addormentai.

E andò avanti così per tutta la settimana.
E le giornate erano tutte uguali e stancanti.
Mi avevano dato una punizione esemplare.

Il venerdì, alla fine del mio turno di lavoro, chiesi a Mosca se potevo saltare la penitenza. Ero a pezzi. Avevo pitturato gran parte del muro e la scritta non si vedeva più. Era svanita sotto la vernice grigia.

«Ti prego. Continuo lunedì.»
Niente, non c'era nulla da fare.
Mosca era irremovibile. Continuava a fare di no con la testa. E io lo maledii mentalmente.

Mi misi di nuovo al lavoro. Diedi una ripassata sulla parte del muro dove prima c'era la scritta e sentii il rumore di uno scooter.
Venne verso di me. Mi voltai, per capire chi fosse, e rimasi immobile con il braccio alzato e il rullo appoggiato al muro.

Era Moro.
«Toh! Guarda chi si vede. La cagna!» mi disse con quella faccia da schiaffi.
Lo ignorai e andai avanti a pitturare.
Cercai di mantenere la calma anche se mi stava salendo l'incazzatura.
E se mi avesse fatto qualcosa avrei urlato a squarciagola e Mosca sarebbe arrivato in mio soccorso.

Sentii un click alle mie spalle.
Mi voltai e notai che mi stava scattando delle foto con il cellulare.
Mi venne l'istinto di colpirlo in faccia con il rullo.

«Che cazzo stai facendo?» chiesi con rabbia.
«Ti sto facendo un book fotografico.»
«La vuoi piantare di fare lo stronzo? Non sei per nulla divertente. Che cosa vuoi ancora da me? Non ne hai abbastanza?»
«Ne avrò abbastanza quando uscirai con me.»
«Scordatelo. Non uscirò mai insieme a te.»   «Allora io continuo e faccio il cazzo che mi pare. Hai capito, cagna?»

Scese dallo scooter e si avvicinò mentre io gli puntai contro il rullo intriso di vernice.
«Non ti conviene fare un altro passo. Ti sporcheresti quel tuo bel giubbotto.»
Il bulletto rimase fermo, mi guardò negli occhi e disse: «E a te invece conviene ritirare la denuncia. Ti sporcheresti con il tuo stesso sangue.»
Ritornò verso il suo scooter e mi lasciò lì con la bocca aperta e il cuore in gola.

Spazio autrice:
Ehilà, Wattpadiani, come state?
E quando sembra che tutto stia andando male, va a finire peggio.
Viola lo sa.
E Moro si sta dando da fare con il suo bullismo. 😩❤️

ViolaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora